La politica economica della sinistra storica al potere in Italia dal 1876

La Sinistra storica fu lo schieramento che governò l’Italia unita dal 1876 al 1896. Uno dei primi provvedimenti presi in campo economico fu l’abolizione della tassa sul macinato, un’imposta indiretta che gravava sul grano e sui cereali. Inoltre si favorì lo sviluppo dell’industria, soprattutto di quella siderurgica e metallurgica. Per far fronte alla crisi economica che colpì in modo particolare l’ambito agricolo dell’Europa, lo Stato italiano decise di intervenire in economia, adottando una politica protezionistica che proteggeva soprattutto l’industria e introducendo dei sussidi per chi era in difficoltà. Il protezionismo fu esteso poi anche alla cerealicoltura che stava risentendo degli effetti delle importazioni del grano statunitense.

 

In quale contesto internazionale è nato l’ONU e quali sono i suoi obiettivi?

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nacque all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945. durante gli anni del conflitto, infatti, ci fu l’esigenza di creare un’organizzazione internazionale che fosse in grado di risolvere pacificamente, senza ricorrere alle armi, i conflitti internazionali. La base della creazione dell’ONU si deve alla Carta Atlantica, firmata da Roosevelt e Churchill nel 1941 per unirsi contro le potenze dell’Asse. Gli obiettivi dell’Onu sono: mantenere la pace tra le nazioni, aiutandole ad avere rapporti amichevoli, farle cooperare in ambito economico, sociale e culturale, e favorire il rispetto dei diritti umani e il mantenimento delle libertà fondamentali. Oggi fanno parte dell’ONU 193 stati.

 

Da che cosa fu originato il brigantaggio?

Il fenomeno del brigantaggio nacque nell’Italia Meridionale all’indomani dell’Unità d’Italia. Si trattò di una protesta contro il nuovo stato italiano. Esso era visto come un organo che aggravava ulteriormente le condizioni già povere dei contadini del Sud. Infatti lo stato italiano aveva aumentato le tasse, abolito i vantaggi per i contadini che avevano il latifondo e introdotto la leva obbligatoria che toglieva manodopera nelle terre. Gli atti del briganti erano violenti e lo Stato rispondeva con spedizioni repressive. Lo Stato riuscì a debellare definitivamente il problema soltanto nel 1865.

 

Caratteristiche della politica interna di Crispi

Crispi divenne Presidente del consiglio nel 1887, dopo la morte Depretis. In politica interna fece degli importanti cambiamenti. Innanzitutto approvò un nuovo codice penale, il Codice Zanardelli: esso prevedeva la libertà di sciopero e di associazione e aboliva la pena di morte. In economia, si fece promotore della politica protezionistica, imponendo dazi sui prodotti importati, e promosse lo sviluppo dell’industria, soprattutto di quella siderurgica e metallurgica. Durante il suo secondo mandato, Crispi divenne più autoritario, reprimendo con la violenza i disordini operai nati in Sicilia noti come Fasci Siciliani. Infine, nel 1894, sciolse il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

 

Argomenta le cause che portarono alla crescita del fascismo e alla sua accentuata qualificazione in senso antisocialista

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, gli Stati d’Europa dovettero adottare delle drastiche misure per evitare la crisi economica. Per sanare i bilanci, si attinse al credito internazionale e, nei casi peggiori, si aumentarono le tasse e si tagliò la spesa pubblica. Inoltre nacquero dei contrasti con i partiti tradizionali perché considerati causa della guerra. Il fascismo pose le sue basi nel 1919, con la nascita a Milano dei Fasci di combattimento. Il partito fascista si pose contro la borghesia e aveva come programma politico il suffragio universale dando il voto anche alle donne e la giornata lavorativa di otto ore. Accanto a un fascismo urbano, si sviluppò anche un fascismo rurale in stretto contatto con i grandi latifondisti. Ben presto il fascismo si organizzò con lo “squadrismo”, cioè con spedizioni punitive contro coloro che gli si opponevano. Il fascismo prese il potere in seguito alla marcia su Roma del 1922. Il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare lo stato d’assedio proposto da Facta e nominò come nuovo capo del governo Mussolini.

 

Per ognuno dei seguenti fronti segnala almeno un episodio significativo della seconda guerra mondiale: fronte francese, fronte russo, fronte italiano, fronte nord-Africa, fronte Pacifico

Fronte francese: nel 1940 la Germania attaccò la Francia. Per aggirare la linea Maginot, posta nella Francia nord-orientale, Hitler passò per il Belgio e il Lussemburgo, paesi neutrali, riuscendo a sfondare a Dunkerque e ad arrivare fino a Parigi. Il maresciallo Pétain, dunque, fu costretto a firmare la capitolazione e la Francia si ritrovò divisa in due parti: la settentrionale ed atlantica posta sotto il diretto controllo dei Tedeschi e la meridionale dove Pétain stabilì la sua sede.

Fronte russo: nel 1941, con l’operazione Barbarossa, Hitler diede inizio all’attacco contro la Russia. Questo territorio, come affermato nel Mein Kampf, doveva essere per la Germania uno spazio coloniale. I Tedeschi erano interessati a Leningrado a Nord, a Mosca al centro e a Stalingrado a Sud. Inizialmente i Tedeschi ebbero la meglio. I Russi, invece, preferirono aspettare l’arrivo del “generale inverno” e, per fare questo, nella ritirata, abbandonarono e distrussero le loro città. Le operazioni militari si interruppero in inverno per poi riprendere nella primavera del 1942. I Russi riuscirono ad avere la meglio su Hitler a Stalingrado. Fu la prima sconfitta dell’esercito nazista.

Fronte italiano: Mussolini, vista la vittoria di Hitler sulla Francia, non esitò a inviare l’esercito ai confini col Brennero per combattere contro la Francia. Il suo, però, fu un errore, perché l’esercito italiano stava combattendo contro una nazione che ormai già aveva firmato la capitolazione con i Tedeschi. L’intervento dell’esercito italiano, dunque, fu limitato e si riuscì a penetrare solo per pochi chilometri all’interno del territorio francese a spese di molte vite umane.
Fronte nord-Africa: Mussolini voleva impegnare la Gran Bretagna su tre fronti: Mediterraneo, Africa del Nord e Africa del Sud. Così avrebbe dato vita a una guerra parallela a quella tedesca. Le sue spedizioni, però, non ebbero successo. In modo particolare, in Africa del Nord Mussolini ebbe bisogno dell’aiuto dell’esercito nazista, guidato da Rommel, per limitare le vittorie degli Inglesi e riuscire a penetrare in territorio egiziano. Le forze dell’Asse furono costrette a ritirarsi in seguito all’intervento dell’esercito americano del 1942.

Fronte Pacifico: le sorti della guerra si decisero proprio sul fronte Pacifico. I Giapponesi, infatti, nel 1941 avevano attaccato la base americana militare di Pearl Harbour e si ebbe la conseguente entrata in guerra degli Stati Uniti a favore delle potenze dell’Intesa. I Giapponesi, che avevano conquistato molti territori dell’Oriente, furono costretti a subire una tremenda offensiva da parte degli Stati Uniti che riconquistarono molti paesi. In Europa la guerra era già terminata nel maggio del 1945, ma i combattimenti continuavano proprio sul fronte pacifico. La seconda guerra mondiale ebbe ufficialmente fine nell’agosto del 1945, quando gli Americani sganciarono sulle città nipponiche di Hiroshima e Nagasaki due bombe atomiche.

 

La guerra di Spagna viene spesse vista come una prova generale del secondo conflitto mondiale. Spiegane il motivo

Tra il 1936 e il 1939 fu combattuta in Spagna una sanguinosa guerra civile nota anche come “guerra di Spagna”. A fronteggiarsi furono i nazionalisti anti-marxisti e i repubblicani filo-marxisti. Il generale Francisco Franco, che militava fra i nazionalisti, ebbe l’appoggio della Germania di Hitler e dell’Italia di Mussolini. Questa guerra attirò l’attenzione mondiale perché vide il contrapporsi delle forze di sinistra contro la destra fascista e perché le potenze democratiche occidentali erano preoccupate per il riarmo bellico della Germania. Ecco perché la Guerra di Spagna fu vista come una prova generale del secondo conflitto mondiale.

 

I provvedimenti che in Italia decretarono la fine delle istituzioni liberali ed il passaggio alla dittatura fascista

Il trattato di Versailles, firmata all’indomani della fine del primo conflitto mondiale, non aveva dato all’Italia tutto ciò che le era stato promesso da Francia e Gran Bretagna nel Trattato di Londra (mancava, infatti, la città di Fiume). Si cominciò a parlare di “vittoria mutilata” e Vittorio Emanuele Orlando, colpevole di non essere riuscito ad ottenere quanto promesso, fu costretto a dimettersi. Il suo successore fu Francesco Saverio Nitti che chiese l’aiuto dei popolari e dei socialisti per affrontare le difficoltà del dopoguerra. Nitti riuscì a tenere sotto controllo la situazione di Fiume, che era stata occupata da un gruppo di militari italiani guidati da D’Annunzio, ma non riuscì a vincere le elezioni del 1920 e fu costretto a dare le dimissioni. Seguì l’ultimo governo Giolitti, che fronteggiò le rivolte degli operai delle fabbriche e pose definitivamente fine alla questione fiumana con la firma del Trattato di Rapallo. In questo periodo, però, iniziò ad affacciarsi sulla scena della politica italiana il partito fascista guidato da Mussolini. Nel 1922 il fascismo aveva ottenuto già grandi adesioni e Mussolini voleva raggiungere il potere servendosi delle sue squadre che seminavano terrore ovunque. Il debole governo Facta rimase impotente di fronte alla violenza fascista e, in seguito alla marcia su Roma, voleva dichiarare lo stato d’assedio. Il re Vittorio Emanuele III, però, rifiutò di firmare il decreto e diede a Mussolini il compito di formare il governo.

 

Quali regioni dell’Italia danneggiarono la politica protezionista di Giolitti, per quali motivi?

Le regioni che misero in crisi la politica protezionistica di Giolitti furono quelle meridionali. Il Sud, infatti, accusò Giolitti di aver favorito il Nord ai suoi danni. Il Settentrione aveva conosciuto un veloce sviluppo industriale, mentre il Meridione era rimasto legato alla struttura agraria. Nitti, illustre economo del tempo, dimostrò che l’industrializzazione al Nord era stata possibile trasferendo ingenti capitali dal Sud al Nord. Senza dubbio, però, Giolitti prese delle decisioni a favore del Meridione, ma per cambiare l’assetto di questa parte d’Italia si sarebbe dovuta mutare la politica economica del paese. Questo non fu possibile e a molti cittadini del Meridione non restò altro da fare che emigrare altrove.

 

Il 1943 fu per l’Italia l’anno della grande svolta: eventi e conseguenze

Il 3 settembre del 1943 l’Italia, in seguito allo sbarco degli Anglo-Americani in Sicilia e alla caduta del fascismo, firmò un armistizio con gli Alleati. Esso fu reso noto l’8 settembre per voce del generale Badoglio, a cui il re aveva affidato il governo al posto di Mussolini che fu fatto arrestare. Purtroppo, però, l’armistizio fu un’arma a doppio taglio: l’Italia uscì dalla guerra, ma dovette subire la reazione tedesca. Il paese, infatti, si trovò diviso in due: il Sud, in parte liberato dagli Alleati e che combatté valorosamente contro i Tedeschi, e il Centro-Nord occupato interamente dai nazisti. Il re lasciò Roma e si rifugiò a Brindisi, mentre i Tedeschi riuscirono a liberare Mussolini che fondò la Repubblica Sociale di Salò. Nell’Italia occupata dai nazisti, nacquero la Resistenza e i Comitati di Liberazione Nazionale formati dai partiti antifascisti. Con diverse offensive gli Alleati riuscirono a liberare prima Roma e poi Firenze e i Tedeschi furono costretti a lasciare l’Italia centrale. Nel 1945 gli Alleati, grazie anche all’aiuto della resistenza, riuscirono finalmente a liberare anche l’Italia settentrionale. Mussolini fu arrestato e fucilato mentre era in fuga verso la Svizzera.

 

L’instabilità dell’economia internazionale che determinò la “Grande crisi” degli anni Trenta negli Stati Uniti e in Europa, spiega l’efficacia della risposta keynesiana

Keynes, in Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta del 1936, espose una teoria in base alla quale il meccanismo capitalistico, una volta entrato in crisi, non è capace di riprendersi da solo, ma ha bisogno dell’intervento dello Stato. Infatti, secondo l’economista, non ha senso ridurre gli stipendi dei lavoratori perché in questo modo, anche se si riducono le spese per l’azienda, si riduce il potere d’acquisto e si ha un calo delle vendite. Lo stato, invece, intervenendo può rimettere in moto la domanda aggregata (cioè la produzione dei beni), aumentare l’occupazione e i salari, favorendo la ripresa economica e l’uscita dalla crisi. La crisi del ’29, dunque, fu superata grazie l’intervento dello Stato.

 

Le “Tesi di Aprile” di Lenin

Lenin, nelle “Tesi d’Aprile” del 1917, sosteneva la necessità di uscire dal conflitto mondiale per dar vita a una rivoluzione nel proprio paese che avrebbe dovuto portare alla fine del potere dell’assemblea parlamentare della Duma. Infatti Lenin era fortemente convinto che il potere dovesse appartenere ai soviet, le associazioni degli operai e dei contadini. In ambito sociale, le Tesi affermavano la necessità di eliminare la proprietà privata e di nazionalizzare le terre affidandole ai soviet. Inoltre era necessario che anche le banche fossero controllate dai soviet.

 

Quali motivi spinsero gli USA ad entrare in guerra nel 1917 e quali le conseguenze di questo intervento?

Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra al fianco dei paesi dell’Intesa. Motivo scatenante fu la decisione della Germania di iniziare una guerra sottomarina indiscriminata contro tutte le navi che partivano e arrivavano in Gran Bretagna per isolare l’isola e avere la meglio su di essa. Quest’atto, però, fu giudicato negativamente dal presidente americano Wilson, poiché quest’azione violava i diritti dei paesi neutrali. Gli Stati Uniti, quindi, interruppero le relazioni diplomatiche con la Germania e le dichiararono guerra.

 

Perché alla vigilia del primo conflitto mondiale si sciolse la seconda internazionale?

La seconda internazionale nacque nel 1889 a Parigi per opera dei partiti socialisti e laburisti europei. Questa organizzazione voleva coordinare i partiti nazionali che tutelavano gli interessi dei lavoratori: si voleva raggiungere il suffragio universale e il raggiungimento della giornata lavorativa di otto ore. La seconda internazionale si sciolse nel 1914 a causa di dissensi dovuti alla partecipazione al primo conflitto mondiale. C’era infatti chi si opponeva alla guerra perché i lavoratori, impegnati nei combattimenti, sarebbero ne stati danneggiati e chi pensava che essa avrebbe accelerato la fine del sistema capitalistico. Alla fine fu votato l’intervento in guerra, ma l’internazionale si sciolse.

 

Perché l’Italia passò da una iniziale posizione di non belligeranza all’intervento nel secondo conflitto mondiale?

L’Italia, al momento della dichiarazione di guerra, si dichiarò paese non belligerante. Mussolini, però, decise di prendere parte al conflitto nel giugno del 1940, in seguito alla caduta di Parigi per mano dei Tedeschi. Il duce inviò subito un esercito a combattere contro la Francia sul fronte alpino, ma quest’atto fu un errore perché i Francesi già avevano firmato l’armistizio con la Germania. L’esercito italiano, dunque, si limitò a una parziale penetrazione in territorio francese. Mussolini, in seguito, progettò di attuare una “guerra parallela” a quella tedesca contro la Gran Bretagna, con lo scopo di tenere questa nazione impegnata su tre fronti: nel Mediterraneo, in Africa settentrionale e in Africa orientale. Purtroppo, però, l’esercito italiano non riuscì a sconfiggere da solo la Gran Bretagna: Hitler fu costretto a mandare il suo esercito in aiuto dell’Italia e solo così la Gran Bretagna fu messa in difficoltà.

 

La politica economica del Fascismo vede il passaggio dal liberismo al protezionismo fino all’intervento dello Stato, illustra queste tre tappe

Tra il 1922 e il 1925, in seguito alla fine della crisi internazionale, l’Italia poté espandersi economicamente grazie alla politica liberista attuata dal governo. Si favorì, infatti, l’accumulazione del profitto attraverso la riduzione delle imposte, venne abolito il monopolio sulle assicurazioni sulla vita, il servizio telefonico fu privatizzato e si riuscì a tagliare la spesa pubblica. Nel 1925, invece, ci fu un ritorno al protezionismo. Si favorirono, cioè, le esportazioni a danno delle importazioni con la conseguente applicazione delle tariffe doganali. Il protezionismo di questo periodo riguardò soprattutto il grano. L’Italia non ne produceva abbastanza ed era costretta ad importarlo. Per far sì che il paese fosse autosufficiente, Mussolini diede inizio alla “battaglia del grano”: ne incentivò, cioè, la produzione, modernizzando l’agricoltura, aumentando i terreni coltivabili e dando premi agli agricoltori che ne producevano di più. Nel 1926 il Fascismo volle intervenire nelle questioni che riguardavano capitale e lavoro per il bene dello stato. Nacque, così, il corporativismo che ebbe la sua massima espressione con la pubblicazione della Carta del lavoro del 1927

 

I compiti istituzionali dello “Stato sociale” ed i motivi che hanno determinato la sua affermazione nel secondo dopoguerra

Lo stato sociale si propone di garantire un livello di vita dignitoso ai suoi cittadini, eliminando le ineguaglianze e ridistribuendo il reddito nazionale. Lo stato sociale si attua con l’assistenza, la previdenza sociale e la possibilità di tutti i cittadini di usufruire a determinati servizi, come la casa, la scuola e la sanità. L’idea di stato sociale nacque già sul finire del XIX secolo, ma si affermò maggiormente negli anni ’30 del Novecento con il New Deal del presidente americano Roosevelt. I principi del New Deal si diffusero maggiormente in Europa a partire dal secondo dopoguerra per due motivi: lo stato sociale è la conseguenza più logica dell’industrializzazione e della crescita economica; l’idea di stato sociale si sviluppa soprattutto nei paesi in cui prevalgono le ideologie socialiste e socialdemocratiche.

In quali anni fu attuata la costruzione dello “Stato totalitario” in Italia e quali furono i principali provvedimenti legislativi?

Dal 1925 al 1938 in Italia fu costruito lo “Stato totalitario”. Fu soprattutto negli anni che vanno dal 1925 al 1930 che Mussolini emanò leggi e provvedimenti volti a porre fine allo stato liberale. Infatti vennero eliminate le libertà fondamentali e ci fu un controllo capillare sulla stampa. Fu introdotta la censura e i giornali dovevano pubblicare solo i comunicati provenienti dal Ministero della Cultura Popolare. Negli anni ’30 iniziò la fascistizzazione della società: vennero create associazioni che organizzavano il tempo libero dei lavoratori e dei giovani. Dal 1925 al 1926 furono promulgate le leggi fascistissime: vennero sciolti i partiti contrari al fascismo, chiusi i giornali contrari al partito e fu introdotta la pena di morte contro chi attentava alla vita del re e del capo del governo. Nel 1928 il Gran Consiglio del Fascismo divenne l’unico organo costituzionale. Tra i provvedimenti più importanti del fascismo si ricordano i Patti Lateranensi del 1929 stipulati con la Chiesa e l’emanazione delle leggi razziali contro gli Ebrei nel 1938, periodo dell’apogeo dello stato totalitario.

 

La vigilia della Grande Guerra in Europa fu caratterizzata da una situazione politica di conflittualità tra le grandi potenze. Quali ne furono i motivi principali?

L’assassinio di Francesco Giuseppe, erede al trono d’Austria, fu solamente la goccia che fece traboccare il vaso per dare inizio alle ostilità. Gli stati europei, infatti, già erano in conflitto tra di loro. Infatti gli interessi di Austria e Russia erano rivolti verso la Penisola Balcanica. Inoltre c’erano forti tensioni tra Francia e Germania e una rivalità commerciale e navale tra la stessa Germania e Inghilterra. L’Europa, quindi, risultava divisa in due blocchi contrapposti: la Triplice Intesa, a cui aderivano Francia, Inghilterra e Russia, e la Triplice Alleanza, di cui facevano parte Austria, Germania e Italia.

 

Dopo la sconfitta degli imperi centrali si aprì a Versailles la Conferenza di pace per ridisegnare la geografia politica dell’Europa, quali furono i cambiamenti maggiori e le conseguenze più rilevanti?

I trattati di pace stipulati nel 1919 a Versailles ridisegnarono i confini territoriali dell’Europa. La Germania perse il suo impero coloniale, diviso tra Inghilterra, Francia e Giappone, e l’Alsazia e la Lorena ritornarono alla Francia. In Polonia, fu creato il cosiddetto Corridoio di Danzica, che garantiva ai Polacchi lo sbocco sul mare. Nacquero nuovi stati (la Cecoslovacchia, la Polonia e la Jugoslavia). L’Albania fu resa indipendente, mentre all’Italia furono dati il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e parte dell’Istria. Anche l’impero turco fu ridotto, mentre nell’Europa orientale si vide anche il nascere di nuovi stati indipendenti (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania).

 

Quale documento proclamava i principi del corporativismo fascista?

Il corporativismo è il sistema politico ed economico che vuole superare i contrasti tra datori di lavoro e lavoratori attraverso la mediazione dello stato. Il documento che proclamava i principi del corporativismo fascista era la Carta del lavoro del 1927. In essa ogni tipo di lavoro (intellettuale, tecnico e manuale) era definito un “dovere sociale” e si affermava che l’impresa era responsabile della propria produzione di fronte allo stato. Inoltre, per controllare la vita economica del paese, sempre nel 1926 nacque il Consiglio nazionale delle corporazioni, fu vietato lo sciopero e il Sindacato unico fascista ebbe autorità giuridica.

 

L’atteggiamento di Mussolini nei confronti di Hitler e della Germania negli anni 1933-1938

Nel 1934 Hitler aveva cercato di annettere l’Austria alla Germania. Mussolini, però, fu contrario a questo gesto e schierò le truppe italiane sul Brennero, dando un segnale di distacco alla Germania. Infatti partecipò, insieme a Francia e Inghilterra, agli incontri di Stresa. In questa occasione fu condannato il riarmo tedesco e fu garantita l’indipendenza all’Austria. Successivamente, però, l’atteggiamento di Mussolini cambiò. Infatti, nel 1936, Italia e Germania stipularono l’alleanza nota come Asse Roma-Berlino (esteso, poi, anche al Giappone) rivolto contro l’URSS e il comunismo. In seguito a quest’alleanza, Hitler riuscì ad annettere l’Austria e a stanziare truppe naziste sul Brennero. Infine, nel 1939, Italia e Germania firmarono il Patto d’acciaio: con esso le due potenze si impegnavano a darsi reciproca assistenza in caso di un conflitto

 

Le componenti storiche e giuridiche della Costituzione italiana del 1948

All’indomani del referendum del 2 giugno del 1946 (in cui il popolo decretò la fine della monarchia e l’inizio della repubblica), venne costituita una commissione di 75 membri con lo scopo di redigere la carta costituzionale da proporre all’assemblea costituente. Fecero parte della commissione gli esponenti più importanti di tutti i partiti. Nel dicembre del 1947 la Costituzione fu approvata dall’assemblea, ma entrò in vigore il 1 gennaio 1948. La Costituzione è l’insieme di norme, valori e principi giuridici che regolano i rapporti della comunità politica. La parte più importante è sicuramente costituita dai primi 12 articoli, che costituiscono i principi fondamentali. In essi si afferma che l’Italia è una repubblica rappresentativa, che la persona è titolare di diritti inviolabili e che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Inoltre si stabilisce il sistema parlamentare basato su due camere (deputati e senato), si istituiscono il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte Costituzionale, si afferma il referendum abrogativo, nascono le regioni e si riconoscono i Patti Lateranensi.

 

Il regime fascista operò un controllo capillare della produzione culturale: con quale efficacia?

Durante il periodo fascista, tutti i mezzi di comunicazione furono sottoposti al controllo del Ministero della Cultura popolare. Questo per divulgare sempre più le idee fasciste. Stampa e cinema diffondevano sistematicamente immagini e comunicati che esaltavano le opere del regime e davano importanza anche ai discorsi tenuti dal duce.
Per espandere maggiormente le idee fasciste fu creata, nel 1926, l’opera nazionale balilla: si trattava di un’organizzazione giovanile che dava un’istruzione morale, fisica e politica, basata sui valori del fascismo, ai ragazzi dai 10 ai 18 anni. Successivamente, questa organizzazione fu assorbita nella Gioventù Italiana del Littorio, sorta nel 1937.

 

Attraverso quali metodi e quali apparati Hitler consolidò lo stato totalitario?

Hitler fondò il partito nazionalsocialista tedesco (abbreviato in partito nazista). Nel 1923, con un colpo si stato, tentò di impadronirsi del potere, ma non vi riuscì e fu incarcerato. Uscito di prigione l’anno seguente, ricostruì il partito senza l’opposizione del governo. Nel 1929, in seguito alla Grande Depressione, Hitler fu in grado di attirarsi la benevolenza del popolo grazie alla promessa di creare una Germania forte, ricca e potente. Vinse, così, le elezioni del 1930. Nel 1933 Hitler ottenne dal presidente Paul von Hindenburg l’incarico di cancelliere. Subito dopo la nomina di cancelliere, nel giro di tre mesi, Hindenburg sciolse il parlamento furono emanate leggi che limitavano la libertà di stampa, il comunismo venne dichiarato illegale, Hitler incendiò il Parlamento, incolpando i comunisti del gesto e successive leggi stabilirono l’abrogazione di alcuni articoli della costituzione e ripristinarono la pena di morte per i reati gravi. Nelle elezioni del 1933, dunque, il partito di Hitler vinse le elezioni. La fine della repubblica di Weimar e l’avvento dello stato totalitario si ebbe quando il Parlamento decise di dare pieni poteri alla persona di Hitler, autorizzandone la dittatura.

 

Quali furono le cause della crisi del ’29?

La crisi del 1929, nota anche come Grande Depressione, fu determinata dall’improvviso crollo delle azioni della borsa di New York. Gli Stati Uniti avevano vissuto, negli anni ’20, un periodo di benessere economico grazie a una politica protezionistica, favorevole alla produzione interna, e agli investimenti di capitale all’estero (soprattutto in Europa). In borsa, quindi, si era dato vita a una frenetica azione di tipo speculativa: molti, cioè, avevano comprato azioni con lo scopo di rivenderle in poco prezzo a prezzo maggiorato. Purtroppo, però, già nel ’27-’28, c’erano stati segni di recessione economica: ci fu la crisi agraria ed iniziarono ad essere prodotti più beni di consumo durevoli rispetto all’effettiva richiesta del mercato. la situazione, perciò, degenerò nel famoso “giovedì nero”, il 24 ottobre del 1929 con il crollo della borsa di Wall Street.

 

Cosa stabilirono le leggi di Norimberga?

Le leggi di Norimberga, emanate nel 1935 da Adolf Hitler, furono rivolte contro gli Ebrei. Erano, quindi, leggi razziali che costituirono il culmine della politica discriminatoria contro le razze inferiori (gli Ebrei, appunto). La prima legge stabiliva che solo i cittadini tedeschi potevano partecipare alla vita politica, mentre gli Ebrei furono privati della cittadinanza e dei diritti politici e della cittadinanza. La seconda legge, invece, vietava i matrimoni misti e i rapporti sessuali tra Tedeschi ed Ebrei. Questa legge aveva lo scopo di salvaguardare il sangue tedesco da contaminazioni con le razze inferiori.

 

I governi della sinistra storica e le questioni meridionali

La sinistra storica detenne il potere dal 1876 al 1883. Il primo governo della sinistra fu presieduto da Agostino Depretis. Egli si proponeva di rafforzare l’istruzione obbligatoria (si doveva andare a scuola fino a nove anni), estendere il diritto di voto (votavano tutti i maschi che sapevano leggere e scrivere e pagavano 20 lire), eliminare gli sgravi fiscali su imposte indirette e attuare il decentramento amministrativo (questo punto, però, non fu attuato). In politica estera, l’Italia si allontanò dalla Francia, avvicinandosi all’Austria e alla Germania (Triplice Alleanza).

Con l’espressione “questione meridionale” si intende la differenza che si venne a creare tra il Sud e il Nord del paese all’indomani del raggiungimento dell’unità nazionale. Il Nord, infatti, era più ricco e industrializzato, mentre il Sud, rimasto legato al latifondo, era povero e non sviluppato. Al sud, quindi, si svilupparono la malavita e il brigantaggio. I governi cercarono di far fronte a questa situazione. I provvedimenti più importanti furono presi da Giolitti, che finanziò numerose costruzioni al sud, e dai governi del secondo dopoguerra che istituirono la Cassa per il Mezzogiorno.

 

Perché la prima guerra mondiale viene definita una guerra totale?

La Prima Guerra Mondiale, combattuta dal 1914 al 1918, fu definita guerra totale perché, per la prima volta nella storia, si fronteggiarono tutte le nazioni del mondo. La causa della guerra fu l’assassinio di Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, per mano di uno studente serbo. All’inizio si contrapposero le potenze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) contro quelle della Triplice Alleanza (Austria-Ungheria e Germania). L’Italia, inizialmente, pur facendo parte della Triplice Alleanza, si dichiarò neutrale (era stata, infatti, l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia). In un secondo momento, in seguito alla stipula del Trattato di Londra, decise di schierarsi a favore delle potenze dell’Intesa. Anche il Giappone, inizialmente neutrale, scese in campo al fianco dell’Intesa. La Turchia e la Bulgaria combatterono a favore dell’Alleanza, mentre nel 1916 la Romania intervenne a favore dell’Intesa. Sul fronte mediorientale, si ebbero scontri in Mesopotamia, Palestina e Arabia. Nel 1917 gli Stati Uniti e la Grecia entrarono in campo a favore dei paesi dell’Intesa e la Russia si ritirò dai combattimenti a causa della rivolta interna (la famosa rivoluzione russa). Scontri si ebbero anche in Africa e nei paesi del Pacifico.

 

Virus e sicurezza informatica: Phishing Avanzato – Captive Portal (Esperimento con dati reali)

Se possedete uno smartphone sicuramente viaggiando o semplicemente uscendo in città vi sarà capitato di cercare qualche rete WiFi a cui connettervi per aggiornare i social network, le mail o semplicemente fare qualche ricerca in internet. Continua a leggere “Virus e sicurezza informatica: Phishing Avanzato – Captive Portal (Esperimento con dati reali)”

Definizione di continuità

Definizioni di funzione continua

Definizione di funzione continua in un punto secondo Weierstrass

Sia \( f(x) \) una funzione di dominio \( D \subset \mathbb{R} \), e sia \( c \in D \). Nel caso in cui \( c \) è un punto di accumulazione di \( D \), diremo che la funzione \( f(x) \) è continua in \( c \) qualora risulti

\[ \begin{equation}\lim_{x \rightarrow c} f(x) = f(c) \label{eq1}\end{equation}\]

Se \( c \) è un punto isolato di \( D \), diremo che \( f(x) \) è continua in \( c \), senza ulteriori richieste sulla funzione.

Definizione di funzione discontinua in un punto

Se una funzione \( f(x) \) non è continua in \( c \), allora essa viene detta discontinua in \( c \).

Definizione di funzione continua

Se una funzione \( f(x) \) è continua \( \forall c \in D \), allora la si definisce continua.

Definizione di funzione continua in un punto secondo Cauchy

Sia data una funzione \( f(x) \) di dominio \( D \), e sia \( c \) un punto di accumulazione per \( D \) (non deve necessariamente risultare \( c \in D \)). Diremo allora che \( f(x) \) è continua in \( c \) se per ogni \( \epsilon \gt 0 \)  esiste un \( \delta \gt 0 \) tale che, se \( |x -c| \lt \delta \), allora \( |f(x) – f(c)| \lt \epsilon \). In formule,

\[ \begin{equation}\forall\epsilon\gt 0\ \ \exists\delta\gt 0: |x-c| \lt \delta \Rightarrow |f(x) – f(c)| \lt \epsilon \label{eq2}\end{equation} \]

 

 

Osservazione

Affinché la relazione \(\eqref{eq1}\) sia verificata è necessario che la funzione \( f \) assuma un valore in \( x = c \), ed è per questo che abbiamo richiesto \( c \in D \). Inoltre, si deve poter considerare il limite di \( f(x) \) per \( x \rightarrow c \), e quindi deve esistere una successione di punti di \( D \) che tende a \( c \): ciò è equivalente a richiedere che \( c \) sia un punto di accumulazione per \( D \). Infine, nella \(\eqref{eq1}\) si richiede l’uguaglianza tra il valore trovato come limite e quello della funzione in \( c \), fatto questo non scontato.

Osservazione

La definizione di Cauchy, che appare più difficile da capire di quella di Weierstrass, è stata creata molto tempo prima ed è in realtà ad essa del tutto equivalente. La \(\eqref{eq2}\) afferma, in termini più chiari, che una funzione è continua se, e soltanto se, comunque si scelga una distanza \(\epsilon\) è possibile trovare una distanza \(\delta\) tale che se \( x \) non dista da \( c \) più di \( \delta \) allora \( f(x) \) non dista da \( f(c) \) più di \( \epsilon \). Ciò è lo stesso che dire che punti “vicini” hanno immagini “vicine”; quanto vicino sia considerabile abbastanza è determinato dai valori di \(\epsilon\) e \( \delta \).

 

Esempi di funzioni continue e non continue

Esempio 1: Parabola.

Il grafico rappresentato nell’immagine seguente è quello di un ramo della parabola di equazione \(y = x^2\) , il cui dominio è \(D = \mathbb{R}\) e che è continua in ogni punto. Verifichiamo ad esempio che essa è continua nel punto \( c = 2 \):

\[\lim_{x\rightarrow 2} f(x) = \lim_{x\rightarrow 2} x^2 = 4 = 2^2 = f(2) \]

 

 

Esempio 2: Funzione polinomiale.

La proprietà vista nell’esempio precedente non è esclusiva della parabola. Tutte le funzioni polinomiali, cioè esprimibili nella forma  \( y = p(x) \) dove \( p(x) \) è un polinomio nell’indeterminata \( x \), sono definite su tutto \( \mathbb{R} \) e ivi continue. In particolare abbiamo che tutte le funzioni costanti, ovvero quelle del tipo \( y = k, k \in \mathbb{R} \), ed anche tutte le rette sono funzioni continue.

Esempio 3: Funzione discontinua con limiti infiniti.

Il prossimo grafico rappresenta la funzione \( y = 1/x \) , cioè un’iperbole equilatera riferita ai propri asintoti. Il suo insieme di definizione è \( D = \mathbb{R} – \{0\} \), quindi per forza di cose essa è discontinua nel punto \( c = 0 \). D’altra parte, si ha che

\[ \lim_{x \rightarrow 0^{-}} \frac{1}{x} = -\infty \text{      ,       } \lim_{x\rightarrow 0^{+}} \frac{1}{x} = +\infty \]

cosicché la \(\eqref{eq1}\) non è verificata in due modi: \( c \) non appartiene al dominio e non esiste il limite per \( x \rightarrow c \), visto che i limiti sinistro e destro non coincidono. In tutti i punti che appartengono a \( D \) la funzione è invece continua.
Se esaminiamo la validità della definizione di continuità in un punto secondo Cauchy con \( c = 0 \), osserviamo che indipendentemente da quanto stretto attorno allo 0 si scelga un intervallo, esso conterrà sempre punti le cui immagini sono distanti a piacere. Quindi l’iperbole equilatera è discontinua in 0 anche secondo Cauchy.

 

 

Esempio 4: Funzione discontinua con limiti finiti.

Nell’immagine che segue è rappresentato il grafico della funzione \( y = \frac{x\cos x}{|x|} \). Si prova con facilità che la funzione in esame non è continua in \( c = 0 \), dal momento che

\[ \lim_{x\rightarrow 0^{-}} \frac{x\cos x}{|x|} = -1 \text{      ,       } \lim_{x\rightarrow 0^{+}} \frac{x\cos x}{|x|} = +1 \]

e dunque non esiste il limite richiesto dalla \(\eqref{eq1}\), perché come nell’esempio precedente i limiti sinistro e destro non coincidono, anche se in questo caso essi sono finiti.

 

 

Osservazione

Dagli esempi precedenti emerge un’osservazione che può spesso aiutare nello studio delle funzioni continue, e cioè che una funzione è continua se e solo se il suo grafico può essere disegnato senza mai alzare la matita dal foglio; si tenga però conto che questo modo di vedere la definizione di continuità non è rigoroso e può trarre in inganno.

 

Risoluzione di equazioni numeriche intere e fratte

Risoluzione delle equazioni numeriche intere

Vediamo alcuni passaggi che si eseguono per risolvere un’equazione numerica intera nell’incognita x.

  • Per prima cosa, si eseguono le eventuali operazioni indicate e, eventualmente, si eliminano i denominatori, se presenti. Dopo aver svolto tali passaggi, nei due membri dell’equazione compariranno dei polinomi nell’incognita x, o delle costanti;
  • Poi, si trasportano tutti i monomi contenenti l’incognita al primo membro e tutti i termini noti al secondo;
  • Si sommano gli eventuali termini simili;
  • A questo punto, al secondo membro comparirà un numero, mentre al primo membro avremmo due casi possibili:
    • Dopo la riduzione dei termini simili, può comparire un monomio di primo grado in x, cioè un espressione del tipo ax, con a diverso da zero. In questo caso, si ha un’equazione di primo grado;
    • Dopo la riduzione dei termini simili, rimane zero, cioè tutti i termini al primo membro si elidono; in questo caso, diciamo che al primo membro si ha un’espressione del tipo ax, con a=0;
  • Abbiamo quindi un’equazione nella forma ax=b; consideriamo separatamente i due casi visti in precedenza:
    • Se a è diverso da zero, dividiamo per a entrambi i membri dell’equazione, e ricaviamo in questo modo la soluzione (in questo caso, l’equazione è determinata):\[ ax = b \rightarrow \frac{ax}{a} = \frac{b}{a} \rightarrow x = \frac{b}{a} \]
    • Se a=0, l’equazione è della forma \( 0 \cdot x = b \)

Dato che non è possibile dividere per zero, non si può procedere come in precedenza; inoltre, poiché qualsiasi numero moltiplicato per 0 da sempre zero, l’equazione si riduce sempre alla forma 0=b. Distinguiamo ora due casi:

  • Se anche b è zero, l’uguaglianza diventa 0=0, ed è quindi vera; l’equazione è quindi indeterminata, perché qualsiasi valore di x soddisfa questa uguaglianza;
  • Se invece b è diverso da zero, l’uguaglianza 0=b è falsa per qualsiasi valore di x: l’equazione è pertanto impossibile.

Vediamo uno schema riassuntivo per ricordare i diversi casi:

 

Schema riassuntivo delle equazioni numeriche intere

 

Equazioni numeriche frazionarie

Quando ci occupiamo delle equazioni frazionarie, cioè quelle equazioni in cui compare l’incognita anche al denominatore, dobbiamo tenere presente che potrebbero esserci alcuni valori della x che rendono l’equazione priva di significato, che possono cioè annullare i denominatori.

Definiamo quindi dominio di un’equazione in una incognita l’insieme dei numeri reali che, sostituiti al posto dell’incognita, trasformano l’equazione in una uguaglianza dotata di significato e che, quindi, è o vera o falsa.

Teniamo presenti alcune regole:

  • Nel caso delle equazioni frazionarie in una incognita, il dominio è costituito dall’insieme dei numeri reali privato i quei valori della x che rendono l’equazione priva di significato;
  • Se il dominio di un’equazione non viene specificato, si considera come dominio l’intero insieme dei numeri reali (questo è anche il caso delle equazioni intere in una incognita);

Quando risolviamo un’equazione e troviamo delle soluzioni, dobbiamo sempre verificare che esse appartengano al dominio della stessa, altrimenti non possiamo accettarle.
Per questo motivo, al posto del dominio si possono indicare le condizioni cui devono soddisfare le eventuali soluzioni; queste condizioni vengono dette condizioni di accettabilità, e si indicano: C.A.

 

Terzo principio di equivalenza delle equazioni

Moltiplicando o dividendo entrambi i membri di un’equazione di dominio D per una stessa espressione, contenente l’incognita x, che abbia significato del dominio e che non si annulli per alcun valore di x appartenente a D, si ottiene un’equazione che, nel dominio, è equivalente all’equazione data.

 

Risoluzione di un’equazione numerica frazionaria

Vediamo ora il procedimento per risolvere un’equazione numerica frazionaria:

  • Si scompongono in fattori i denominatori dell’equazione, se possibile;
  • Si scrivono le condizioni di accettabilità, o si esplicita il dominio dell’equazione;
  • Si riducono entrambi i membri dell’equazione allo stesso denominatore;
  • Si eliminano i denominatori, moltiplicando entrambi i membri per il denominatore comune;
  • si risolve l’equazione intera così ottenuta;
  • Delle soluzioni ottenute, si considerano solo quelle che soddisfano le condizioni di accettabilità, cioè quelle che appartengono al dominio.

 

Altre risorse utili

  • Esercizi svolti sulle equazioni con verifica

 

Discussioni sull’argomento dal forum

 

Principi di equivalenza e risoluzione di un’equazione

Equazioni equivalenti

Due equazioni, contenenti le medesime incognite, si dicono equivalenti quando tutte le soluzioni della prima sono soluzioni anche della seconda, e tutte quelle della seconda lo sono anche della prima.

Di conseguenza, per verificare se un’equazione è equivalente ad un’altra non basta controllare che tutte le sue soluzioni siano anche soluzioni della seconda, ma occorre verificare anche che tutte quelle della seconda siano anche soluzioni della prima.

Esempio di equazioni equivalenti

Consideriamo le seguenti due equazioni:

\( x^2 – 4 = 0 \text{          e           } (2x – 1)(2x+1) = 3(x^2+1) \)

Gli insiemi delle soluzioni della prima e della seconda equazione sono, rispettivamente:

\( S_1 = \{-2; +2\} \text{          } S_2 = \{-2; +2\} \)

Poiché gli insiemi sono uguali, possiamo concludere che le due equazioni sono equivalenti.

Esempio di equazioni non equivalenti

Consideriamo ora le seguenti equazioni:

\( x^2 – 4 = 0 \text{          e          } x^3 – x^2 – 4x + 4 = 0 \)

 

I loro insiemi delle soluzioni sono:

\( S_1 = \{-2; +2\} \text{          } S_2 = \{-2; +2\} \)

Possiamo notare che le soluzioni della prima equazione sono anche soluzioni della seconda, ma non tutte le soluzioni della seconda lo sono anche della prima; gli insiemi delle soluzioni, infatti, non coincidono.
Possiamo quindi concludere che le equazioni non sono equivalenti.

L’equivalenza di equazioni gode della proprietà transitiva, quindi due equazioni che sono equivalenti ad una terza sono anche equivalenti fra loro.

Trasformare un’equazione significa passare da essa ad un’altra equivalente.

Quando si risolve un’equazione, si trasforma l’equazione, mediante diversi passaggi, in un’equazione equivalente, passando per equazioni intermedie che sono tutte equivalenti a quella data. Alla fine, si ottiene un’equazione molto semplificata, di cui è facile calcolare le soluzioni.

Vediamo ora alcuni principi di equivalenza che ci permettono di trasformare un’equazione in un’altra equivalente.

  1. Primo principio di equivalenza

aggiungendo (o sottraendo) ad ambedue i membri di un’equazione una medesima espressione algebrica intera si ottiene un’equazione equivalente a quella data.

Questo principio ci dice, quindi, che, data un’equazione in una incognita, con primo membro A e secondo membro B, possiamo aggiungere o togliere un’espressione algebrica M senza che l’equazione venga modificata, ottenendo cioè un’equazione equivalente:

\( A = B \text{ è equivalente a } A \pm M = B \pm M \)

 

Da questa proprietà derivano alcune importanti conseguenze:

Regola di eliminazione

Se uno stesso termine figura, come addendo, nei due membri di unequazione, esso può essere eliminato, poiché questa operazione equivale a togliere ad entrambi i membri dellequazione una stessa quantità.

esempio:      nell’equazione \( 2x^2 – 3x + 2 = 10 – 3x \)

possiamo eliminare il termine -3x, poiché esso compare sia al primo che al secondo membro; otteniamo così, l’equazione equivalente:

\( 2x^2 + 2 = 10 \)

Regola del trasporto

Si può sempre trasportareun termine di unequazione da un membro allaltro, purché gli si cambi il segno. Questa operazione, infatti, equivale ad aggiungere ad entrambi i membri il termine opposto a quello in questione.

 

esempio    consideriamo l’equazione \( 2x^2 = 5 – 8x \)

Se vogliamo “trasportare” al primo membro il termine -8x dobbiamo aggiungere ad entrambi i membri dell’equazione il suo opposto, cioè 8x:

\( 2x^2 + 8x = 5 – 8x + 8x \)

In questo modo, i termini -8x e 8x si semplificano al secondo membro, mentre nel primo vi rimane 8x:

\( 2x^2 + 8x = 5 \)

Possiamo quindi dire che in un’equazione si possono trasportare tutti i termini del secondo membro al primo, cosicché al secondo membro rimanga zero.

Secondo principio di equivalenza delle equazioni

moltiplicando o dividendo entrambi i membri di unequazione per uno stesso numero diverso da zero, o per una stessa espressione che non possa annullarsi e che, se contiene incognite, sia definita per qualunque valore ad esse attribuito, si ottiene unequazione equivalente a quella data.

Essendo quindi A il primo membro di un’equazione, e B il secondo, possiamo moltiplicare o dividere sia A che B per una stessa quantità M con le proprietà sopra descritte, ottenendo un’equazione equivalente:

\( A = B \text{ è equivalente ad } A \cdot M = B \cdot M  \text{ e ad } A : M = B : M \)

Vediamo alcune conseguenza che derivano da questo principio:

Se i due membri di unequazione hanno un fattore numerico comune, questo può essere eliminato, poiché questo equivale a dividere entrambi i membri dellequazione per una stessa quantità.

esempio     nell’equazione \( 9x + 12 = 3x – 15 \)

il numero 3 è un fattore comune al primo e al secondo membro; possiamo quindi dividere entrambi per 3:

\( 3 ( 3x + 4) = 3 ( x – 5) \)

\( 3 (3x + 4) : 3 = 3 (x – 5) : 3 \)

\( 3x + 4 = x – 5 \)

Cambiando i segni a tutti i termini di unequazione se ne ottiene unaltra equivalente alla data. Infatti, questa operazione equivale a moltiplicare entrambi i membri per -1.

Moltiplicando entrambi i membri di unequazione intera per una espressione conveniente si può trasformare lequazione in unaltra equivalente in cui non compaiono denominatori.

A questo scopo, basta moltiplicare entrambi i membri dell’equazione per il m.c.m. dei denominatori che figurano nell’equazione, e così si “libera” l’equazione dai denominatori.

esempio:     consideriamo l’equazione \( 3x + \frac{2x-1}{6} = \frac{x-1}{9} – \frac{4}{3} \)

Il m.c.m. dei denominatori è 18; quindi, per eliminare i denominatori e rendere l’equazione più semplice, moltiplichiamo ambo i membri per 18:

\( \Big(3x + \frac{2x-1}{6}\Big) \cdot 18 = \Big(\frac{x-1}{9} – \frac{4}{3} \Big) \cdot 18 \)

Svolgiamo la moltiplicazione, e otteniamo l’equazione equivalente:

\( 54x + 6x – 3 = 2x – 2 – 24 \)

 

Grado di unequazione in una incognita

Consideriamo un’equazione in una incognita in cui, effettuando vari passaggi, tutti i termini sono stati portati al primo membro, mentre il secondo membro è zero. Un’equazione di questo tipo è detta in forma canonica, o anche in forma normale.

Si definisce grado di un’equazione in una incognita x, scritta in forma canonica, il grado del polinomio che compare al primo membro rispetto alla lettera x.

 

 

Equazioni determinate, indeterminate, impossibili

Introduzione

In matematica compaiono spesso uguaglianze di espressioni, alcune delle quali sono universali, cioè sono vere per qualsiasi valore delle incognite (in questo caso si parla di identità) come per esempio nel caso dei prodotti notevoli:

\[ (x+y)^2 = x^2 + y^2 + 2xy \]

mentre altre valgono solo per alcuni valori delle lettere che vi compaiono, come:

\[ x + y = 5 \]

alcune uguaglianze, poi, risultano essere sempre false:

\[ x^2 + y^2 = – 3 \]

Definiamo, quindi, un’equazione come un’uguaglianza tra due espressioni contenenti una o più lettere.

 

Definizioni

  • Le espressioni che si trovano a sinistra e a destra del simbolo di uguaglianza vengono definiti primo membro e secondo membro; questi possono essere scambiati per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza;
  • Se compare una sola lettera nell’uguaglianza, essa viene definita incognita;
  • se compaiono più lettere nell’uguaglianza, una o più di esse è un’incognita, altre possono essere lettere definite parametri;
  • Le incognite sono le lettere di cui ci è ignoto il valore: risolvere un’equazione significa determinare il valore delle incognite che verificano l’equazione;
  • I parametri sono dei numeri noti di cui però non è specificato il valore (possono anche non essere presenti).

 

Classificazione delle equazioni

In base alle loro componenti, le equazioni possono essere suddivise per tipologia; se nell’equazione sono presenti dei parametri, l’equazione viene definita letterale, altrimenti l’equazione si dice numerica. Un’equazione può essere intera, o frazionaria, nel caso in cui compaiano delle incognite al denominatore.

Ecco uno schema che riassume la classificazione delle equazioni:

 

 

Soluzioni di un’equazione in una incognita

Consideriamo solo equazioni in un’incognita che, generalmente, viene indicata con x. Sostituendo un numero al posto di un’incognita, l’equazione si trasforma in un’uguaglianza tra due espressioni numeriche; questa uguaglianza può essere vera o falsa.
Le soluzioni (o radici) di un’equazione lineare in un’incognita sono quei numeri che, sostituiti al posto dell’incognita, trasformano l’equazione in un’uguaglianza vera.

Si dice anche che i numeri soddisfano o verificano l’equazione data.

Consideriamo l’equazione

\( \frac{1}{2}(x-1)+3x=2(x+2) \)

Sostituendo all’equazione il numero 3 abbiamo:

\( \frac{1}{2}(3-1)+3\cdot 3 = 2(3+2) \)

\(\frac{1}{2}\cdot 2 + 9 = 2 \cdot 5 \)

\( 1 + 9 = 10 \)

\( 10 = 10 \)

Quindi, l’equazione è verificata, e 3 è soluzione.

 

Insieme delle soluzioni di un’equazione in una incognita

Risolvere un’equazione in una incognita significa determinare l’insieme delle soluzioni dell’equazione; tale insieme viene generalmente indicato con S, ed è un insieme di numeri reali.
In base alla composizione di S, l’equazione viene definita determinata, indeterminata o impossibile.

  • un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni contiene un numero finito di elementi.

Esempio di equazione determinata

L’equazione \( x^2 – 4 = 0 \) ha due soluzioni: +2 e -2; infatti:

\( 2^2 – 4 = 0 \rightarrow 4 – 4 = 0 \)

\( (-2)^2 – 4 = 0 \rightarrow 4 – 4 = 0 \)

Poiché \( S = \{-2; +2\} \) , l’equazione è determinata.

 

  • Un’equazione si dice impossibile se non ha soluzioni, cioè se sostituendo qualsiasi numero all’equazione si ottiene un’uguaglianza falsa; se, cioè, l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto;

Esempio di equazione impossibile

Consideriamo l’equazione \( x = x + 5 \)

notiamo che sostituendo qualsiasi valore alla x, l’uguaglianza non sarà mai verificata; l’equazione è pertanto impossibile.

 

  • Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni contiene un numero infinito di elementi, cioè se le soluzioni dell’equazione sono infinite.

Esempio di equazione indeterminata

Consideriamo l’equazione che deriva dallo sviluppo del quadrato del binomio:

\( (x+1)^2 = x^2 + 2x + 1 \)

Notiamo che, in questo caso, quando sostituiamo valori alla x, otteniamo sempre un’uguaglianza vera, per qualsiasi valore che viene sostituito. L’equazione ha quindi infinite soluzioni, ed è pertanto indeterminata.

Si può anche scrivere: \( S = \mathbb{R} \)

 

Altro materiale di supporto

 

 

 

 

 

 

 

 

34 domande di test sulle equazioni di primo grado.

 

Operazioni con le frazioni algebriche

Scheda sulle principali operazioni con le frazioni algebriche.

Riduzione di frazioni algebriche allo stesso denominatore

Ridurre le frazioni algebriche allo stesso denominatore è molto importante, poiché ci permette di effettuare poi operazioni con esse, o di farlo più agevolmente. Procediamo in questo modo:

  • semplifichiamo le frazioni date e, se possibile, riduciamole ai minimi termini;
  • determiniamo il m.c.m. dei denominatori delle frazioni;
  • dividiamolo per ognuno dei denominatori delle frazioni date;
  • moltiplichiamo il numeratore di ciascuna frazione per il corrispondente quoziente determinato nel punto precedente.

Esempio:

Consideriamo le frazioni \( \frac{3ab}{b^2c} \); \( \frac{2a^3b}{3ab^4} \);

Per ridurle allo stesso denominatore, procediamo seguendo le regole: il m.c.m. dei denominatori è

\[ m.c.m(b^2c : 3ab^4) = 3ab^4c \]

Dividiamolo per i denominatori delle frazione, e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori:

\( 3ab^4c : b^2c = 3ab^2 \)

\( 3ab \cdot 3ab^2 = 9a^2b^3 \)

 

\( 3ab^4c : 3ab^4 = c \)

\( 2a^3b\cdot c = 2a^3bc \)

Le frazioni ottenute sono quindi:

\( \frac{9a^2b^3}{3ab^4c} \) e \( \frac{2a^3bc}{3ab^4c} \)

 

Somma algebrica di frazioni algebriche

La somma algebrica di due o più frazioni algebriche, che hanno lo stesso denominatore, è la  frazione che ha per denominatore lo stesso denominatore delle frazioni di partenza,  e per numeratore la somma algebrica dei numeratori:

\[ \frac{A}{C}+\frac{B}{C} = \frac{A + B}{C} \]

Se le frazioni da sommare hanno un denominatore diverso, dobbiamo prima ridurle allo stesso denominatore.

Nel caso in cui volessimo sommare più frazioni algebriche contemporaneamente, dobbiamo ridurle tutte allo stesso denominatore, creare un’unica frazione con questo denominatore, e calcolare il numeratore sommando tutti i numeratori delle frazioni, eventualmente riducendo i termini simili.

Esempio:  sommiamo le seguenti frazioni: \( \frac{3b+y}{3b}+\frac{b-y}{y} \)

Per prima cosa, riduciamo le frazioni allo stesso denominatore:

\( \frac{y(3b+y)}{3by}+\frac{3b(b-y)}{3by}=\frac{3by+y^2}{3by}+\frac{3b^2-3by}{3by} \)

La frazione risultante dalla somma ha per numeratore la somma dei numeratori delle frazioni ottenute, e per denominatore lo stesso di queste:

\( \frac{3by+y^2}{3by}+\frac{3b^2-3by}{3by}=\frac{3by+y^2+3b^2-3by}{3by} \)

Semplifichiamo la frazione:

\( \frac{3by+y^2+3b^2-3by}{3by} = \frac{y^2+3b^2}{3by} \)

 

Prodotto di frazioni algebriche

Il prodotto di due o più frazioni algebriche è la frazione algebrica che ha per numeratore il prodotto dei numeratori, e per denominatore il prodotto dei denominatori:

\[ \frac{A}{B}\cdot\frac{C}{D}=\frac{A\cdot C}{B \cdot D} \]

Prima di moltiplicare due ò più frazioni algebriche è utile scomporle in fattori e cercare di ridurle ai minimi termini.

 

Esempio: svolgiamo il prodotto \( \frac{2x^3}{x+y}\cdot\frac{x^2+2xy+y^2}{4xy}\cdot\frac{2y}{x^2-y^2} \)

Per prima cosa, scomponiamo le frazioni e cerchiamo di semplificarle:

\( \frac{2x^3}{x+y}\cdot\frac{(x+y)^2}{4xy}\cdot\frac{2y}{(x+y)\cdot(x-y)} \)

Moltiplichiamo le frazioni:

\( \frac{2x^3 \cdot (x+y)^2 \cdot 2y}{(x+y)\cdot 4xy\cdot (x+y)\cdot (x-y)} \)

Semplificando la frazione otteniamo \( \frac{x^2}{x-y} \)

 

Frazione reciproca di una frazione algebrica

Due frazioni di dicono reciproche,  o inverse, se il loro prodotto è uguale a 1.

Considerando la frazione \( \frac{A}{B} \), la sua reciproca è \( \frac{B}{A} \), infatti:

\( \frac{A}{B}\cdot\frac{B}{A}=\frac{A\cdot B}{B\cdot A}=\frac{AB}{AB}=1 \)

 

Quoziente di frazioni algebriche

Il quoziente di due frazioni algebriche, la seconda delle quali con numeratore diverso dal polinomio nullo, è il prodotto della prima per il reciproco della seconda:

\[ \frac{A}{B} : \frac{C}{D} = \frac{A}{B} \cdot \frac{D}{C} \]

Nel caso in cui vi siano più di due frazioni una di seguito all’altra, concatenate dal simbolo di divisione, le operazione vanno svolte nell’ordine in cui compaiono, da sinistra verso destra.

 

Esempio:  calcoliamo la seguente divisione: \( \frac{1}{3a+3x}:\frac{2x}{a+x} \)

Per prima cosa, cerchiamo di semplificare e di ridurre le frazioni:

\( \frac{1}{3(a+x)} : \frac{2x}{a+x} \)

La divisione fra frazioni è data dal prodotto della prima per il reciproco della seconda:

\( \frac{1}{3(a+x)} : \frac{2x}{a+x} = \frac{1}{3(a+x)}\cdot \frac{a+x}{2x} \)

Svolgiamo il prodotto:

\( \frac{1}{3(a+x)}\cdot\frac{a+x}{2x}=\frac{a+x}{3(a+x)\cdot 2x}=\frac{1}{6x} \)

 

Frazioni a termini frazionari

Se i termini di una frazione algebrica sono anch’essi frazioni, questa può essere ricondotta ad una frazione algebrica a termini interi, cioè:

\[ \frac{\frac{A}{B}}{\frac{C}{D}} = \frac{A}{B}:\frac{C}{D}=\frac{A}{B}\cdot\frac{D}{C}=\frac{AD}{BC} \]

 

Potenza di una frazione algebrica

La potenza di una frazione algebrica è una frazione algebrica che ha per numeratore la potenza del numeratore, e per denominatore la potenza del denominatore:

\[ \Big(\frac{A}{B}\Big)^n = \frac{A^n}{B^n} \]

Il concetto è valido anche se l’esponente è negativo:

\( \Big(\frac{A}{B}\Big)^{-1} = \frac{A^{-1}}{B^{-1}} = \frac{\frac{1}{A}}{\frac{1}{B}}=\frac{1}{A}:\frac{1}{B}=\frac{1}{A}\cdot B = \frac{B}{A} \)

 

Altre risorse utili

Capitolo sulle Frazioni algebriche nel Manuale C3 Algebra 1.

 

Frazioni algebriche

Introduzione

Una frazione algebrica è un’espressione della forma \( \frac{A}{B} \) dove \( A \) e \( B \) sono polinomi, e \( B \ne 0 \) , cioè \( B \) non è il polinomio nullo. Così come per le frazioni numeriche, anche in questo caso il polinomio \( A \) prende il nome di numeratore, mentre il polinomio \( B \) viene definito denominatore.

Una frazione algebrica, dunque, rappresenta il quoziente tre due polinomi; queste sono esempi di frazioni algebriche:

\( \frac{5ab^2 + 2a}{3b^2-2b} \text{  ;  } \frac{3xy+y^2}{xyz} \text{  ;  } \frac{xy+2y^2-5y}{xy^2+2y} \)

 

Possiamo considerare come frazione algebrica qualunque polinomio, dal momento che ogni polinomio diviso per 1 è uguale a se stesso:

\( 3xy + y^2 = \frac{3xy+y^2}{1} \)

I termini di una frazione algebrica possono essere costituiti anche da soli monomi; se entrambi i termini sono monomi, allora la frazione viene definita monomio frazionario.
Per esempio: \(\frac{xy}{2z} \), \( \frac{1}{a} \), \( \frac{y}{x} \) sono monomi frazionari.

 

Condizioni di esistenza di una frazione algebrica

Ogni espressione algebrica corrisponde ad un valore numerico se sostituiamo opportuni valori alle sue lettere; quindi, l’espressione algebrica ha significato solo se il suo denominatore sarà diverso da zero.

Porre le condizioni di esistenza di una frazione algebrica (C. E.) significa determinare tutti i valori che possiamo attribuire alle lettere affinché l’espressione abbia significato, o anche determinare quei valori per cui l’espressione perde significato.

Possiamo affermare che una frazione algebrica è definita, o esiste, per i valori delle lettere che soddisfano le condizioni di esistenza.

Esempio

Consideriamo la frazione algebrica \( \frac{3 + 2x}{x – 5} \); cerchiamo di capire in quali casi la frazione perde significato. Il polinomio che costituisce il denominatore, cioè \( x – 5 \), non è il polinomio nullo, quindi di per se non crea problemi; sappiamo però che una frazione algebrica può assumere un valore numerico se sostituiamo alle lettere dei numeri; proviamo, per esempio, a sostituire alla x il valore 5:

\( \frac{3+2x}{x-5}=\frac{3+2\cdot 5}{5-5}=\frac{3+10}{0}=\frac{13}{0} \)

Otteniamo una frazione che ha 0 per denominatore, e che quindi non ha significato; questo significa che la frazione algebrica di partenza perde significato per \( x = 5 \), e solamente per questo valore. Possiamo quindi scrivere:  \( C. E.: x \ne 5 \).

 

Frazioni equivalenti

Così come nel caso delle frazioni numeriche, anche per quelle algebriche si può parlare di equivalenza fra frazioni.

Due frazioni algebriche \( \frac{A}{B} \) e \( \frac{C}{D} \), con \( A \), \( B \), \( C \), \( D \) polinomi (\( B \) e \( D \) non nulli) si dicono equivalenti se si ha \( C \cdot B = A \cdot D \).

Possiamo quindi scrivere \( \frac{A}{B}=\frac{C}{D} \).

 

Proprietà invariantiva delle frazioni algebriche

Per la proprietà invariantiva, possiamo moltiplicare o dividere numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio non nullo ottenendo una frazione algebrica equivalente a quella di partenza.

Per esempio, cambiando segno sia al numeratore che al denominatore, cioè moltiplicando per -1, si ottiene una frazione equivalente:

\( \frac{x-y}{a-b}=\frac{(-1)\cdot(x-y)}{(-1)\cdot(a-b)}=\frac{-x+y}{-a+b}=\frac{y-x}{b-a} \)

Se invece moltiplichiamo solo il numeratore, o solo il denominatore, per -1, otteniamo una frazione algebrica opposta, che si può anche indicare con un meno davanti all’intera frazione:

\( -\frac{A}{B} = \frac{-A}{B} = \frac{A}{-B} \)

 

Semplificazione delle frazioni algebriche

Per la proprietà invariantiva che abbiamo illustrato prima, se dividiamo sia il numeratore che il denominatore per uno stesso fattore, otteniamo una frazione equivalente; quindi, se il numeratore e il denominatore sono multipli di un fattore comune, possiamo dividerli entrambi per quel fattore. Questa operazione prende il nome di semplificazione di una frazione algebrica.

Dividendo i termini di una frazione algebrica per il loro M.C.D. si ottiene una frazione ridotta ai minimi termini, cioè una frazione che non è ulteriormente semplificabile; viene anche definita frazione irriducibile.

La semplificazione del fattore comune consiste nell’”eliminazione” di quel fattore, dopo aver scomposto sia numeratore che denominatore in fattori; i passi da svolgere sono questi:

  • Scomporre in fattori sia numeratore che denominatore;
  • Eliminare i fattori comuni al numeratore e al denominatore;
  • Scrivere la frazione così ottenuta.

\( \frac{x^2-xy}{x^2-y^2}=\frac{x\cdot(x-y)}{(x+y)\cdot(x-y)}=\frac{x\cdot\color{red}{\cancel{(x-y)}}}{(x+y)\cdot\color{red}{\cancel{(x-y)}}}=\frac{x}{x+y} \)

In particolare:

  • Se si semplificano tutti i fattori del numeratore, dopo la semplificazione si scrive 1 al numeratore;
  • Se si semplificano tutti i fattori al denominatore, esso è uguale a 1, e quindi la frazione algebrica si riduce ad un polinomio (uguale al numeratore della frazione ottenuta);
  • Se il numeratore e il denominatore sono uguali, semplificandoli otteniamo 1;
  • Se il numeratore e il denominatore sono opposti, con la semplificazione si ottiene -1.

 

Altre risorse utili

 

 

M.C.D. e m.c.m tra polinomi

Per introdurre i concetti di massimo comun divisore e minimo comune multiplo tra polinomi dobbiamo definire prima il concetto di divisore comune di polinomi.

Divisore comune

Se due o più polinomi sono divisibili per uno stesso polinomio, allora questo polinomio si dice divisore comune dei polinomi dati.

Consideriamo ora due polinomi \( P(x) \) e \( Q(x) \) e supponiamo di essere riusciti a scomporli in fattori irriducibili, cioè che non possono più essere scomposti in polinomi di grado inferiore.

 

Massimo comun divisore tra polinomi

Il massimo comun divisore tra polinomi (M.C.D.) può essere ottenuto nel seguente modo:

  • Il massimo comun divisore (M.C.D.) di due o più polinomi scomposti in fattori irriducibili, è dato dal prodotto dei fattori comuni, presi una sola volta, con il minimo esponente.

 

Minimo comune multipolo tra polinomi

Il minimo comune multiplo tra polinomi (m.c.m.) può essere ottenuto nel seguente modo:

  • Il minimo comune multiplo (m.c.m.) di due o più polinomi scomposti in fattori irriducibili, è dato dal prodotto dei fattori comuni e non comuni, presi una sola volta, con il massimo esponente.

 

Esempio di calcolo del massimo comune divisore di polinomi

Calcoliamo il M.C.D. dei seguenti polinomi:

\( A = 4a^5 + 8a^4b + 4a^3b^2 \)

\( B = 6a^4 + 6ab^3 \)

\(C = 10a^3 – 10ab^2 \)

Per prima cosa, dobbiamo scomporre in fattori irriducibili i polinomi dati; cominciamo dal polinomio \( A \).

Il polinomio \( A \) presenta tre termini che hanno tutti  \( 4a^3 \) come fattore comune; possiamo quindi metterlo in evidenza. Notiamo che questa è l’unica scomposizione possibile, non possiamo effettuare un raccoglimento parziale, e per il momento non riconosciamo prodotti notevoli.

\( A = 4a^5 + 8a^4b + 4a^3b^2 = 4a^3 \cdot (a^2 +2ab + b^2) \)

 

Ora, guardiamo il polinomio fra parentesi: abbiamo un quadrato \( (a^2) \) un doppio prodotto \( (2ab) \) e un altro quadrato \( (b^2) \) ; riconosciamo quindi il quadrato di un binomio: \( (a^2 + 2ab + b^2) = (a + b)^2 \)

Il polinomio \( A \), scomposto in fattori irriducibili, diventa quindi:

\( A = 4a^3 \cdot (a + b)^2 \)

 

Passiamo ora al polinomio \( B \); anche in questo caso, notiamo che i due termini del polinomio hanno in comune il fattore \( (6a) \), che possiamo mettere in evidenza:

\( B = 6a^4 + 6ab^3 = 6a \cdot (a^3 + b^3) \)

Ora, il polinomio fra parentesi tonde si presenta come somma di due cubi; ricordando la regola per questo prodotto notevole, esso si scompone in questo modo:

\( (a^3 + b^3) = (a + b) \cdot (a^2 – ab + b^2) \)

Il polinomio \( B \), scomposto in fattori irriducibili, si presenta così:

\( B = 6a \cdot (a + b) \cdot (a^2 – ab + b^2) \)

Passiamo al polinomio \( C \), dove possiamo mettere in evidenza il fattore comune \( 10a \):

\( C = 10a^3 – 10ab^2 = 10a \cdot (a^2 – b^2) \)

Il polinomio tra parentesi si presenta come differenza di due quadrati, che possiamo scomporre in questo modo:

\( (a^2 – b^2) = (a + b) \cdot (a – b) \)

Quindi, il polinomio \( C \) scomposto in fattori sarà:

\( C = 10a \cdot (a + b) \cdot (a – b) \)

 

Per calcolare il massimo comun divisore dei polinomi  \( A \), \( B \), \( C \), dobbiamo cercare i fattori comuni a tutti i polinomi, e prenderli con il grado più basso;  avremmo  quindi che:

\( A = 2 \cdot \color{red}{2} \cdot \color{red}{a} \cdot a^2 \cdot \color{red}{(a + b)} \cdot (a + b) \)

\( B = 3 \cdot \color{red}{2} \cdot \color{red}{a} \cdot \color{red}{(a + b)} \cdot (a^2 – ab + b^2) \)

\( C = 5 \cdot \color{red}{2} \cdot \color{red}{a} \cdot \color{red}{(a + b)} \cdot (a – b) \)

 

\( M. C. D. (A, B, C) = 2a \cdot (a + b) \)

 

Per quanto riguarda il minimo comune multiplo dei polinomi  \( A \), \( B \), \( C \), dobbiamo cercare i fattori comuni e non comuni dei polinomi, e prenderli con il grado più alto; avremmo quindi che:

\( A = \color{blue}{2^2 \cdot a^3} \cdot \color{blue}{(a + b)^2} \)

\( B = 2 \cdot \color{blue}{3} \cdot a \cdot (a + b) \cdot \color{blue}{(a^2 – ab + b^2)} \)

\( C = 2 \cdot \color{blue}{5} \cdot a \cdot (a + b) \cdot \color{blue}{(a – b)} \)

 

\( m. c. m.( A, B, C) = 4a^3 \cdot 3 \cdot 5 \cdot (a + b)^2 (a^2 – ab + b^2) \cdot (a – b) = \)

\( 60a^3 (a + b)^2 (a^2 -ab + b^2) (a – b) \)

 

Altro materiale utile

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scomposizione di polinomi con Ruffini

Il metodo di scomposizione di polinomi con Ruffini è meno immediato dei precedenti, quindi verrà utilizzato solo nei casi in cui non è possibile applicare gli altri. I polinomi su cui verrà applicato il metodo sono polinomi con un’unica lettera (x), che indicheremo con \( P(x) \).

 

Radici di un polinomio

Definiamo c come radice del polinomio \( P(x) \) se per \( x = c \) il polinomio assume il valore zero, cioè se sostituendo il valore \( c \) alla lettera \( x \) del polinomio, questo diventa il polinomio nullo; per questo motivo, ogni radice può anche essere definita zero del polinomio.

\[ c \text{ è radice di } P(x) \Leftrightarrow P(c) = 0 \]

Esempio:    Consideriamo il polinomio \( P(x) = 2x^3 -+ x^2 – 13x + 6 \); possiamo affermare che il valore 2 è una radice del polinomio; per verificarlo, sostituiamo il valore alla x:

\( P(2) = 2 \cdot 2^3 + 2^2 – 13 \cdot 2 + 6 = 2 \cdot 8 + 4 – 26 + 6 = 16 + 4 – 26 + 6 = 0 \)

Possiamo verificare che anche  \( -3 \) e \( \frac{1}{2} \) sono radici del polinomio;

procediamo come in precedenza:

\( P(-3) = 2 \cdot (-3)^3 + (-3)^2 – 13 \cdot (-3) + 6 = 2 \cdot (-27) + 9 + 39 + 6 = \)

\( -54 + 9 + 39 + 6 = 0 \)

\( P\Big(\frac{1}{2}\Big) = 2 \cdot \Big(\frac{1}{2}\Big)^3 + \Big(\frac{1}{2}\Big)^2 – 13 \cdot \frac{1}{2} + 6 = \)

\( 2 \cdot \frac{1}{8} + \frac{1}{4} – \frac{13}{2} + 6 = \frac{1}{4} + \frac{1}{4} – \frac{13}{2} + 6 = \)

\( \frac{1+1-26+24}{4} = \frac{0}{4} = 0 \)

Si può dimostrare che un polinomio di grado n ha al massimo n radici.

Per determinare le radici di un polinomio, quindi, diamo la seguente regola:

  • Dato un polinomio in una variabile, a coefficienti interi, le sue eventuali radici intere sono da ricercare tra i divisori del termine noto.

Esempio:  Nel caso del polinomio dell’esempio precedente,

\[ P(x) = 2x^3 + x^2 – 13x + 6 \]

avremmo dovuto cercare le sue radici fra i divisori di 6, che sono:

\(\pm 1; \pm 2; \pm 3; \pm 6; \) sostituendoli poi alla ‘x’ del polinomio, avremmo stabilito quale fra esse è effettivamente uno zero del polinomio.

Esempio: Cerchiamo le radici del polinomio \( P(a) = 2a^2 – 3a – 2 \)

I divisori di 2 sono: \( \pm 1 \); \( \pm 2 \); proviamo a sostituirli nel polinomio:

\( P(1) = 2 \cdot 1^2 – 3 \cdot 1 – 2 = 2 – 3 – 2 = -3 \)

\( P(-1) = 2 \cdot (-1)^2 – 3 \cdot (-1) – 2 = 2 + 3 – 2 = 3 \)

\( P(2) = 2 \cdot 2^2 – 3 \cdot 2 – 2 = 8 – 6 – 2 = 0 \)

\( P(-2) = 2 \cdot (-2)^2 – 3 \cdot (-2) – 2 = 8 + 6 – 2 = 12 \)

Notiamo che solo nel caso \( a = 2 \) il polinomio si annulla, quindi solo 2 è radice del polinomio.

Generalizzando la regola vista prima, possiamo trovare anche redici razionali, se esistono di un polinomio; questo metodo ci permette anche di trovare quelle intere:

  • Dato un polinomio ad una variabile a coefficienti interi, le eventuali radici razionali sono da ricercare tra i numeri del tipo \( \pm \frac{m}{n} \) dove \( m \) è un divisore del termine noto, e \( n \) un divisore del coefficiente del termine di grado massimo.

 

Teorema del resto

Il resto della divisione di un polinomio \( P(x) \) per il binomio \( x – c \) è uguale al valore che il polinomio assume per \( x = c \),  cioè: \( R = P(c) \).

E’ importante, però, notare che:

  • Il divisore \( x – c \) abbia coefficiente del termine in x di primo grado uguale a 1;
  • Il resto della divisione è un numero: infatti il resto di una divisione fra due polinomi è un polinomio di grado inferiore al grado del divisore, che in questo caso ha grado 1; quindi, il grado del resto è zero.

Esempio:    Per calcolare il resto della divisione tra il polinomio

\( P(x) = 3x^3 + 4x^2 – 5x + 7 \) per il binomio \( x – 2 \),  non è necessario svolgere tutta la divisione; possiamo semplicemente applicare il teorema, e calcolare \( P(2) \):

\( R = P(2) = 3 \cdot 2^3 + 4 \cdot 2^2 – 5 \cdot 2 + 7 = 3 \cdot 8 + 4 \cdot 4 – 10 + 7 = 24 + 16 – 10 + 7 = 37 \)

Possiamo effettuare la divisione classica, e verificare il risultato:

Notiamo che anche in questo caso il resto è 37.

 

Teorema di Ruffini

Sappiamo che, se un polinomio \( P(x) \) è divisibile per un binomio \( x – c \), allora il resto di tale divisione è zero (\( R = 0 \)) ; poiché, per il teorema del resto, \( R = P(c) \), avremmo che \( P(c) = 0 \); quindi, ricapitolando:

\[\color{blue}{P(x) \text{ divisibile per } (x – c) \Rightarrow P(c) = 0} \]

Questa affermazione si può anche formulare tramite il concetto di radice di un polinomio, cioè:

\[\color{blue}{P(x) \text{ divisibile per } (x – c) \Rightarrow \text{ c’è radice di } P(x)} \]

Vale anche il viceversa: se \( P(c) \), cioè se c è una radice del polinomio \( P(x) \), allora, per il teorema del resto, si ha che \( R = P(c) \), e quindi il polinomio \( P(x) \) è divisibile per \( x – c \):

\[ \color{blue}{P(c) = 0 \Rightarrow P(x) \text{ divisibile per } (x – c)} \]

similmente:

\[ \color{blue}{c \text{ è radice di } P(x) \Rightarrow P(x) \text{ divisibile per } (x – c)} \]

 

Il teorema di Ruffini afferma che il polinomio \( P(x) \) è divisibile per il binomio \( x – c \) se e solo se \( P(c) \), cioè se c è una radice del polinomio \( P(x) \).

\[ \color{maroon}{P(x) \text{ divisibile per } (x – c) \Leftrightarrow P(c) = 0} \]

 

Vediamo quindi i passaggi da eseguire per scomporre in fattori un polinomio applicando il teorema di Ruffini:

  • Si ricerca una radice di \( P(x) \), cioè un numero c per cui \( P(c) = 0 \);
  • Se c è una radice di \( P(x) \), allora il polinomio è divisibile per \( (x – c) \); si determina quindi il quoziente \( Q(x) \) di tale divisione;
  • Per definizione di divisione fra polinomi, possiamo scrivere: \( P(x) = Q(x) \cdot (x – c) \)
  • Se anche \( Q(x) \) è scomponibile in fattori, si applica lo stesso procedimento per scomporlo;
  • Giungeremo, alla fine, ad ottenere il prodotto di un certo numero di polinomi non più scomponibili; il polinomio di partenza è stato, quindi,  scomposto in fattori.

 

Esempio:   Scomponiamo in fattori il polinomio \( P(x) = 3x^2 + 5x – 2 \).

Cerchiamo le radici del polinomio fra i divisori di 2: \( \pm 1; \pm 2 \):

\( P(1) = 3 \cdot 1^2 + 5 \cdot 1 – 2 = 3 + 5 – 2 = 6 \)

\( P(-1) = 3 \cdot (-1)^2 + 5 \cdot (-1) – 2 = 3 – 5 – 2 = – 4 \)

\( P(2) = 3 \cdot 2^2 + 5 \cdot 2 – 2 = 12 + 10 – 2 = 20 \)

\( P(-2) = 3 \cdot (-2)^2 + 5 \cdot (-2) – 2 = 12 – 10 – 2 = 0 \)

L’unica radice del polinomio è -2; il polinomio è quindi divisibile per \( (x + 2) \); dobbiamo quindi effettuare la divisione fra \( P(x) \) e \( (x + 2) \):

Otteniamo quindi \( Q(x) = 3x – 1 \) , e \( R = 0 \). Poiché \( Q(x) \) è di primo grado, e non è quindi scomponibile, il  polinomio \( P(x) \) risulta essere scomposto in fattori in questo modo:

\( P(x) = Q(x) \cdot (x + 2) = (3x – 1) (x + 2) \)

 

Altre risorse utili

Esercizi sulla divisione di polinomi, regola di Ruffini e teorema del resto.

 

Scomposizioni notevoli di polinomi

Scomposizione in fattori

Definizione: Un polinomio si dice riducibile se può essere scomposto in fattori, ciascuno dei quali è di grado inferiore a quello del polinomio dato.

Per esempio, il polinomio \( x^2 – y^2 \) può essere scomposto in \( (x + y) \cdot (x – y) \) che, come abbiamo visto nelle precedenti schede, rappresenta il prodotto notevole somma per differenza.

Vediamo alcuni tipi di scomposizione in fattori.

  • Raccoglimento a fattore comune totale

\[ \color{red}{A}B + \color{red}{A}C + \color{red}{A}D = \color{red}{A}(B + C + D) \]

  • Raccoglimento a fattore comune parziale

\[ ax + bx + ay + by = a\color{red}{(x + y)} + b\color{red}{(x + y)} = \color{red}{(x + y)}(a + b) \]

  • Differenza di due quadrati

\[ \color{maroon}{A^2 – B^2 = (A + B) \cdot (A – B)} \]

  • Quadrato di binomio

\[\color{maroon}{A^2 + 2AB + B^2 = (A + B)^2} \]

  • Trinomio notevole

\[ \color{maroon}{x^2 + (a + b)x + a \cdot b = (x+a) (x+b)} \]

  • Cubo di binomio

\[ \color{maroon}{A^3 + 3A^2B + 3AB^2 + B^3 = (A + B)^3} \]

  • Somma e differenza di cubi

\[ \color{maroon}{A^3 + B^3 = (A + B) \cdot (A^2 – AB + B^2)} \]

 

Raccoglimento a fattore comune

Raccoglimento totale a fattore comune

Questo metodo si basa sulla proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione; sappiamo, infatti, che vale la seguente uguaglianza:

\[ A \cdot (B + C + D) = AB + AC + AD \]

Quindi, se le lettere rappresentassero del monomi (o anche dei polinomi) e avessimo un polinomio di questo tipo: \( \color{red}{A}B + \color{red}{A}C + \color{red}{A}D \), potremmo raccogliere il fattore comune ‘A’ e ottenere la scrittura \( \color{red}{A}(B + C + D) \).

Diremmo che il fattore ‘A’ è stato messo in evidenza. Questo metodo si può applicare in tutti i casi in cui tutti i termini di un polinomio hanno un fattore comune.

Esempio di raccoglimento a fattore comune totale

Scomporre in fattori comuni il polinomio \( 4a^2b^3 – 2ab^2 – 8a^3b^2c \).

Osservando il polinomio, possiamo notare che tutti i termini hanno in comune il fattore \( 2ab^2 \); infatti, il polinomio può essere scritto come:

\[ \color{maroon}{2ab^2} \cdot 2ab – \color{maroon}{2ab^2} \cdot 1 – \color{maroon}{2ab^2} \cdot 4a^2c \]

Mettendo in evidenza questo fattore, si ha:

\[ \color{maroon}{2ab^2} \cdot (2ab – 1 – 4a^2c) \]

Vediamo quindi delle regole per effettuare la scomposizione totale a fattore comune:

  • Si determina il MCD dei termini del polinomio dato;
  • Si calcolano i quozienti tra i termini del polinomio e il MCD;
  • Si scrive il polinomio dato come prodotto tra il MCD e il polinomio che ha come termini i quozienti ottenuti in precedenza.

Raccoglimento a fattore comune parziale

Questo procedimento si applica quando non tutti i termini del polinomio hanno un fattore comune, ma all’interno del polinomio vi sono due o più polinomi per cui è possibile effettuare il raccoglimento totale.

Consideriamo, per esempio, il polinomio \( C = ax + bx + ay + by \); questo polinomio può essere scritto come somma di due polinomi \( A \) e \( B \) tali che:

\[ A = ax +a y \text{   e    } B = bx + by \]

Notiamo quindi che non possiamo effettuare una scomposizione totale su \( C \), ma possiamo farla su \( A \) e \( B \):

\[ A = a(x + y) \text{    e    } B = b(x + y) \]

Quindi: \( C = a(x + y) + b(x + y) \)

A questo punto, notiamo che i termini di \( C \) possiedono un fattore comune, che è \( (x + y) \), e che possiamo raccogliere:

\[ C = a \color{red}{(x + y)} + b \color{red}{(x + y)} = \color{red}{(x + y)} (a + b) \]

Abbiamo effettuato quindi un raccoglimento parziale a fattore comune su \( C \).

E’ possibile effettuare un raccoglimento parziale solo se, dopo aver effettuato il raccoglimento “a gruppi”, è possibile effettuare un raccoglimento totale nel polinomio di partenza.

Esempio di scomposizione a fattore comune parziale

Scomporre il polinomio \( 6x^2 – 2x + 3xy – y \).

Guardando il polinomio, notiamo che negli ultimi due termini compare un fattore comune ‘y’, che andrà quindi raccolto; mentre, nei primi due termini il fattore comune è ‘2x’:

\[ 6x^2 – 2x + 3xy – y = 2x (3x – 1) + y (3x – 1) \]

Ora, notiamo che nel polinomio di partenza si sono creati dei fattori comuni che possiamo raccogliere; otteniamo quindi:

\[ 2x\color{maroon}{(3x – 1)} + y\color{maroon}{(3x – 1)} = (2x + y) \color{maroon}{(3x – 1)} \]

 

Scomposizione tramite riconoscimento di prodotti notevoli

Scomposizione della differenza di due quadrati

Il prodotto notevole somma per differenza di due binomi ci dà l’uguaglianza

\[ \color{maroon}{A^2 – B^2 = (A + B) \cdot (A – B)} \]

Possiamo affermare quindi che, il binomio dato dalla differenza di due quadrati è scomponibile nel prodotto tra la somma delle basi e la loro differenza.

Al contrario, la somma di due quadrati \( A^2 + B^2 \) non si può scomporre in fattori del tipo \( A + B \) e \( A – B \).

Esempio di scomposizione come differenza di quadrati 

Scomporre in fattori il seguente binomio: \( 25x^2 – 9y^2 \)

Notiamo che nel binomio compaiono due quadrati, quello di \( 5x \) e quello di \( 3y \), di cui viene fatta la differenza: il binomio è quindi scomponibile, e si ha:

\[ 25x^2 – 9y^2 = (5x)^2 – (3y)^2 = (5x + 3y) \cdot (5x – 3y) \]

Quadrinomio scomponibile nel cubo di un binomio

Come abbiamo già visto, il cubo di un binomio è dato dalla formula:

\[ \color{maroon}{(A + B)^3 = A^3 + 3A^2B + 3AB^2 + B^3} \]

Di conseguenza, se ci troviamo di fronte ad un polinomio di questa forma \( A^3 + 3A^2B + 3AB^2 + B^3 \), sappiamo di poterlo ricondurre al cubo di un binomio.

Esempio di scomposizione in fattori come cubo di binomio

Scomporre in fattori il polinomio \( 27a^3 + 54a^2x + 36ax^2 + 8x^3 \)

Notiamo che nel polinomio compaiono due cubi: \( (3a)^3 \) e \( (2x)^3 \) e che vi sono anche due fattori, che corrispondono al triplo prodotto di \( (3a)^2 \) per \( 2x \) e \( (2x)^2 \) per \( 3a \); quindi, il polinomio può essere scritto:

\[ 27a^3 + 54a^2x + 36ax^2 + 8x^3 \]

\[ (3a)^3 + (3a)^2 \cdot 2x + (2x)^2 \cdot 3a + (2x)^3 = (3a + 2x)^3 \]

Scomposizione della somma e della differenza di due cubi

Consideriamo il seguente prodotto: \( (A + B) \cdot (A^2 – AB + B^2) \) , e svolgiamo la moltiplicazione:

\( (A+B) \cdot (A^2 -AB+B^2) = A^3-A^2B+AB^2+A^2B-AB^2+B^3 = A^3+B^3 \)

Possiamo quindi ricavare la seguente formula:

\[ \color{maroon}{A^3+B^3 = (A + B) \cdot (A^2 -AB+B^2)} \]

Analogamente, considerando il prodotto: \( (A – B) \cdot (A^2 + AB + B^2) \) e svolgendo i conti, otteniamo:

\( (A – B) \cdot (A^2+AB+B^2) = A^3+A^2B+AB^2-AB^2-A^2B-AB^2-B^3 = A^3 – B^3 \)

E quindi:

\[ \color{maroon}{A^3 – B^3 = (A – B) \cdot (A^2 + AB + B^2)} \]

Notiamo che \( A^2 + AB + B^2 \) e \( A^2 – AB + B^2 \) non sono scomponibili, e vengono definiti falsi quadrati, in quanto sembrano quadrati di binomi, ma non hanno il doppio prodotto dei termini.

Esempio di scomposizione come somma di cubi

Scomporre in fattori il seguente binomio: \( 8a^3 + 27b^3 \)

Dalla presenza dei due cubi,  \( (2a)^3 \) e \( (3b)^3 \) , e dalla somma fra essi, possiamo ricondurre il binomio a quello del primo caso; la sua scomposizione sarà quindi la seguente:

\[ 8a^3 + 27b^3 = (2a)^3 + (3b)^3 = \]

\[ (2a + 3b) \cdot [(2a)^2 – 2a \cdot 3b + (3b)^2] = \]

\[ (2a + 3b) \cdot (4a^2 – 6ab + 9b^2) \]

Trinomio scomponibile nel quadrato di un binomio

Consideriamo lo sviluppo del quadrato di un binomio: \( (A + B)^2 = A^2 + 2AB + B^2 \);

Vale quindi la seguente formula: \( \color{maroon}{A^2+2AB+B^2=(A+B)^2} \), cioè, quando in un polinomio compaiono due quadrati, e il doppio prodotto delle loro basi, sappiamo di poterlo ricondurre al quadrato di un binomio.

Esempio di scomposizione come quadrato di binomio

Scomporre in fattori il seguente polinomio: \( 4x^2 + 12xy + 9y^2 \);

Notiamo che nel polinomio compaiono due quadrati: \( (2x)^2 \) e \( (3y)^2 \) e il doppio prodotto delle loro basi; possiamo quindi scrivere il polinomio come quadrato di un binomio:

\( 4x^2+12xy+9y^2=(2x)^2+2\cdot 2x\cdot 3y+(3y)^2=(2x+3y)^2 \)

 

Scomposizione di trinomi particolari

Scomposizione del trinomio notevole

Un trinomio notevole è un trinomio particolare che può essere espresso in questo modo : \( x^2 + (a+b) x + a \cdot b \), cioè un trinomio di secondo grado in cui il coefficiente della lettera di secondo grado è 1, il coefficiente della lettera di primo grado è dato dalla somma di due numeri, mentre il termine noto, cioè il coefficiente della lettera di grado zero, è dato dal loro prodotto.

Un trinomio notevole può essere scomposto in fattori in questo modo:

\( x^2 + (a +b)x + a \cdot b = \color{red}{x}^2 + a\color{red}{x} + \color{cyan}{b}x + a\color{cyan}{b} = x \color{yellowgreen}{(x+a)} + b\color{yellowgreen}{(x+a)} = (x+a)(x+b) \)

Quindi: \( \color{maroon}{x^2 + (a + b)x + a \cdot b = (x + a)(x+b)} \)

Il trinomio si presenterà sempre della forma \( x^2 + sx + p \) , dove ‘s’ indica la somma di due numeri, mentre ‘p’ il loro prodotto; per determinare i due numeri, quindi, si dovrà procedere per tentativi.

Nella maggior parte dei casi, i numeri si determinano quasi immediatamente; negli altri casi, si può procedere in questo modo:

  • Se \( p \gt 0 \) allora \( a \) e \( b \) sono concordi, quindi considerando la somma \( s = a + b \) si avrà che:
    • Se \( s \gt 0 \) allora \( a \gt 0 \) e \( b \gt 0 \);
    • Se \( s \lt 0 \) allora \( a \lt 0 \) e \( b <\lt 0 \);
  • Se \( p \lt 0 \) allora \( a \) e \( b \) sono discordi.
  • Si scrivono tutte le coppie di numeri interi il cui prodotto è p e, tra esse, si cerca quella i cui elementi, sommati, danno proprio s.

Esempio: Scomporre in fattori il seguente polinomio: \( x^2 + 5x + 6 \)

Cerchiamo di determinare due numeri il cui prodotto sia 6; possiamo avere: \( 3 \cdot 2 = 6 \) oppure \( 6 \cdot 1 = 6 \);  nel primo caso, sommando i due numeri otteniamo \( 3 + 2 = 5 \), nel secondo \( 6 + 1 = 7 \); di conseguenza, i numeri che stiamo cercando sono quelli della prima coppia. Il polinomio può quindi essere scomposto in questo modo:

\( x^2 + 5x + 6 = x^2 + (3+2)x + 3 \cdot 2 = (x + 3)(x + 2) \)

 

Altre risorse utili

Capitolo “Riconoscimento di prodotti notevoli” del Manuale C3 Algebra 1.

 

 

 

 

 

 

25 domande di test sui prodotti notevoli

 

Regola di Ruffini

Il procedimento per la determinazione del quoziente e del resto può essere semplificato nel caso in cui il divisore \( B \) è un polinomio del tipo \( B = x \pm c \) , cioè se il divisore è un binomio di primo grado monico, cioè con coefficiente della x uguale a 1.

La procedura che illustreremo prende il nome di Regola di Ruffini.

Vediamo come fare con un esempio; consideriamo il polinomio dividendo  \( A = 3x^3 + 4x^2 – 5x + 7 \) e il polinomio divisore \( B = x – 2 \); inseriamo i coefficienti dei polinomi in uno schema, in questo modo:

 

 

 

 

 

 

 

 

Procediamo così:

  • “abbassiamo” il primo coefficiente e spostiamolo sulla terza linea;
  • Moltiplichiamolo per il termine noto del divisore cambiato di segno;
  • Riportiamo il risultato nel secondo spazio della seconda riga;
  • Sommiamo i coefficienti che si trovano incolonnati e riportiamo il risultato nella terza riga della medesima colonna;
  • Riapplichiamo il procedimento (in generale, si continua ad applicare il procedimento finché non finiscono gli spazi della terza linea);
  • L’ultima moltiplicazione ci porta a scrivere il prodotto nello spazio sottostante al coefficiente del dividendo;
  • Sommiamo i numeri incolonnati: il risultato sarà il resto della divisione.

Vediamo in dettaglio tutti i passaggi:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il polinomio che otteniamo come quoziente ha per coefficienti i numeri che leggiamo sulla terza linea (l’ultimo rappresenta il termine noto); avremmo quindi;

\( Q = 3x^2 + 10x + 15 \)

Il resto, invece, è dato dall’ultimo numero che compare sulla terza linea, al di fuori dello schema:

\( R = 37 \)

Applicazione della regola di Ruffini quando il divisore è del tipo ax – c

Nel caso in cui il coefficiente del polinomio divisore è diverso da 1, possiamo sfruttare la proprietà invariantiva della divisione, per cui se in una divisione si moltiplicano e si dividono sia il dividendo che il divisore per uno stesso numero diverso da zero, il risultato non cambia, e il resto viene moltiplicato o diviso per quel numero.

Per determinare quindi il quoziente \( Q \) e il resto \( R \) della divisione tra il polinomio e il binomio \( A \) di primo grado, si procede in questo modo:

  • Si dividono sia \( A \) che \( B \) per ‘a’, cioè si dividono per ‘a’ tutti i termini del dividendo e del divisore; chiamiamo i polinomi ottenuti \( A’ \) e \( B’ \);
  • Con la regola di Ruffini si determinano il quoziente \( Q \) e il resto \( R \) della divisione tre il polinomio \( A’ \) e il binomio \( B’ \) ;
  • Il quoziente della divisione tra \( A \) e \( B \) è sempre \( Q \) e il resto \( R \) si ottiene moltiplicando \( R’ \) per ‘a’.

 

Esempio

Consideriamo i polinomi \( A = x^3 + 8x^2 + 6x – 4 \) e \( B = 2x + 1 \) e calcoliamo il loro quoziente;

Dividiamo per 2 (il coefficiente del termine di primo grado del polinomio divisore) tutti i termini dei polinomi \( A \) e \( B \), ottenendo i polinomi \( A’ \) e \( B’ \):

\( A’ = \frac{1}{2}x^3 + 4x^2 + 3x – 2 \)

\( B’ = x – \Big(-\frac{1}{2}\Big) \)

Applichiamo la regola di Ruffini:

Il quoziente della divisione sarà quindi:

\( Q = \frac{1}{2}x^2 + \frac{15}{4} + \frac{9}{8} \)

Il resto \( R’ \) è : \( R’ = – \frac{41}{16} \) ; per ottenere il resto \( R \) lo moltiplichiamo per due: \( R = R’ \cdot 2 = -\frac{41}{16} \cdot 2 = – \frac{41}{8} \)

Altre risorse utili

 

 

 

 

 

 

 

Videolezione sulla regola di Ruffini.

 

Problemi sugli insiemi

Scheda che contiene problemi svolti che si risolvono attraverso gli insiemi

Problema 1

Una classe deve svolgere un compito in classe composto da 3 problemi. Il primo problema è risolto da 18 studenti, il secondo da 17, il terzo da 16. Inoltre 5 studenti hanno risolto sia il primo che il secondo, ma non il terzo, 2 sia il primo che il terzo, ma non il secondo, e 11 sia il secondo che il terzo, ma non il primo, mentre solo 1 ha risolto tutti i problemi. Sapendo che tutti hanno risolto almeno un problema, quanti sono gli studenti?

Problema 2

Individuare i seguenti insiemi:

\( \color{red}{(A \cup B )} \)

\( \color{blue}{(B \cap C)} \)

\( \color{orange}{(A \cup B) \cup (B \cap C)} \)

\( \color{green}{(A \setminus B)} \)

\( \color{olive}{(B \setminus A)} \)

\( \color{black}{(A \setminus B) \cup (B \setminus A)} \)

\( \color{cyan}{(A \cup B \cup C)} \)

\( \color{magenta}{(A \cup B \cup C)^c} \)

 

 

 

 

Problema 3

Sia \( A \) l’insieme dei numeri naturali multipli di 5 e minori di 30, \( B \) l’insieme dei numeri naturali multipli di 8 e minori di 40, \( C \) l’insieme dei numeri naturali che sono divisori di 18. Determinare \( A \cap B, A \cap C, B \cap C, A \cup B, B \setminus A \)

Problema 4

Stabilire la cardinalità dei seguenti insiemi:

\( A = \{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è dispari e } x \lt 20\} \)

\( B = \{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è pari e } x \lt 10 \} \)

\( C = \{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è pari e } x \le 10 \} \)

\( D = \{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è una lettera di “matematicamente”}\} \)

Problema 5

Stabilire se \( A = \{x|x \in \mathbb{N}, x  \text{ pari è multiplo di 3}\} \) è un sottoinsieme di \( B = \{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è multiplo di 12}\} \)

Problema 6

Calcolare l’insieme delle parti di \( A = \{2, 3, 6\} \)  e stabilire, senza determinarlo, la cardinalità dell’insieme delle parti di \( B = \{1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10\} \)

Soluzione problema 1

La situazione si può schematizzare nel seguente modo:

 

\( A \) Rappresenta l’insieme degli studenti che hanno risolto il primo problema, \( B \) l’insieme degli studenti che hanno risolto il secondo e \( C \) l’insieme degli studenti che hanno risolto il terzo.

La parte evidenziata in arancione è l’intersezione fra i soli \( A \) e \( C \), dunque \( A \cap C \), e corrisponde all’insieme degli studenti che hanno risolto solo il primo e il terzo problema ma non il cecondo, quella in giallo è l’intersezione fra i soli \( A \) e \( B \), dunque \( A \cap B \), e corrisponde all’insieme degli studenti che hanno risolto solo il primo e il secondo problema ma non il terzo, quella in verde è l’intersezione fra i soli \( B \) e \( C \), dunque \( B \cap C \), e corrisponde all’insieme degli studenti che hanno risolto solo il secondo e il terzo problema ma non il primo, mentre quella in blu è l’intersezione fra tutti e tre gli insiemi, dunque \( A \cap B \cap C \), e corrisponde all’insieme degli studenti che hanno risolto tutti i problemi. Le parti in bianco rimaste in \( A, B, C \) corrispondo agli insiemi degli studenti che hanno risolto solo il primo, il secondo, l terzo problema, rispettivamente.

Si sa che solo 1 studente ha risolto tutti e tre i problemi, dunque, si può concludere che l’unico elemento appartenente alla parte evidenziata in blu sia questo studente, ovvero che \( A \cap B \cap C | = 1 \). In maniera analoga si conclude che \( | A \cap B \setminus C| = 5 \) e \( |A \cap C \setminus B| = 2 \) e \( | B \cap C \setminus A | = 11 \)

Poiché \( |A| = 18 \) si ha che gli studenti che hanno risolto solo il primo problema sono \( 18 – 2 – 1 – 5 = 10 \);

Poiché \( | B | = 15 \) si ha che gli studenti che hanno risolto solo il secondo problema sono \( 17 – 5 – 1 – 11 = 0 \);

Poiché \( | C | = 16 \) si ha che gli studenti che hanno risolto solo il terzo problema sono \( 16 – 2 – 1 – 11 = 2 \).

Il numero totale di studenti è dunque:

\[ 10 + 2 + 1 + 5 + 0 + 11 + 2 = 31 \]

Soluzione problema 2

 

 

Soluzione problema 3

\[ A = \{0, 5, 10, 15, 20, 25\} \]

\[ B = \{0, 8, 16, 24, 32 \} \]

\[ C = \{1, 2, 3, 6, 9, 18 \} \]

\[ A \cap B = \{\varnothing\} \]

\[ B \cap C = \varnothing \]

\[ A \cap C = \varnothing \]

\[ A \cup B = \{0, 5, 8, 10, 15, 16, 20, 24, 25, 32\} \]

\[ B \setminus A = \{8, 16, 24, 32\} \]

Soluzione problema 4

\[ A= \{1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, 17, 19\} \]

Dunque \( |A| = 10 \)

\[ B = \{0, 2, 4, 6, 8\} \]

Dunque \( |B| = 5 \)

\[ C = \{0, 2, 4, 6, 8, 10\} \]

Dunque \( |C| = 6\} \)

\[ D = \{m, a, t, e, i, c, m\} \]

Dunque \( |D| = 7 \)

Soluzione problema 5

\[ A=\{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è pari e multiplo di 3}\} = \{x|x \in \mathbb{N}, x \text{ è multiplo di } 6\} \]

Poiché tutti i multipli di 12 sono multipli di 6, si ha che \( B \subset A \), ma non \( A \subset B \).

Soluzione problema 6

\[ \wp(A) = \{\varnothing, \{2\}, \{3\}, \{6\}, \{2, 3\}, \{2, 6\}, \{3, 6\}, \{2, 3, 6\}\} \]

La cardinalità dell’insieme delle parti di un insieme \( B \)  qualunque è data dalla formula:

\[ |\wp(B)| = 2^n \]

dove \( n = |B| \)

Dunque, poiché in questo caso \( |B| = 10 \), si ha che:

\[ |\wp(B)| = 2^{10} = 1024\]

 

Altre risorse utili

 

 

 

 

 

 

 

Videolezione: esercizi sugli insiemi.

 

Prodotti notevoli

I prodotti notevoli sono particolari prodotti tra polinomi che è possibile svolgere rapidamente applicando delle formule.

Si riportano i casi più frequenti:

Quadrato di binomio

\[ (A + B)^2 = A^2 + 2AB + B^2 \]

Il quadrato di un binomio si sviluppa riportando il quadrato del primo termine, più doppio prodotto del primo per il secondo, più quadrato del secondo termine.

Quadrato di un trinomio

\[ (A + B + C)^2 = A^2 + B^2 + C^2 + 2AB + 2AC + 2BC \]

Il quadrato di un trinomio si sviluppa calcolando i tre quadrati dei monomi e sommando il doppio prodotto di primo e secondo termine, secondo e terzo termine e primo e terzo termine.

Somma per differenza

\[ (A + B) \cdot (A – B) = A^2 – B^2 \]

Lo sviluppo di una somma per differenza di due monomi si ottiene moltiplicando il primo monomio con il primo e il secondo monomio con il secondo.

Cubo di binomio

\[ (A + B)^3 = A^3 + 3A^2B + 3AB^2 + B^3 \]

Il cubo di un binomio si ottiene calcolando il cubo del primo termine più il triplo prodotto del quadrato del primo per il secondo termine più il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo più il cubo del secondo termine.

 

Quadrato di un binomio

\[ \bbox[8px,border:2px solid red]{(A+B)^2 = A^2 + 2AB + B^2} \]

Consideriamo due generici monomi, che indichiamo con le lettere \( A \) e \( B \) , e consideriamo la loro somma \( A + B \). Per definizione di potenza, la seconda potenza di questa somma sarà:

\[ (A + B)^2 = (A + B) \cdot (A + B) \]

Calcolando il prodotto otteniamo:

\[ (A + B)^2 = (A + B) \cdot (A + B) = A^2 + AB + BA + B^2 \]

Per la proprietà commutativa della moltiplicazione, i termini \( AB \) e \( BA \) sono uguali, quindi possiamo sommarli:

\[ (A + B)^ 2 = A^2 + AB + BA + B^2 = A^2 + 2AB + B^2 \]

Il risultato ottenuto viene definito quadrato di un binomio.

Il termine \( 2AB \) si definisce doppio prodotto e il segno del suo coefficiente sarà positivo se i coefficienti dei monomi \( A \) e \( B \) sono concordi (sono cioè entrambi positivi o entrambi negativi), altrimenti, se i coefficienti dei monomi \( A \) e \( B \) sono discordi ( cioè sono uno positivo e l’altro negativo), il segno del suo coefficiente sarà negativo.

Possiamo quindi affermare che:

il quadrato di un binomio è uguale al quadrato del primo monomio, più il doppio prodotto dei due monomi, più il quadrato del secondo monomio (scritti non necessariamente in quest’ordine).

Esempio: calcolare il quadrato del polinomio \( 3a – 4b \)

Proviamo a calcolare \( (3a – 4b)^2 \) usando la regola precedentemente scritta: calcoliamo il quadrato del primo termine, il quadrato del secondo e il doppio prodotto fra i due.

\( (3a)^2 = 9a^2 \)

\( (-4b)^2 = 16b^2 \)

\( 2 \cdot 3a \cdot (-4b) = -24ab \)

Il quadrato del binomio è quindi: \( (3a – 4b)^2 = 9a^2 + 16b^2 – 24ab \)

Per verificare la correttezza del risultato, possiamo calcolare il quadrato usando la definizione di quadrato:

\( (3a – 4b)^2 = (3a – 4b) (3a – 4b) = \)

\( 3a \cdot 3a + 3a \cdot (-4b) + (-4b) \cdot 3a + (-4b) \cdot (-4b) = \)

\( 9a^2 – 12ab – 12ab + 16b^2 = 9a^2 – 24ab + 16b^2 = \)

\( 9a^2 – 24ab + 16b^2 \)

 

Quadrato di un trinomio

\[ \bbox[8px,border:2px solid red]{(A + B + C)^2 = A^2 + B^2 + C^2 + 2AB + 2AC + 2BC} \]

Consideriamo tre generici monomi che indichiamo con le lettere \( A \), \( B \), e \( C \) e consideriamo la loro somma \( A + B + C \). Per definizione di potenza, la seconda potenza di questa somma sarà:

\( (A + B + C)^2 = (A + B +C) \cdot (A + B +C) \)

Calcolando il prodotto otteniamo:

\( (A + B +C)^2 = (A + B + C) \cdot (A + B + C) = \)

\( A^2 + AB + AC + BA + B^2 + BC + CA + CB + C^2 \)

Sommiamo i termini simili:

\( (A + B + C)^2 = A^2 + B^2 + C^2 + 2AB + 2AC + 2BC \)

Il risultato ottenuto viene definito quadrato di un trinomio.

Otteniamo una formula analoga considerando il quadrato di un polinomio qualunque, di quattro o più termini; vale quindi la seguente regola generale:

  • Il quadrato di un polinomio di un numero qualsiasi di termini è uguale alla somma dei quadrati di tutti i termini e dei doppi prodotti di ciascun termine per ognuno di quelli che lo seguono.

Esempio: calcolare il quadrato del polinomio \( a – 2b + 3c \)

Calcoliamo \( (a – 2b + 3c) ^2 \) usando la regola generale:

\( (a)^2 = a^2 \)

\( (-2b)^2 = 4b^2 \)

\( (3c)^2 = 9c^2 \)

\( 2 \cdot a \cdot (-2b) = -4ab \)

\( 2 \cdot (-2b) \cdot 3c = -12bc \)

\( 2 \cdot a \cdot 3c = 6ac \)

Il quadrato del trinomio è quindi:

\( (a – 2b + 3c)^2 = a^2 + 4b^2 + 9c^2 – 4ab – 12bc + 6ac \)

 

Prodotto della somma di due monomi per la loro differenza

\[ \bbox[8px,border:2px solid red]{(A + B) \cdot (A – B) = A^2 – B^2} \]

Consideriamo due monomi indichiamo con le lettere \( A, B \), e calcoliamo il prodotto della loro somma \( A + B \) per la loro differenza \( A – B \):

\[ (A + B) \cdot (A – B) = A^2 – AB + BA – B^2 \]

Eliminando i termini opposti, otteniamo:

\[ (A + B) \cdot (A – B) = A^2 – B^2 \]

Enunciamo quindi la regola generale:

  • Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza è uguale al quadrato del primo monomio meno il quadrato del secondo monomio.

I due monomi possono presentarsi anche in ordine differente, l’importante è che all’interno delle parentesi si abbiano la somma e la differenza di due monomi:

\[ (A + B) \cdot (-B + A) = A^2 – B^2 \]

 

Esempio: calcoliamo \( (2a^2 + 3b^3) \cdot ( 2a^2 – 3b^3) \);

Applicando la regola, calcoliamo il quadrato del primo, il quadrato del secondo, e il polinomio ottenuto sarà la differenza dei due.

\( (2a^2)^2 = 4a^4 \)

\( (3b^3)^2 = 9b^6 \)

\( (2a^2 + 3b^3) \cdot (2a^2 – 3b^3) = 4a^4 – 9b^6 \)

 

Cubo di un binomio

\[ \bbox[8px,border:2px solid red]{(A + B)^3 = A^3 + B^3 + 3A^2B + 3AB^2} \]

Il cubo della somma di due monomi, cioè il cubo di un binomio, si ottiene moltiplicando il quadrato del binomio per il binomio stesso:

\[ (A + B)^3 = (A + B)^2 \cdot (A – B) = A^3 + A^2B + B^2A + B^3 + 2A^2B + 2AB^2 \]

Semplifichiamo, riducendo il polinomio:

\[ (A + B)^3 = A^3 + B^3 + 3A^2B + 3AB^2 \]

Abbiamo quindi la seguente regola:

Il cubo di un binomio è un quadrinomio i cui termini sono:

  • Il cubo del primo monomio;
  • Il cubo del secondo monomio;
  • Il triplo del prodotto del quadrato del primo monomio per il secondo;
  • Il triplo del prodotto del quadrato del secondo monomio per il primo;

 

Esempio: calcoliamo il cubo del seguente binomio: \( (2a + b) \)

Applichiamo la regola:

cubo del primo monomio: \( (2a)^3 = 8a^3 \)
cubo del secondo monomio: \( (b)^3 = b^3 \)
triplo del prodotto del quadrato del primo monomio per il secondo:

\( 3 \cdot (2a)^2 \cdot b = 3 \cdot 4a^2 \cdot b = 12a^2b \)

triplo del prodotto del quadrato del secondo monomio per il primo:

\( 3 \cdot (b)^2 \cdot 2a = 3 \cdot b^2 \cdot 2a = 6ab^2 \)

Abbiamo quindi: \( (2a + b)^3 = 8a^3 + b^3 + 12a^2b + 6ab^2 \)

 

Potenza di un binomio

Cerchiamo una formula che ci permetta di calcolare la potenza di un binomio, senza dover svolgere tutti i calcoli; abbiamo già visto le prime potenze dei binomi:

\( (A + B)^0 = 1 \)

\( (A + B)^1 = A + B \)

\( (A + B)^2 = A^2 + 2AB + B^2 \)

\( (A + B)^3 = A^3 + 3A^2B + 3AB^2 + B^3 \)

Possiamo quindi fare alcune considerazioni:

  • Ogni sviluppo ha un termine in più del precedente;
  • I coefficienti dei termini estremi sono uguali, così come i termini dei coefficienti equidistanti dagli estremi;

Lo sviluppo di \( (A + B)^n \) conterrà quindi \( n + 1 \) termini, di cui il primo sarà \( A^n \) e l’ultimo \( B^n \) ; il polinomio che otterremo è un polinomio omogeneo di grado n, completo sia rispetto alla lettera A che rispetto alla lettera B, e ordinato secondo le potenze decrescenti di A, e crescenti di B.

Per trovare i termini dei coefficienti di questo polinomio, possiamo costruire uno schema triangolare, che prende il nome di Triangolo di Tartaglia, ed è costruito in questo modo:

 

 

 

 

 

 

  • In ogni riga il primo e l’ultimo termine sono uguali a 1;
  • In ogni riga, a partire dalla terza, qualsiasi altro numero si ottiene sommando i due sovrastanti della riga precedente;

 

Esempio: Se vogliamo calcolare \( (A + B)^6 \) ci basta guardare i numeri presenti nella sesta riga della tabella, e costruire il polinomio seguendo le potenze decrescenti di A e crescenti di B:

\( (A + B)^6 = A^6 + 6A^5B + 15A^4B^2 + 20A^3B^3 + 15A^2B^4 + 6AB^5 + B^6 \)

 

Altro materiale di supporto

 

 

 

 

 

 

 

 

Test di 27 domande sui prodotti notevoli.

 

Insieme R dei numeri reali

Nell’insieme \( \mathbb{N} \) dei numeri naturali le uniche operazioni interne sono l’addizione \( ( + ) \) e la moltiplicazione \( ( \cdot )\); con l’estensione di \( \mathbb{N} \) a \( \mathbb{Z} \) diventa interna anche l’operazione di sottrazione \( ( – ) \). Infine, con l’estensione di \( \mathbb{Z} \) a \( \mathbb{Q} \) diventa interna anche l’operazione di divisione \( ( : ) \), se si esclude il caso della divisione per \( 0 \). Oltre ai numeri razionali, però, esistono anche altri numeri, e oltre alle quattro operazioni fondamentali, addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione, ne esistono anche altre. Nell’insieme \( \mathbb{R} \) compariranno “nuovi” numeri, i cosiddetti numeri irrazionali, e sarà possibile svolgere sempre anche altre operazioni.

L’insieme I dei numeri irrazionali

Definizione Si definisce numero irrazionale un qualsiasi numero che non è razionale, ovvero che non può essere scritto come rapporto di due numeri interi.

Esempi Sono esempi di numeri irrazionali numeri come \( \sqrt{2} \) e \( \pi \).

Approfondimento Come i numeri razionali, anche i numeri irrazionali sono infiniti. Inoltre, sebbene possa sembrare strano, ci sono molti più numeri irrazionali che numeri razionali. Per approfondire questo, si può consultare il seguente

http://www.rudimathematici.com/bookshelf/pdf/Infinito%20(Zar).pdf

Tutti i numeri razionali si possono “raccogliere” in un insieme, l’insieme[Equazione] dei numeri irrazionali:

\[ I = \{x | x \text{ è irrazionale}\} \]

Osservazione Nessun numero razionale può essere irrazionale, e nessun numero irrazionale può essere razionale; di conseguenza, l’insieme \( \mathbb{I} \) dei numeri irrazionali e l’insieme dei numeri razionali sono disgiunti, ovvero

\[ I \cap Q = \varnothing \]

L’insieme R dei numeri reali

Definizione Si definisce numero reale un qualsiasi numero che è o razionale o irrazionale.

Tutti i numeri razionali e irrazionali si possono raccogliere in un insieme, l’insieme \( \mathbb{R} \) dei numeri reali:

\[ \mathbb{R} = \{x | x \text{ è razionale oppure } x \text{ è irrazionale}\} \]

Osservazione Tutti i numeri irrazionali sono numeri reali, di conseguenza l’insieme \(\mathbb{I} \) è un sottoinsieme di \( \mathbb{R} \)

\[ \mathbb{I} \subset \mathbb{R} \]

Tutti i numeri razionali sono numeri reali, di conseguenza l’insieme \(\mathbb{Q} \) è un sottoinsieme di \( \mathbb{R} \), e di conseguenza lo sono anche \( \mathbb{N} \) e \( \mathbb{Z} \)

\[ \mathbb{N} \subset \mathbb{Z} \subset \mathbb{Q} \subset  \mathbb{R} \]

Osservazione Tutti i numeri reali sono o razionali o irrazionali, di conseguenza si ha che

\[ \mathbb{Q} \cup \mathbb{I} = \mathbb{R} \]

Osservazione Gli insiemi \(\mathbb{Q} \) e \(\mathbb{I} \) dei numeri razionali e dei numeri irrazionali possiedono le seguenti proprietà:

  1. \( \mathbb{Q} \ne \varnothing \text{ e } \mathbb{I} \ne \varnothing \)
  2. \( \mathbb{Q} \cap  \mathbb{I} = \varnothing \)
  3. \( \mathbb{Q} \cup  \mathbb{I} =  \mathbb{R} \)

Di conseguenza si può affermare che la coppia \( \{ \mathbb{Q}, \mathbb{I}\} \) costituisce una partizione di \(  \mathbb{R} \)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione Poiché \( \mathbb{R} \) ha almeno un sottoinsieme infinito, anche \( \mathbb{R} \) è infinito

 

L’insieme R è un insieme ordinato

L’insieme \( \mathbb{R} \) dei numeri reali è ordinato, vale a dire, presi due numeri reali qualsiasi[Equazione] vale una delle seguenti:

\[ a \lt b \]

\[ a = b \]

\[ a \gt b \]

 

Le quattro operazioni nell’insieme dei numeri reali

Così come \(\mathbb{Q} \), anche \(\mathbb{R}\) è chiuso rispetto all’addizione, alla sottrazione, alla moltiplicazione e alla divisione (se si esclude, come sempre, il caso della divisione per 0).

Queste operazioni si definiscono esattamente come in \(\mathbb{Q}\), hanno la stessa terminologia, …

 

La retta reale

Presi tutti i numeri reali è possibile associare ogni numero reale un punto di una retta, e viceversa, che prende il nome di numero reale. Infatti, come i numeri reali, anche i punti su una retta sono ordinati, infiniti.

 

 

 

Cosa c’è di nuovo in \(\mathbb{R}\)?

Tutte le proprietà che valevano in \(\mathbb{Q} \) per i numeri razionali valgono anche in \(\mathbb{R} \) per i numeri reali. Cosa realmente distingue i numeri reali dai razionali? Perché non si poteva, ad esempio associare a ogni numero razionale un punto della retta, e viceversa?

Con l’insieme dei numeri naturali si ottiene, fissata un’unità

 

 

 

 

 

Con i numeri naturali dunque è possibile associare a ogni numero naturale un punto della retta, ma non si può fare il contrario. Ad esempio, che numeri si associano ai punti che stanno fra 0 e 1? E ai punti a sinistra dello 0?

Una parziale risposta alla seconda domanda si ottiene introducendo i numeri interi. Con l’insieme dei numeri interi si ottiene, fissata un’unità

 

 

Con i numeri interi dunque è possibile associare a ogni numero naturale un punto della retta, ma non si può fare il contrario. Ad esempio, che numeri si associano ai punti che stanno fra 0 e 1, o fra -3 e -4?

Una parziale risposta a questa domanda si ottiene introducendo i numeri razionali, con i quali è possibile iniziare a “riempire” i buchi lasciati dai numeri naturali prima e dai numeri interi poi. Tuttavia, esistono ancora dei punti che non sono associati a nessun numero razionale.

Approfondimento Per gli insiemi \( \mathbb{N} \) e \( \mathbb{Z} \) ha senso parlare, per ogni suo elemento, di un successivo.

Definizione Se \( n \) è un numero naturale, si definisce suo successivo il numero naturale \( m \) più piccolo tale che \( m \gt n \). Tale numero si indica con \( m = n + 1 \)

Definizione Se \( n \) è un numero intero, si definisce suo successivo il numero intero \( m \) più piccolo tale che \( m \gt n \). Tale numero si indica con \( m = n + 1 \)

A partire dall’insieme \( \mathbb{Q} \), non ha più senso parlare di successivi. Infatti, se[Equazione] è un numero razionale, se esistesse un suo successivo[Equazione] non dovrebbe esistere nessun altro numero razionale compreso fra[Equazione] ed esso. Ma il numero

\[ \frac{p + q}{2} \]

è compreso fra di essi ed è razionale, e dunque non si può parlare di successivo.

Insiemi come \( \mathbb{N} \) e \( \mathbb{Z} \) si dicono discreti, e insiemi come \( \mathbb{Q} \), e poi \( \mathbb{R}\) si dicono densi. La particolarità di questi ultimi insiemi è che presi due qualunque loro elementi, ne esiste sempre un altro compreso fra di essi.

Anche la retta è un insieme denso di punti, perché fra due punti è sempre possibile trovarne un altro (ad esempio il punto medio del segmento che formano). È anche per questo che gli insiemi \( \mathbb{N} \) e \( \mathbb{Z} \) non vanno bene per “completare” la retta reale, ma essere densi non basta, perché non va bene neanche \( \mathbb{Q} \).

Per completare la retta reale bisogna associare anche ai numeri irrazionali un punto sulla retta. Per esempio, a quale punto corrisponde il numero \( \sqrt{2} \)?

Approfondimento Se si considera un quadrato di lato \( 1 \), quanto vale la sua diagonale?

Se si traccia la diagonale si ottengono due triangoli rettangoli isosceli, i cui lati sono due lati del quadrato e la sua diagonale.
Per i triangoli rettangoli vale il teorema di Pitagora:

Preso un triangolo rettangolo \( ABC \), i cui cateti sono \( AB, BC \) e l’ipotenusa è \( AC \), allora

\[ AB^2 + BC^2 = AC^2 \]

I cateti dei triangoli rettangoli ottenuti tracciando la diagonale valgono 1, dunque l’ipotenusa è tale che il suo quadrato vale \( 2 \).

\[ 1^2 + 1^2 = 2 = AC^2 \]

La domanda è: esiste un numero razionale il cui quadrato è \( 2 \)? Se ci fosse, lo si potrebbe chiamare \( \frac{a}{b} \), e si potrebbe supporre che tale frazione sia ridotta ai minimi termini, ovvero che \( a \) e \( b \) non abbiano fattori in comune. Ma allora dovrebbe valere

\[ \Big(\frac{a}{b}\Big)^2 = 2 \rightarrow \frac{a^2}{b^2} = 2 \rightarrow a^2 = 2b^2 \]

Dal precedente fatto si scopre che \( a^2 \) è pari, e dunque lo è anche \( a \), e dunque è possibile scrivere \( a \) nel seguente modo, per qualche numero naturale \( c \)

\[ a = 2c \]

Ma allora

\[ (2c)^2 = 2b^2 \rightarrow 4c^2 = 2b^2 \rightarrow b^2 = 2c^2 \]

Dal precedente fatto si scopre che \( b^2 \) è pari, e dunque lo è anche \( b \), dunque è possibile scrivere \( b \) nel seguente modo, per qualche numero naturale \( d \)

\[ b = 2d \]

Ma poiché si era supposto che \( a \) e \( b \) non avessero fattori in comune, e si è ottenuto che hanno in comune il fattore \( 2 \), si conclude che si è ottenuto un assurdo e dunque non esiste un numero razionale il cui quadrato sia \( 2 \). Tale numero sarà allora irrazionale, e lo si indica con il simbolo \(\sqrt{2} \).

Se si immagina di fare la seguente costruzione:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si individua un particolare punto sulla retta reale. Il raggio della circonferenza è proprio il numero \( \sqrt{2} \), dunque si associa a quel punto proprio quest’ultimo numero. Se ci si fosse fermati all’insieme \( \mathbb{Q} \) dei numeri razionale a tale punto non sarebbe stato associato nessun numero, mentre con l’insieme[Equazione] anche punti come il precedente hanno un loro corrispondente.

 

Approfondimento

Videolezione sui numeri reali

 

 

 

 

 

 

 

 

Divisione tra polinomi

Quoziente tra un polinomio e un monomio

Il quoziente tra un polinomio e un monomio si calcola applicando la proprietà distributiva della divisione rispetto all’addizione; si divide, cioè, ogni termine del polinomio per il monomio in questione.

Dati un polinomio del tipo \( A + B \) , con \( A \) e \( B \) monomi, e un monomio divisore \( C \neq 0 \), il quoziente tra il polinomio e il monomio è dato da:

\[ (A + B) : C = A : C + B : C \]

Vediamo quindi la seguente regola:

  • Il quoziente tra un polinomio e un monomio non nullo, se esiste, è dato dal polinomio i cui termini si ottengono dividendo ciascun termine del polinomio per il monomio.

In particolare, la divisione è possibile solo se ogni termine del polinomio è divisibile per il monomio, cioè contiene tutte le lettere che figurano nel monomio, ciascuna con esponente maggiore o uguale a quello con cui compare nel monomio.

  • Un polinomio è sempre divisibile per un numero diverso da zero, e il risultato si ottiene dividendo ciascun coefficiente del polinomio per il numero divisore.
  • Il grado del quoziente tra un polinomio e un monomio, entrambi non nulli, è dato dalla differenza tra il grado del polinomio e quello del monomio; (la regola vale sia per il grado complessivo, che per il grado rispetto ad una lettera).

Esempio di quoziente tra un polinomio e un monomio

Calcoliamo il quoziente tre il polinomio \( (4a^3 + 16a^2 + 8a) \) e il monomio \( 2a \):

\[ (4a^3 + 16a^2 + 8a) : 2a \]

applicando la proprietà distributiva, abbiamo:

\( (4a^3 + 16a^2 + 8a) : 2a = 4a^3 : 2a + 16a^2 : 2a + 8a : 2a \)

Svolgiamo le singole divisioni:

\( 4a^3 : 2a + 16a^2 : 2a + 8a : 2a = \frac{4}{2} a^{3-1} + \frac{16}{2}a^{2-1} + \frac{8}{2}a^{1-1} = \)

\( 2a^2 + 8a + 4 \)

Divisione tra polinomi

Definizioni:

Un polinomio \( A \) è divisibile per un polinomio \( B \), diverso dal polinomio nullo, se esiste un terzo polinomio \( Q \) che, moltiplicato per \( B \), dà per prodotto \( A \), cioè se \( A = B \cdot Q \).

\[ A : B = Q \Leftrightarrow A = B \cdot Q \]

Il polinomio \( A \) di dice dividendo, il polinomio \( B \) divisore, mentre il polinomio \( Q \) è il quoziente.

Se il polinomio \( A \) è divisibile per \( B \), allora diciamo che \( B \) è un divisore di \( A \), e \( A \) è un multiplo di \( B \).

Altrimenti, se \( A \) non è divisibile per \( B \), il loro rapporto si può indicare semplicemente con la frazione algebrica \( \frac{A}{B} \).

In questo caso, come accade per i numeri naturali, svolgendo la divisione fra i polinomi otterremo un quoziente (non esatto) e un resto; si può dimostrare quindi che, dati due polinomi \( A \) e \( B \), con \( B \) diverso dal polinomio nullo, esistono e si possono determinare in modo unico due polinomi \( Q \) ed \( R \) tali che:

\( A = B \cdot Q + R \text{         con grado di R } \lt \text{ grado di } B \)

Se il polinomio \( R \) è il polinomio nullo, possiamo affermare che \( A \) è un multiplo di \( B \).

Algoritmo per la determinazione del quoziente e del resto

Vediamo delle regole generali per effettuare la divisione tra due polinomi.

Consideriamo un polinomio \( A \)  di grado \( m \) (dividendo) e un polinomio \( B \) di grado \( n \) (divisore),  con \( m \le m \);

  1. Si ordinano i polinomi secondo le potenze decrescenti della lettera x;
  2. Si divide il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore: il quoziente ottenuto è il primo termine del quoziente dei due polinomi;
  3. Si moltiplica il termine in questione per il divisore e si somma il prodotto, cambiato di segno, con il dividendo; il polinomio ottenuto è il promo resto parziale;
  4. Si divide il primo termine del resto parziale per il primo termine del divisore e si ottiene il secondo termine del quoziente dei polinomi;
  5. Si moltiplica questo termine per il divisore e si somma il prodotto, cambiato di segno, con il precedente resto, ottenendo il secondo resto parziale;
  6. Si procede in questo modo finché non si ottiene un resto parziale di grado inferiore al grado del divisore (questo ultimo resto sarà il resto della divisione).

Esempio:       calcoliamo la divisione fra il polinomio \( 3x^4 – 10x^3 – 5x^2 + 11x + 10 \) e il polinomio \( 3x + 2 \).

Notiamo che i polinomi sono già ordinati secondo le potenze decrescenti di x, quindi possiamo procedere nella divisione:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Otteniamo quindi come quoziente \( x^3 – 4x^2 + x + 3 \)  e come resto 4.

Materiale di supporto

Videolezione sulla divisione di polinomi

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo “Divisione tra due polinomi” del Manuale C3 Algebra 1

 

Prodotto tra polinomi

Prodotto di un monomio per un polinomio

Per calcolare il prodotto di un monomio per un polinomio, si applica la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione.

Ricordiamo che moltiplicare un numero per una somma algebrica di due o più termini significa moltiplicare quel numero per ciascun addendo, e sommare poi i prodotti così ottenuti.

\[ A \cdot (B + C) = A \cdot B + A \cdot C \]

Applicando questa proprietà, possiamo facilmente determinare il polinomio derivante dal prodotto di un monomio per un polinomio:

 

 

 

 

Ora, non ci resta che calcolare i singoli prodotti fra i monomi, e poi sommare gli eventuali monomi simili:

\( (3x^2y) \cdot (-x^3) + (3x^2y) \cdot (2xy^2) + (3x^2y) \cdot (5y^3) = \)

\( -3x^2y \cdot x^3 + 3x^2y \cdot 2xy^2 + 3x^2y \cdot 5y^3 = \)

\( -3x^{2+3}y + 6x^{2+1}y^{1+2} + 15x^2y^{1+3} = \)

\( -3x^5y + 6x^3y^3 + 15x^2y^4 \)

Vediamo alcune regole utili da ricordare quando effettuiamo un prodotto di questo tipo:

  • Il prodotto di un monomio per un polinomio è un polinomio che ha per termini i risultati dei prodotti del monomio per ciascun termine del polinomio.
  • Applicando la proprietà commutativa della moltiplicazione, e seguendo le regole definite in precedenza, è possibile calcolare anche il prodotto fra un polinomio e un monomio.
  • Se uno dei due fattori della moltiplicazione è un numero, per effettuare il prodotto di quel numero per il polinomio è sufficiente moltiplicare il numero per i coefficienti del polinomio.
  • Il grado del prodotto tra un monomio e un polinomio, entrambi non nulli, è uguale alla somma dei gradi del monomio e del polinomio. (Questa regola vale sia per il grado complessivo che per il grado rispetto ad una lettera).

 

Prodotto tra polinomi

Per effettuare il prodotto fra due polinomi, dovremmo applicare ripetutamente la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione, come visto in precedenza.

Per esempio, se vogliamo moltiplicare il polinomio \( (a + 3b) \) per il polinomio \( (2a + b – 3c) \), procediamo per gradi; per prima cosa, consideriamo il primo polinomio come un unico blocco, e applichiamo la proprietà distributiva su di esso:

\( \color{green}{(a + 3b)} \cdot (2a + b – 3c) = \color{green}{(a + 3b)} \cdot (2a) + \color{green}{(a + 3b)} \cdot (b) + \color{green}{(a + 3b)} \cdot (-3c) \)

Ora, riapplichiamo la proprietà distributiva per ogni singolo blocco:

\( (a + 3b) \cdot (2a) + (a + 3b) \cdot (b) + (a + 3b) \cdot (-3c) = \)

\( (a \cdot 2a + 3b \cdot 2a) + (a \cdot b + 3b \cdot b) + [a \cdot (-3c) + 3b \cdot (-3c)] \)

E calcoliamo i prodotti:

\( (2a^2 + 6ab) + (ab + 3b^2) + [-3ac – 9bc] = \)

\( 2a^2 + 6ab + ab + 3b^2 – 3ac – 9bc \)

Sommiamo i monomi simili:

\( 2a^2 + 6ab + ab + 3b^2 – 3ac  -9bc = 2a^2 + 7ab + 3b^2 -3ac – 9bc \)

Vediamo ora delle regole generali per effettuare il prodotto fra due polinomi:

  • Il prodotto di due polinomi è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando ciascun termine di uno di essi per tutti i termini dell’altro;
  • Il grado del prodotto di due o più polinomi non nulli è uguale alla somma dei gradi dei polinomi fattori.

 

Esempi

  • Calcolare il prodotto fra i seguenti polinomi:

\( (a – 2b + 1) \) e \( (a + b – 1) \)

Cominciamo applicando la proprietà distributiva rispetto al primo polinomio:

\( \color{green}{(a – 2b + 1)} \cdot (a + b – 1) = \)

\( \color{green}{(a – 2b + 1)} \cdot a + \color{green}{(a – 2b + 1)} \cdot b + \color{green}{(a – 2b + 1)} \cdot (-1) \)

Procediamo, poi, moltiplicando ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo, svolgiamo cioè i prodotti:

\( (a -2b + 1) \cdot a + (a – 2b + 1) \cdot b + (a -2b + 1) \cdot (-1) = \)

\( a \cdot a – 2b \cdot a + 1 \cdot a + a \cdot b – 2b \cdot b + 1 \cdot b + a \cdot (-1) – 2b \cdot (-1) + 1 \cdot (-1) = \)

\( a^2 – 2ab + a + ab – 2b^2 + b – a +  2b – 1 = \)

Semplifichiamo il polinomio sommando i termini simili:

\( a^2 -ab – 2b^2 + 3b  – 1 \)

Notiamo che per eseguire la moltiplicazione di due trinomi dobbiamo svolgere \( 3 \cdot 3 = 9 \) prodotti di monomi; in generale, il numero di prodotti che si devono calcolare è dato dal numero di termini del primo monomio per il numero di termini del secondo.

  • Calcolare il prodotto fra i seguenti polinomi:

\( (x^2 – 3 + 2x^2 + 2) \cdot (5x + 2 – x) \)

Prima di procedere con i calcoli, notiamo che all’interno dei polinomi compaiono dei termini simili. In generale, prima di effettuare la moltiplicazione, conviene assicurarci che il polinomio sia ridotto in forma normale; sommiamo quindi i termini simili dei due polinomi:

\( (x^2 – 3 + 2x^2 + 2) = (3x^2 – 1) \)

\( (5x + 2 – x) = (4x + 2) \)

\( (x^2 – 3 + 2x^2 + 2) \cdot (5x + 2 – x) = (3x^2 -1) \cdot (4x + 2) \)

Applicando la proprietà distributiva, procediamo calcolando il prodotto:

\( (3x^2 – 1) \cdot (4x + 2) = (3x^2 – 1) \cdot (4x) + (3x^2 – 1) \cdot 2 = \)

\( 3x^2 \cdot 4x + (-1) \cdot 4x + 3x^2 \cdot 2 + (-1) \cdot 2 = \)

\( 12x^{2+1} – 4x + 6x^2 – 2 = \)

\( 12x^3 – 4x + 6x^2 – 2 = \)

\( 12x^3 + 6x^2 – 4x – 2 \)

 

Materiale di supporto

Test di 27 domande sui polinomi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Somma e differenza di polinomi

Somma di polinomi

E’ possibile calcolare la somma di due polinomi, cioè addizionare due polinomi, scrivendo di seguito i polinomi, racchiusi fra parentesi tonde, interponendo fra essi un segno “+”.

Per esempio, considerando i polinomi \( 3x^2 + 4xy – 2y^2 \) e \( x^3 + 4x^2 – 6y^2 + 4 \) possiamo calcolare la loro somma in questo modo:

\( \color{red}{(} 3x^2 + 4xy – 2y^2 \color{red}{) + (} x^3 + 4x^2 – 6y^2 + 4 \color{red}{)} \)

Si procede poi eliminando le parentesi:

\( 3x^2 + 4xy – 2y^2 + x^3 + 4x^2 – 6y^2 + 4 \)

e semplificando il polinomio:

\( 3x^2 + 4xy – 2y^2 + x^3 + 4x^2 -6y^2 + 4 = 7x^2 + 4xy – 8y^2 + x^3 + 4 \)

Differenza di polinomi

E’ possibile calcolare la differenza di due polinomi, cioè sottrarre due polinomi, scrivendo i polinomi uno di seguito all’altro, racchiusi fra parentesi tonde, interponendo fra essi un segno “-”.

Per esempio, considerando gli stessi polinomi dell’esempio precedente,  \( 3x^2 + 4yx – 2y^2 \) e \( x^3 + 4x^2 – 6y^2 + 4 \) calcoliamo la loro differenza in questo modo:

\( \color{red}{(} 3x^2 + 4xy – 2y^2 \color{red}{) – (} x^3 + 4x^2 – 6y^2 + 4 \color{red}{)} \)

Eliminiamo le parentesi, ricordandoci che dobbiamo cambiare segno ai termini del secondo polinomio:

\( 3x^2 + 4xy – 2y^2 \color{red}{-} x^3 \color{red}{-} 4x^2 \color{red}{+} 6y^2 \color{red}{-} 4 \)

semplifichiamo il polinomio:

\( 3x^2 + 4xy – 2y^2 – x^3 – 4x^2 + 6y^2 – 4 = – x^2 + 4xy + 4y^2 – x^3 – 4 \)

Somma algebrica di polinomi

In generale, quindi, riferendoci alla somma o alla differenza fra polinomi, parliamo di somma algebrica di polinomi.

Ricordiamo che un polinomio stesso rappresenta la somma algebrica di più monomi, quindi le espressioni letterali che si ottengono indicando la somma o la differenza fra polinomi sono ancora somme algebriche di monomi, sono cioè polinomi.

Diamo ora delle regole generali per affrontare la somma algebrica di polinomi e semplificare la scrittura. Considerando un polinomio racchiuso fra due parentesi tonde, possiamo agire in questo modo:

  • se la prima parentesi tonda è preceduta dal segno “+”, si riscrivono i termini contenuti nella coppia con il loro segno;
  • Se la prima parentesi è preceduta dal segno “-“, si riscrivono i termini contenuti nella coppia con il segno cambiato.
  • Eliminate le parentesi, si può procedere riducendo il polinomio a forma normale, individuando i monomi simili, e riducendoli.

Questo procedimento si può applicare per calcolare la somma di due, tre, o più polinomi contemporaneamente.

Possiamo inoltre precisare che:

  • La differenza fra due polinomi è la somma del primo con l’opposto del secondo;

\( \color{red}{(} 2a^2 – 3b + c^3 \color{red}{) – (} 2a^2 – 3b + c^3 \color{red}{)} = \)

\( \color{red}{(} 2a^2 – 3b + c^3 \color{red}{) + (} -2a^2 + 3b – c^3 \color{red}{)} \)

  • La somma di due polinomi opposti è il polinomio nullo, cioè 0;

\( \color{red}{(} 2a^2 – 3b + c^3 \color{red}{) + (} -2a^2 + 3b – c^3 \color{red}{)} = \)

\( 2a^2 – 3b + c^3 – 2a^2 +3b – c^3 = 0 \)

  • La differenza di due polinomi uguali è il polinomio nullo, cioè 0;

\( \color{red}{(} 2a^2 – 3b + c^3 \color{red}{) – (} 2a^2 – 3b + c^3 \color{red}{)} = \)

\( 2a^2 – 3b + c^3 – 2a^2 + 3b – c^3 = 0 \)

Grado del polinomio somma

Il grado del polinomio ottenuto dalla somma o dalla differenza di due o più polinomi è minore o uguale al maggiore tra i gradi dei polinomi che costituiscono i termini della somma.

Il fatto che il grado del polinomio ottenuto sia più piccolo di quello dei polinomi di partenza è facilmente intuibile: non essendoci un prodotto, ma solo una somma algebrica, non è possibile che il grado di una lettera aumenti, perché ciò avviene solo grazie alla regola delle potenze, che prevedono la somma degli esponenti se due potenze con la stessa base vengono moltiplicate.

Il grado del polinomio può rimanere uguale nel caso in cui i termini dei monomi addendi vengano sommati o sottratti, senza che nessuno “scompaia”.

Nel caso in cui, invece, vengano sottratti due polinomi uguali, o vengano sommati due polinomi opposti, se in questi è presente un monomio di grado massimo, allora il grado del polinomio somma è minore del grado dei polinomi addendi.

Vediamo qualche esempio:

  • Consideriamo i polinomi \( 2a^2 – 3b + c \) e \( -a^3 + 4b – 3 \); il primo polinomio ha grado 2, il secondo ha grado 3; calcoliamo la loro somma:

\( (2a^2 – 3b + c ) + ( -a^3 + 4b – 3) = 2a^2 – 3b + c -a^3 + 4b – 3 = \)

\( 2a^2 + b + c – a^3 – 3 \)

Il polinomio ottenuto ha grado 3, che è uguale al maggiore dei gradi dei polinomi addendi.

  • I polinomi \( (2x^2 – 3xy + x^3z + 1) \) e \( (5xy^2 + 2x  – x^3z) \)sono polinomi di grado 4;

calcoliamo la loro somma

\( (2x^2 – 3xy + x^3z + 1) + (5xy^2 + 2x  – x^3z) = \)

\( 2x^2 – 3xy + x^3z + 1 + 5xy^2 + 2x – x^3z = \)

\( 2x^2 – 3xy + 5xy^2 + 2x  + 1 \)

Il polinomio ottenuto ha grado 3, minore del grado dei polinomi di partenza; abbiamo infatti eliminato il termine \( x^3z \) che costituiva per entrambi il termine di grado massimo.

Materiale di supporto

Esercitazione interattiva sulle operazioni con i polinomi.

 

 

 

 

 

 

 

Polinomi

Definizioni

Si dice polinomio una somma algebrica di monomi, in cui i monomi addendi che lo costituiscono sono detti termini del polinomio.

Un polinomio si dice ridotto in forma normale, o solamente ridotto, se in esso non compaiono monomi simili, cioè se sono stati sommati fra loro tutti i monomi simili che vi comparivano.

Esempio di polinomio ridotto in forma normale: \( 3ab^2 + 5bc + a^2b^4 \);

In un polinomio ridotto in forma normale può comparire solo un valore numerico diverso da zero, che viene detto termine noto.

Esempio: \( 4ab^2c + 3 \) il termine noto è 3;

Se tutti i monomi che formano il polinomio sono simili, il polinomio ridotto in forma normale si riduce semplicemente ad un monomio.

I polinomi ridotti in forma normale vengono definiti in questo modo:

  • Monomio : polinomio costituito da un solo termine;
  • Binomio : polinomio costituito da due termini;
  • Trinomio: polinomio costituito da tre termini;
  • Quadrinomio: polinomio costituito da quattro termini;

Polinomi uguali

Due polinomi di dicono uguali se, ridotti a forma normale, sono formati dagli stessi termini, cioè da monomi rispettivamente uguali.

Esempio: \( \color{red}{-2ab} + 5 \color{green}{+\frac{3}{5}x^4} \) e \( \color{red}{-2ab}\color{green}{+\frac{3}{5}x^4} \) sono polinomi uguali;

Polinomi opposti

Due polinomi si dicono opposti se, ridotti a forma normale, sono formati da termini opposti.

Esempio: \( \color{red}{2ab} -5 \color{green}{-\frac{3}{5}x^4} \) e \( 5 \color{red}{-2ab}\color{green}{+\frac{3}{5}x^4} \) sono polinomi opposti;

Polinomio nullo

Un polinomio si dice nullo quando tutti i suoi termini hanno coefficiente uguale a zero.

Esempio: \( 0ab + 0a^4c^2 + 0c^4 \)

Grado di un polinomio

Il grado complessivo di un polinomio, o semplicemente grado di un polinomio, (non nullo) è il massimo dei gradi dei monomi che lo compongono.

Non vi è, invece, una definizione per il grado di un polinomio nullo.

Si definisce grado rispetto ad una lettera di un polinomio non nullo l’esponente maggiore con cui quella lettera compare nel polinomio.

Un polinomio è omogeneo quando tutti i suoi termini hanno lo stesso grado.

Esempio: \( 3xy + 5x^3y + \frac{1}{2}x^2y^2-xy^4-3y^2z \)

Il grado del polinomio è 5, che è il grado del quarto termine che lo compone, ed è il massimo; il grado rispetto alla lettera x è 3, rispetto la lettera y è 4, rispetto alla lettera z è 1.

Esempio: \( 3x^3y + 5x^2y^2 + \frac{1}{2}y^4 \) è un polinomio omogeneo di quarto grado.

Polinomi ordinati

Un polinomio si dice ordinato secondo le potenze decrescenti di una lettera se i suoi termini sono disposti in modo che gli esponenti di quella lettera siano in ordine decrescente.

Analogamente, un polinomio si dice ordinato secondo le potenze crescenti di una lettera se i suoi termini sono disposti in modo che gli esponenti di quella lettera siano in ordine crescente.

Tale lettera si dice lettera ordinatrice.

Un polinomio è ordinato, se lo è per le potenze crescenti o decrescenti rispetto ad una lettera.

Esempio: Il polinomio \( -a^4 +2a^3b +3a^2b^2 -ab^3 +5b^4 \) è ordinato secondo le potenze decrescenti della lettera a e anche secondo le potenze crescenti della lettera b.

Polinomi completi

Un polinomio è completo rispetto ad una lettera se i suoi termini contengono tutte le potenze di quella lettera, da quella di grado massimo a quella di grado zero.

Se un polinomio contiene un’unica lettera, si parla semplicemente di polinomio completo.

Esempio: il polinomio \( 2x^4 + x^3 -x^2 + 5x – 1 \) è completo rispetto alla lettera x.

Principio di identità dei polinomi

Consideriamo polinomi in cui, come parte letterale, compaia solo una lettera, che nei vari termini del polinomio si presenta con gradi differenti, come per esempio nel polinomio \( 3x^2 +2x -5 \).

Il principio di identità dei polinomi afferma che condizione necessaria e sufficiente affinché due polinomi nella stessa variabile siano identicamente uguali è che, ridotti a forma normale, abbiamo uguali i coefficienti dei termini di grado uguale.

Esempio: I polinomi \( 3x^2 + 2x – 5 \) e \( hx^2 + 2x + k \) nella variabile x sono identicamente uguali se e solo se \( h = 3 \wedge k = 5 \).

Altre risorse utili

Test di 27 domande sui polinomi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esempi di espressioni con i monomi

Vediamo qualche esempio di espressioni con i monomi, in cui compaiono tutte le operazioni: somma, differenza, moltiplicazione, divisione, elevamento a potenza fra monomi.

Ricordiamo le regole di precedenza quando si eseguono i calcoli:

  • le parentesi tonde hanno la precedenza, poi vengono le quadre, e infine le graffe;
  • rispettiamo l’ordine delle operazioni: prima svolgiamo moltiplicazioni e divisioni nell’ordine in cui compaiono, poi addizioni e sottrazioni;
  • eleviamo a potenza solo dopo aver effettuato tutti i conti dentro le parentesi della potenza; ricordiamoci che la potenza di una potenza si ottiene moltiplicando l’ esponente esterno delle parentesi per ognuno degli esponenti dei componenti del monomio all’interno; il prodotto di due potenze si ottiene sommando gli esponenti delle potenze, mentre il quoziente sottraendoli.

 

  • Esempio 1

\( [(-2ab)^2(a^2b)+(-2a^2)^2(-b)^3+(-2ab)^4(-3b^5):(-b^2)^3]:(4a^2b)^2 = \)

Cerchiamo di semplificare l’espressione letterale, svolgendo le potenze al di fuori delle parentesi tonde, moltiplicando cioè l’esponente con gli esponenti della parte numerica e letterale del monomio all’interno:

\( [4a^2b^2(a^2b)+4a^{2\times 2}(-b^3)+16a^4b^4(-3b^5):(-b^{2\times 3})] : 16a^{2\times 2}b^2 = \)

\( [4^{2+2}b^{2+1} – 4a^4b^3-48a^4b^{4+5}:(-b^6)]:16a^4b^2 = \)

Calcoliamo la prima divisione, all’interno delle parentesi quadre, effettuando la differenza degli esponenti:

\( [4a^4b^3 – 4a^4b^3 + 48a^4b^{9-6}] : 16a^4b^2 = \)

Procediamo ora sommando i monomi simili:

\( [48a^4b^3] : 16a^4b^2 = \)

Calcoliamo l’ultima divisione:

\( 3a^{4-4}b^{3-2} = 3b \)

 

  • Esempio 2

\( \big[-0.\bar{2}a^2:\big(-\frac{1}{3}a\big)^2\big]^2 (-b)^3 + [-0.1b^2 (-5a^3)^2 : (-5a^2)^3](-5)^2b = \)

Per prima cosa, trasformiamo i numeri decimali in frazioni: per i numeri decimali non periodici, dobbiamo semplicemente dividere il numero decimale (privato della virgola) per una potenza di dieci, che ha tanti zeri quanti sono i numeri dopo la virgola del decimale;  per i numeri periodici,  il numeratore è dato dal numero senza virgola meno l’antiperiodo, mentre il denominatore avrà tanti nove quante sono le cifre del periodo, e tanti zeri quante quelle dell’antiperiodo:

\( \big[-\frac{2}{9}a^2 : \frac{1}{9} a^2\big]^2 (-b^3) + \big[-\frac{1}{10}b^2 \times 25 a^{3\times 2} : (-125a^{3\times 2})\big] 25b = \)

Calcoliamo ora divisioni e sottrazioni nell’ordine in cui compaiono:

\( \big[-\frac{2}{9}\times 9 a^{2-2}\big]^2 (-b^3) + \big[-\frac{1}{10}\times 25a^6b^2 : (-125a^6)\big] 25b = \)

\( [-2]^2 (-b^3) + \big[-\frac{5}{2}a^6b^2 : (-125a^6)\big] 25b = \)

\( 4 (-b^3) + \big[-\frac{5}{2} \times \big(-\frac{1}{125}\big)a^{6-6}b^2] 25b = \)

\( -4b^3 + \big[\frac{1}{50}b^2\big] 25b \)

\( -4b^3 + \frac{1}{50} \times 25b^{2+1} = \)

Sommiamo i monomi simili:

\( -4b^3 + \frac{1}{2}b^3 = \big(-4 + \frac{1}{2}\big)b^3 = \big(\frac{-8+1}{2}\big)b^3 = -\frac{7}{2}b^3 \)

 

  • Esempio 3

In questo esempio, alcune lettere hanno come esponente un intero n, che compare da solo, o moltiplicato per un altro numero naturale. Questa tipologia di esercizi, anche se può apparire più difficile, si risolve esattamente come negli altri casi, basta ricordare le regole delle potenze e applicarle considerando n come fosse un numero naturale qualsiasi.

\( \{4(a^5)^n : a^{2n} : (-2^2)+(-a^n)^3+[(-a)^2]^n(-2a^n)\}^2:(2a^n)^3 = \)

Semplifichiamo l’espressione letterale, svolgendo le potenze al di fuori delle parentesi tonde, moltiplicando cioè l’esponente (compreso n) con gli esponenti della parte numerica e letterale del monomio all’interno:

\( \{4a^{5\times n} : a^{2n} : (-4)-a^{n\times 3}+[-a^2]^n(-2a^n)\}^2:8a^{3\times n} = \)

\( \{4a^{5n} : a^{2n} : (-4) – a^{3n} + a^{2\times n} (-2a^n)\}^2 : 8a^{3n} = \)

Svolgiamo le divisioni nell’ordine in cui compaiono, sottraendo l’esponente del divisore a quello del dividendo:

\( \{4a^{5n-2n} : (-4)-a^{3n}+a^{2n}(-2a^n)\}^2 :8a^{3n} = \)

\( \{-a^{3n} – a^{3n} – 2a^{2n+n}\}^2 : 8a^{3n} = \)

Sommiamo i monomi simili:

\( \{ -2a^{3n} -2a^{3n}\}^2 : 8a^{3n} = \)

Calcoliamo la potenza al di fuori della parentesi graffa:

\( 16a^{3n\times 2} : 8a^{3n} = \)

\( 16a^{6n} : 8a^{3n} = \)

Calcoliamo l’ultima divisione:

\( 2a^{6n-3n} = 2a^{3n} \)

 

  • Esempio 4

\( \frac{2}{3}ab^n(a^nb) – a^{3n}b^{3n} : (a^2b^2)^n(ab)+\frac{(5a-3a)^{n+1}(7b-5b)^{n+1}}{4^{n+1}} = \)

Cominciamo dalla prima parte dell’espressione letterale svolgendo elevamenti a potenza, poi moltiplicazioni e divisioni nell’ordine in cui compaiono; nella seconda parte, sommiamo i monomi simili:

\( \frac{2}{3}a^{1+n}b^{n+1}-a^{3n}b^{3n}:a^{2\times n}b^{2\times n}(ab)+\frac{\big((5-3)a\big)^{n+1}\big((7-5)b\big)^{n+1}}{4^{n+1}} = \)

\( \frac{2}{3}a^{n+1}b^{n+1}-a^{3n}b^{3n}:a^{2n}b^{2n}(ab)+\frac{(2a)^{n+1}(2b)^{n+1}}{4^{n+1}} = \)

Ricordiamoci la proprietà delle potenze per cui, se in una frazione abbiamo il numeratore e il denominatore con lo stesso esponente, possiamo elevare l’intera frazione a quell’esponente:

\( \frac{2}{3}a^{n+1}b^{n+1}-a^{3n-2n}b^{3n-2n}(ab) + \big(\frac{2a\times 2b}{4}\big)^{n+1} = \)

\( \frac{2}{3}a^{n+1}b^{n+1}-a^nb^n(ab)+\big(\frac{4ab}{4}\big)^{n+1} = \)

\( \frac{2}{3}a^{n+1}b^{n+1}-a^{n+1}b^{n+1}+(ab)^{n+1} = \)

Sommiamo i monomi simili:

\( \frac{2}{3}a^{n+1}b^{n+1}-a^{n+1}b^{n+1}+a^{n+1}b^{n+1} = \frac{2}{3}a^{n+1}b^{n+1} \)

Materiale aggiuntivo

Videolezione su come ridurre un monomio in forma normale