Un anno in meno alle superiori? Un’idea allettante non solo per la maggior parte degli studenti italiani, ma anche per il Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. La riduzione degli anni delle superiori da 5 a 4 è un tema che negli ultimi dieci anni è stato discusso più volte, caro ai predecessori della Carrozza, dalla Moratti a Profumo, che in più occasioni hanno cercato di trovare la soluzione più adatta per accorciare di un anno il percorso scolastico degli studenti.

Se ne torna a parlare in questi giorni in seguito all’autorizzazione di sperimentare il liceo di 4 anni, concessa ad un liceo di Brescia dall’attuale Ministro. La Carrozza, ricevendo i professori e gli studenti del liceo sperimentale, ha dichiarato la propria personale approvazione per la nuova formula ancora in fase di test, dichiarando

“Se ci fosse stata quando ero studentessa anch’io mi sarei iscritta a una scuola come la vostra. Si tratta di un’esperienza che dovrebbe diventare un modello da replicare in tutta Italia anche per la scuola pubblica”.

Le dichiarazioni non sono affatto piaciute ai sindacati, che da sempre osteggiano la riduzione degli anni di scuola. Qualora il ciclo di 4 anni si estendesse a tutte le scuole, infatti, nel giro di 5 anni si avrebbe la perdita netta di quasi 40mila cattedre con un risparmio per le casse del Ministero di oltre un miliardo e 300 milioni di euro all’anno. Un risparmio, quindi, che avrebbe conseguenze gravissime sui precari della scuola, in attesa da oltre 10 anni di una cattedra fissa.

Tuttavia il bisogno di adeguare la scuola italiana agli standard europei diviene sempre più pressante. Gli studenti italiani, infatti, a differenza degli altri europei, prendono il diploma solo dopo i 18 anni, proprio perché restano sui banchi di scuola un anno in più rispetto agli altri. Diminuire il percorso di studi da 13 a 12 anni rappresenta quindi un modo per rendere i nostri giovani competitivi nel mondo del lavoro.

Le soluzioni offerte fino adesso dai tecnici non sembrano essere delle soluzioni valide su più fronti, diventa necessario il vaglio di un’alternativa che tuteli insegnanti e studenti in egual modo: la qualità del diritto allo studio e il valore del diritto al lavoro.

Serena De Domenico  

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