“Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca”. Esasperando il dinamismo delle costruzioni, propri del Futurismo, Antonio Sant’Elia ideò la sua “Città Nuova” tra il 1913 e il 1914. Pubblicato nel Manifesto dell’Architettura Futurista, questo schizzo riassume il concetto di architettura e l’idea di città in movimento. La serie dei disegni (esposti alla mostra del gruppo delle Nuove Tendenze) per una “Città Nuova” non era altro che la visione futuristica di Milano, influenzata dalle città industriali statunitensi. Riguardavano la visione di una città del futuro industrializzata e meccanizzata, come un enorme agglomerato urbano, rappresentato da grattacieli monolitici con terrazzi, ponti e passerelle aeree. Il rifiuto della tradizione accompagna l’esigenza di modernità, e l’uso esclusivo di materiale nuovo (il cemento armato e il vetro), fondamentale per l’ architettura, determineranno gli aspetti di “caducità e transitorietà”, espressi nel Manifesto: “Le cose dureranno meno di noi; ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del Futurismo, che già si afferma con le parole in libertà, il dinamismo plastico, la musica senza quadratura e l’arte dei rumori e per il quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista”. Quest’opera, sintetizza pertanto gli elementi caratterizzanti delle metropoli, quali la monumentalità e la grandiosità delle forme. L’architettura è dunque al servizio della vita moderna, fatta di movimento e di velocità.

 

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