Le forze di contatto: l’attrito

Le forze di contatto: introduzione

Esaminiamo alcuni tipi di forze fondamentali, con le quali abbiamo a che fare ogni giorno, anche se magari non ce ne accorgiamo.

Per cominciare, distinguiamo due tipologie di forze, quelle di contatto e quelle a distanza. Le prime sono forze che possiamo riconoscere facilmente, in quanto avvengono se vi è un contatto tra il corpo che esercita l’azione e quello che la subisce; ad esempio, nel caso di un pallone che viene fatto rotolare. Delle seconde, invece, possiamo solo notare gli effetti, in quanto si hanno senza che vi sia un contatto tra due corpi; ad esempio nel caso di una calamita che attrae un oggetto metallico.

Esaminiamo alcuni tipi di forze di contatto.

 

La forza di attrito

La forza di attrito è una forza di contatto che si oppone al movimento di un corpo; se rappresentata come vettore, la forza di attrito ha direzione contraria a quella del movimento del corpo.

Questo tipo di forza rappresenta un fenomeno microscopico; infatti, l’attrito è dovuto al fatto che, anche se all’apparenza due superfici sembrano perfettamente lisce, in realtà esse presentano delle irregolarità, che incastrandosi tra loro ostacolano il movimento di una superficie sull’altra.

 

contatto-corpi
Ingrandimento del punto di contatto tra due corpi.

 

Distinguiamo tre tipi di forze di attrito:

  • la forza di attrito radente: è la forza che si esercita tra due superfici che vengono in contatto; questa forza, per esempio, ci permette di camminare, in quanto si esercita tra la suola delle nostre scarpe e il terreno; ci permette quindi di spostarci in avanti.
  • la forza di attrito volvente: è la forza che si esercita quando un corpo rotola su una superficie, per esempio nel caso delle ruote di un’automobile;
  • la forza di attrito viscoso: è la forza che si esercita quando un corpo si muove in un fluido, come nel caso di un aereo che subisce l’impatto dell’aria.

La forza di attrito radente, in particolare, può essere statica, quando le irregolarità microscopiche tra due superfici ferme ostacolano il loro movimento, o dinamica, quando invece le irregolarità oppongono resistenza al moto di due superfici che già si muovono.

 

L’attrito radente statico

La forza di attrito statico può essere presente anche se nessuno dei due corpi che sono a contatto si muove. Per esempio, se tentiamo di spostare un armadio molto pesante, esercitando una forza su di esso, questo continuerà a rimanere fermo. Questo accade sull’armadio agisce un’alta forza, la forza peso, che lo attrae al suolo, e la nostra forza non è sufficiente a vincerla.

Se, però, tre uomini provassero a spostare tale armadio, probabilmente questo si muoverebbe. Aumentando la forza esercitata, quindi, possiamo vincere la forza peso dell’armadio.

Chiamiamo, quindi, forza al distacco la forza minima che occorre per mettere in moto un oggetto fermo; tale forza è direttamente proporzionale alla forza premente (forza peso), e il suo modulo è dato dalla formula:

$ F_s = μ_s * F_⊥ $

Dove $μ_s$ indica un numero puro, il coefficiente di attrito statico.

 

forze-agenti-su-un-corpo
Forze agenti su un corpo in equilibrio statico.

 

Notiamo che la forza di attrito statico non dipende dall’area di contatto delle superfici; essa è parallela alla superficie di contatto e il suo verso si oppone al movimento.

 

L’attrito radente dinamico 

L’attrito radente dinamico è responsabile del fatto che una sfera in movimento su un piano è destinata, prima o poi, a fermarsi.

Questa forza, quindi, ha verso che si oppone al verso del movimento del corpo, direzione parallela al piano, e modulo direttamente proporzionale a quello della forza premente, e dato dalla formula:

$ F_s = μ_d * F_⊥ $

Dove $μ_d$ indica, anche in questo caso, un numero puro, il coefficiente di attrito dinamico.

Forze agenti su un corpo in movimento
Forze agenti su un corpo in movimento

 

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Le forze a distanza: Forze fondamentali

Le forze fondamentali

I fenomeni fisici naturali avvengono principalmente grazie a tre tipi forze fondamentali; queste sono le forze nucleari, la forza elettromagnetica e la forza gravitazionale. Queste forze sono forze a distanza, agiscono quindi senza che vi sia contatto tra due corpi; sono forze che non possiamo “vedere” direttamente, ma ne sentiamo gli effetti.

 

Le forze nucleari

Le forze nucleari riguardano, come dice il nome stesso, l’interno dell’atomo, e in particolare il suo nucleo. Queste forze si dividono in due tipi, la forza nucleare forte, e la forza nucleare debole.

La forza nucleare forte è una forza attrattiva, ed è la forza che tiene uniti protoni e neutroni all’interno del nucleo atomico; è una forza molto potente, che riesce a vincere le forze repulsive protone-protone, ed è inversamente proporzionale alla distanza tra le particelle.

La forza nucleare debole, invece, riguarda reazioni nucleari, ed è responsabile delle reazioni di fusione nucleare che avvengono all’interno delle stelle; in particolare, riguarda il processo di trasformazione di un protone in un neutrone con emissione di un elettrone e un neutrino.

 

La forza elettromagnetica

La forza elettromagnetica è la forza che agisce tra due oggetti carichi, cioè che possiedono carica elettrica.

Questa forza si manifesta sia in eventi atmosferici, come i fulmini e i lampi, sia in fenomeni microscopici, come i legami tra gli atomi e le molecole.

In particolare, la forza elettrica è attrattiva nel caso di cariche con segni opposti, e repulsiva nel caso di cariche con segni uguali:

 

Forza elettrica nel caso di cariche dello stesso segno e segno opposto
Forza elettrica nel caso di cariche dello stesso segno e segno opposto

 

Inoltre, l’intensità della forza elettrica aumenta con l’aumentare delle cariche, e diminuisce all’aumentare della distanza tra esse.

La forza elettrica, nel caso in cui le cariche coinvolte siano $Q_1$ e $ Q_2$, e la distanza tra esse r, si ottiene dalla formula:

$F_e = k * frac (Q_1 * Q_2)(r^2)$

dove k è una costante.

 

La forza gravitazionale 

A differenza della forza elettrica, quella gravitazionale è sempre attrattiva, e riguarda tutti i corpi che hanno massa.

 

forza-gravitazionale
Forza di attrazione gravitazionale che si esercita tra due masse.

 

La formula che permette di determinare la forza gravitazionale è molto simile a quella della forza elettrica; anche in questo caso, infatti, la forza è direttamente proporzionale al prodotto delle masse, e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza:

 

$F_g = G * frac (m_1 * m_2)(r^2)$

 

dove G è una costante, detta costante di gravitazione universale.

La forza gravitazionale è la più debole delle forze appena menzionate, ma i suoi effetti sono particolarmente evidenti; nel caso di masse molto grandi, come quelle dei pianeti, tale forza, determina il moto attorno al Sole.

La forza gravitazionale si definisce forza-peso nel caso in cui ci si riferisce all’attrazione tra il pianeta Terra e gli oggetti che si trovano su di esso.

La forza-peso agisce lungo la verticale del luogo in cui si trova il corpo; la sua direzione, quindi, è perpendicolare al piano in cui giace il corpo, rivolta verso il basso. Essa è ripartita su tutto il volume del corpo, in quanto agisce su tutte le particelle che lo costituiscono; tuttavia si suppone, per semplicità, che sia una forza puntuale, cioè applicata in un solo punto, detto baricentro.

La forza-peso è direttamente proporzionale alla massa di un corpo, e può essere ottenuta dalla seguente formula:

$F_p = m*g$

dove g è una costante, e vale 9,8 N/kg; poiché il Newton può essere espresso come la forza necessaria per imprimere ad in corpo di 1 kg un’accelerazione di un metro al secondo quadrato, possiamo affermare che la costante g ha le dimensioni fisiche di un’accelerazione, quindi si ha $g = 9,8 m/s^2$.

La costante g varia da pianeta a pianeta; questo spiega perché il peso di un corpo cambia se ci troviamo sulla Terra o su Marte, dove g = 3,74 N/kg. Ricordiamo, però, che ciò che varia è il peso (forza-peso);  la massa, invece, indica la quantità di materia che costituisce un corpo e rimane costante.

 

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Corpi in equilibrio

Il concetto di equilibrio

Il concetto di equilibrio può essere facilmente compreso, in quanto si presenta in molti aspetti della vita quotidiana. Tutti gli oggetti che ci circondano, e che sono fermi a terra (un tavolo, un mobile, un’auto parcheggiata…) sono in equilibrio.

Possiamo definire, quindi, il concetto di equilibrio affermando che un corpo è in equilibrio quando è fermo e continua a restare fermo.

 

Il punto materiale

Per studiare l’equilibrio dei corpi, cominciamo dal caso più semplice; consideriamo un corpo piccolissimo rispetto all’ambiente circostante, tale da poter essere considerato come un punto. Per questo, ci riferiremo all’oggetto parlando di punto materiale.

Ad esempio, può essere considerata punto materiale una biglia che rotola sul pavimento.

 

Il corpo rigido

Nel caso degli oggetti quotidiani, però, non sempre è conveniente utilizzare il concetto di punto materiale. Si considera l’oggetto, quindi, come fosse un corpo rigido, cioè che non subisce deformazioni qualunque siano le forze applicate su di esso.

Anche il corpo rigido è un modello, in quanto non esistono corpi completamente indeformabili; tuttavia, molti oggetti sono indeformabili se vi si applicano forze poco intense.

 

Le forze vincolari

L’equilibrio dei corpi è influenzato in maniera particolare dai vincoli, cioè da oggetti che impediscono all’oggetto in esame di compiere determinati movimenti nello spazio. Per esempio, un quadro appeso al muro è vincolato dal chiodo nella parete, perché senza di esso cadrebbe a terra; il treno che viaggia sui binari è vincolato da essi, perché costretto a seguire quella traiettoria.

Questi vincoli possono esercitare delle forze sui corpi; in tal caso le forze prendono il nome di reazioni (o forze) vincolari. Una reazione vincolare è quella che si oppone alla nostra forza peso, permettendoci di rimanere in equilibrio e non cadere verso il basso. Il pavimento, quindi, agisce da vincolo, e la reazione vincolare ha stessa intensità della forza peso, stessa direzione, ma verso opposto.

 

Forza-peso e reazione vincolare del suolo su una persona ferma
Forza-peso e reazione vincolare del suolo su una persona ferma

Le forze che si esercitano sul corpo hanno stessa intensità, stessa direzione, ma verso opposto; per le proprietà della somma vettoriale, la risultante delle forze è nulla, e di conseguenza il corpo rimane in equilibrio.

In generale, quindi, un punto materiale rimane in equilibrio se la risultante delle forze che agiscono su di esso è nulla; altrimenti, se la risultante è diversa da zero, il punto non è in equilibrio.

 

Il piano inclinato

Un oggetto può essere in equilibrio anche se si trova su un piano inclinato;  la forza peso che agisce sul corpo si esercita sia spingendo il corpo lungo il piano, sia tenendolo premuto alla superficie.

Per questo, è conveniente scomporre la forza peso nelle sue componenti, che chiamiamo componente parallela ($F_(//)$) e componente perpendicolare ($F_⊥$).

La forza vincolare ($F_v$) ha direzione perpendicolare al piano inclinato, e verso rivolto all’esterno di esso; la componente perpendicolare, che è appunto perpendicolare al piano, ha stessa intensità della forza vincolare, stessa direzione e verso opposto.

La componente parallela, invece, è parallela al piano, e rivolta verso il basso; per tenere in equilibrio un punto materiale sul piano inclinato, quindi, è necessaria la presenza di una forza che annulli la componente parallela; essa deve essere parallela al piano, e deve avere stessa intensità e verso opposto a quello della componente parallela.

La forza prende il nome di forza equilibrante; essa è esercitata dall’esterno del sistema, ed è necessaria per tenere in equilibrio l’oggetto; può essere, ad esempio, la forza di una persona che regge un carrello lungo una salita.

 

equilibrio-piano-inclinato
Forze agenti su un punto materiale in equilibrio su un piano inclinato.

 

Il modulo della forza equilibrante può essere ottenuto dalla seguente formula:

$F_e = F_p * frac(h)(l) $

dove, $F_p$ è la forza peso dell’oggetto, h è l’altezza del punto più alto del piano inclinato, e l è la sua lunghezza (se il piano ha forma triangolare, l è l’ipotenusa).

Notiamo, quindi, che più è inclinato il piano, cioè maggiore è il rapporto h/l, tanto più grande deve essere la forza da esercitare per mantenere in equilibrio il nostro oggetto.

 

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Il momento di una forza

Il momento: introduzione

Nel caso di un corpo rigido, a differenza del punto materiale, non possiamo considerare solo i moti traslazionali, cioè le traslazioni; si devono tenere presenti alcune proprietà dei corpi rigidi.

Infatti, essendo un corpo esteso, e non un punto, il corpo rigido può subire l’effetto di una forza in qualunque punto della sua estensione; ciò può provocare effetti diversi.

Inoltre, i possibili moti che esso può subire sono differenti:

  • il moto di traslazione comporta uno spostamento senza che vi sia un cambiamento dell’orientazione nello spazio dell’oggetto; quando subisce questo moto, tutti i punti del corpo rigido si spostano percorrendo la stessa distanza su traiettoria rettilinee; (questo moto si verifica, ad esempio, quando trasciniamo un oggetto);
  • il moto di rotazione invece fa ruotare l’oggetto senza che esso si sposti dalla posizione iniziale; in questo caso, i punti del corpo rigido percorrono archi di circonferenze concentriche (questo moto si verifica, ad esempio, quando svitiamo un bullone con una chiave inglese).

I due moti, poi, possono anche presentarsi insieme.

 

Il moto di rotazione

Il moto di rotazione è quello che si ha, ad esempio, quando applichiamo una forza su di una chiave inglese per svitare un bullone; notiamo che agendo con una chiave più lunga lo sforzo da compiere è minore, poiché il bullone ruota più facilmente.

Ciò accade perché l’effetto della rotazione non dipende esclusivamente dalla forza che applichiamo e dalla sua intensità; essa dipende anche dal punto di applicazione e dalla direzione della forza.

Si definisce braccio di una forza F rispetto ad un punto O la distanza tra il punto O e la retta su cui giace F.

In particolare, se chiamiamo r il vettore posizione del punto O rispetto a F, il braccio è dato dalla componente perpendicolare di tale vettore:

braccio-forza
Braccio di una forza F rispetto ad un punto O.

 

Il momento di una forza

Il momento di una forza è un vettore che esprime l’effetto di rotazione causato dalla forza stessa. In particolare, il vettore ha le seguenti caratteristiche:

  • il suo modulo è dato dal prodotto dell’intensità della forza F e il modulo del braccio: $M = F ∙ b$;
  • la sua unità di misura nel Sistema Internazionale è, quindi, Newton per metro ($N ∙ m$);
  • la sua direzione è perpendicolare al piano che contiene il vettore forza e il punto O;

il suo verso è dato dalla regola della mano destra: si posizione il pollice sulla congiungente il punto O e il punto di applicazione della forza, e le altre dita nella direzione di F; il verso del momento è quello uscente dal palmo della mano.

 

Regola della mano destra
Regola della mano destra

 

Poiché il momento di una forza è un vettore, le sue proprietà possono essere più semplicemente riassunte dicendo che il momento è uguale al prodotto vettoriale del vettore posizione r e il vettore forza F:

$ \vec M = \vec r xx \vec F $

Si spiega, quindi, come mai per svitare un bullone con una chiave inglese, e per faticare meno si seguono alcune accortezze; si può applicare una forza molto intensa, o utilizzare uno strumento molto lungo; il momento, infatti, è direttamente proporzionale sia alla forza che al braccio.

Se indichiamo con $\alpha$ l’angolo tra i vettori r ed F, possiamo esprimere il loro prodotto vettoriale nel seguente modo:

$ \vec M = \vec r xx \vec F  = r * F * sin\alpha$

Il momento di una forza può essere positivo, negativo o nullo in base al senso di rotazione del braccio. Se il senso è quello orario, il momento viene considerato negativo; se il senso di rotazione è antiorario si avrà un momento positivo.

Se, invece, non vi è rotazione, il momento è nullo.

 

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Il momento di una coppia di forze

Il momento di più forze

Se applichiamo su un corpo rigido più forze contemporaneamente, il momento totale delle forze è dato dalla somma dei singoli momenti di ciascuna forza.

Quindi, se le forze in questione sono $F_1, F_2, …, F_n$, e i rispettivi momenti $M_1, M_2, …, M_n$, il momento totale delle forze è dato da:

$ \vec M_(tot) = \vec M_1 + \vec M_2 + … + \vec M_n = \sum_[ k=1]^n \vec M_n $

 

Le coppie di forze

Su di un corpo possono agire più forze contemporaneamente;  quando guidiamo un’automobile e giriamo il volante con entrambe le mani, le forze che agiscono sul volante sono due; si ha dunque una rotazione di esso.

In particolare, nel caso di due forze che hanno la stessa intensità, possono verificarsi due fenomeni; se le forze agiscono sulla stessa retta d’azione e hanno verso opposto, la risultante delle forze è nulla; quindi il corpo non trasla e non ruota, ma rimane fermo. Infatti, in questo caso, le due forze producono momenti che hanno stesso modulo, ma segno opposto; il momento totale delle forze è quindi nullo.

Altrimenti, se le due forze, che hanno la stessa intensità e verso opposto non hanno la stessa retta d’azione, allora esse producono una rotazione sul corpo su cui agiscono, come nel caso del volante. Infatti, in questo caso, il momento totale delle forze è diverso da zero, in quanto entrambe le forze producono un momento dello stesso segno, e che quindi fa ruotare il corpo nello stesso verso.

Coppia di forze applicata a un volante
Una coppia di forze può far ruotare un oggetto, come nel caso del volante di un’automobile; ciò accade perché il momento della coppia è diverso da zero.

Coppia di forze

Una coppia di forze consiste in due forze $F_1$ e $ F_2$, di uguale intensità, ma opposte, applicate in due punti diversi di un corpo rigido.

Come nel caso di una singola forza, anche per la coppia di forze il momento descrive l’entità dell’effetto che la forza provoca sull’oggetto, in questo caso la rotazione; il momento di una coppia di forze si ottiene sommando i momenti delle singole forze calcolate rispetto ad uno stesso punto; esso dipende, quindi, dalle forze applicate e dalla loro distanza.

In particolare, il momento della coppia è indipendente dal particolare punto di applicazione.

Definiamo, inoltre, braccio della coppia la distanza tra le due rette d’azione delle forze; il momento della coppia, quindi, è un vettore che ha:

  • intensità uguale al prodotto dell’intensità di una delle forze e la lunghezza del braccio: $M = F ∙ b$;
  • direzione perpendicolare al piano che contiene le forze;
  • verso dato, anche in questo caso, dalla regola della mano destra, considerando, però, solo una delle due forze, e calcolando il momento rispetto al punto di applicazione dell’altra.

 

Regola della mano destra per una coppia di forze
Regola della mano destra per una coppia di forze.

Senso di rotazione

Anche in questo caso, l’effetto della rotazione provocato dalle due forze può avvenire in senso orario o antiorario; ciò dipende dalla direzione in cui agiscono le forze.

Per convenzione, si considera positivo il momento che produce una rotazione antioraria; nel caso di una rotazione in senso orario, invece, il momento sarà negativo.

Può accadere che su uno stesso corpo rigido agiscano contemporaneamente due coppie di forze; se di queste coppie, una fa ruotare il corpo in senso orario (forze in blu), e l’altra in senso antiorario (forze in rosso), e se i momenti delle due coppie sono uguali, il corpo rimane fermo.

Tali coppie di forze si dicono quindi equivalenti.

 

forze-e-rotazione
Rotazione prodotta da una coppia di forze.

 

Infatti, poiché le forze in rosso provocano una rotazione in senso antiorario, il momento relativo a tali coppie è positivo; mentre, il momento relativo alle forze il blu, che producono una rotazione in senso orario, sarà negativo.

Dato che i momenti delle coppie sono uguali (in valore assoluto), possiamo concludere che la loro somma, e quindi il momento totale, è uguale a zero; di conseguenza, non vi è rotazione del corpo.

 

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Forze che agiscono su un corpo rigido

Forze e corpi rigidi

Come sappiamo, applicando più forze ad un punto materiale, possiamo facilmente determinare la risultante di esse; otteniamo quindi la forza totale mediante la somma vettoriale delle forze.

Nel caso di un corpo rigido, però, abbiamo un’estensione molto grande del corpo rispetto alla superficie di un solo punto; l’effetto di una o più forze applicate al corpo dipende anche dal punto di applicazione delle stesse.

Forze applicate in punti diversi, quindi, provocano effetti diversi.

Ad esempio, consideriamo una bottiglia posta orizzontalmente sul pavimento; supponiamo di applicare una forza al centro della bottiglia: la forza provocherà uno spostamento della bottiglia lungo il piano; se, invece, applichiamo una forza sul collo della bottiglia, provocheremo una rotazione di essa.

 

 

Effetti di una forza che agisce in punti diversi su un corpo rigido
Effetti di una forza che agisce in punti diversi su un corpo rigido

 

Inoltre, notiamo che l’effetto di una forza che agisce su un corpo rigido non cambia se il suo punto di applicazione viene spostato lungo la retta su cui giace il vettore forza, detta retta d’azione.

Se, invece, applichiamo più forze ad un corpo rigido, per calcolare la risultante dobbiamo tenere presente i diversi punti di applicazione delle forze, e quindi agire in base alle situazioni che si presentano.

Esaminiamo diversi possibili casi che si possono verificare quando applichiamo due forze ad un corpo rigido.

 

Forze collineari

Le forze collineari sono forze che agiscono sulla stessa retta d’azione su un corpo rigido. In questo caso, possiamo calcolare la risultante delle forze in questo modo: spostiamo una delle due forze ($F_2$) lungo la retta d’azione fino a quando il suo punto di applicazione coincide con quello dell’altra ($F_1$); ora, possiamo calcolare la risultante con la somma vettoriale.

 

forze-collineari
Calcolo della risultante di due forze collineari.

 

La risultante potrà essere spostata lungo la retta d’azione senza che il suo effetto sul corpo venga modificato. Inoltre, tale risultante può essere nulla nel caso in cui le forze abbiamo verso opposto e stessa intensità.

 

Forze concorrenti

Le forze concorrenti sono forze le cui rette d’azione si intersecano in un punto. In questo caso, quindi, per calcolare la forza risultante dobbiamo spostare le due forze lungo la retta d’azione fin quando i loro punti di applicazione non sono gli stessi; successivamente, si calcola la forza risultante con la regola del parallelogramma.

 

forze-concorrenti
Calcolo della forza risultante di due forze concorrenti.

 

Notiamo che, a differenza delle forze collineari, nel caso delle forze concorrenti la risultante è sempre diversa da zero.

 

Forze parallele

Le forze parallele sono, come dice il nome, forze che hanno rette d’azione parallele; in particolare, le forze parallele possono essere di due tipi:

  • si hanno forze parallele concordi quando le forze hanno lo stesso verso (nel caso, ad esempio, di due persone che spostano un armadio spingendo nella stessa direzione);
  • si hanno forze parallele discordi quando le forze hanno verso opposto (nel caso, ad esempio, di un terremoto, per cui la crosta terrestre scorre sui lati di una faglia);

 

forze-parallele
Forza risultante nel caso di coppie di forze parallele concordi e discordi.

 

In generale, la forza risultante è applicata in un certo punto P, che si individua grazie alla seguente proporzione:

$ d_1 : d_2 = F_1 : F_2 $

dove, $d_1$ e $d_2$ indicano, rispettivamente, le distanze del punto P dai punti di applicazione di $F_1$ e $F_2$.

In particolare, se le forze sono concordi, il punto P si troverà compreso tra $F_1$ e $F_2$, e il modulo della forza risultante è dato dalla somma dei moduli delle forze che agiscono:

$ F_Tot = F_1 + F_2 $

Inoltre, la posizione del punto P dipende dall’intensità delle forze stesse; se le forze hanno uguale intensità, il punto P sarà equidistante dalle forze, altrimenti sarà più vicino alla forza di intensità maggiore.

Se, invece, le forze sono discordi, il punto P si trova esternamente alle forze; in particolare, esso sarà situato dalla parte della forza di intensità maggiore. Il modulo della forza risultante si ottiene con la differenza dei moduli delle forze che agiscono.

$ F_Tot = F_2 + F_1 $

 

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L’equilibrio di un corpo rigido

Corpo rigido in equilibrio

Come sappiamo, se si applicano delle forze su un corpo rigido, esso può spostarsi nello spazio (cioè può traslare), oppure, a differenza di un punto materiale, può anche ruotare nello spazio. Diremo, quindi, che un corpo rigido è in equilibrio se non si sposta e non ruota, cioè se rimane fermo.

Poiché sono proprio le forze a causare i moti dei corpi rigidi, un corpo rigido fermo rimane in equilibrio se:

  • la somma vettoriale delle forze applicate su di esso è nulla;
  • la somma vettoriale dei momenti delle forze applicate su di esso è nulla.

 

Corpi regolari, irregolari, omogenei, non omogenei

I corpi rigido possono presentarsi sotto molte forme diverse; alcuni vengono definiti regolari, come una palla (forma sferica) o un dado (forma cubica), poiché hanno forme regolari. Queste tipologie di corpi possiedono un centro di simmetria, cioè un punto all’interno di essi attorno al quale è distribuita la massa del corpo.

A differenza dei corpi omogenei, quelli non omogenei non presentano un centro di simmetria.

Inoltre, i corpi rigidi possono distinguersi anche in omogenei e non omogenei; i corpi omogenei sono quelli che presentano la stessa densità in ogni loro punto, come ad esempio un bicchiere di vetro; quelli non omogenei, invece, hanno densità non costante, e sono quei corpi che sono formati da materiali diversi; questo è il caso di un coltello, che ha la lama in metallo e il manico di legno. I corpi irregolari non presentano un centro di simmetria.

 

Il baricentro

Generalmente, il peso di un corpo rigido è dato dalla somma dei pesi di tutte le particelle che lo compongono. A differenza di un punto materiale, per cui la forza peso è applicata solo in un punto, nel caso di un corpo rigido la forza peso è distribuita su tutto il volume del corpo.

Per chiarire questo concetto, possiamo immaginare un corpo rigido suddividendolo nell’insieme di tanti piccoli volumetti; la forza peso-totale del corpo, quindi, è data dalla somma vettoriale di tutte le forze-peso che si esercitano sui singoli volumetti:

 

forza-peso-di-un-corpo-rigido
Distribuzione della forza peso su tutto il volume di un corpo rigido.

 

Il vettore che rappresenta la forza peso totale esercitata sul corpo rigido ha stesso verso dei vettori delle forze-peso dei singoli volumetti; la sua intensità è data dalla somma delle loro intensità. Questo vettore è applicato in un punto particolare del corpo; esso prende il nome di baricentro, o centro di gravità del corpo.

Quando consideriamo un corpo rigido, quindi, possiamo trattarlo come se tutto i suo peso fosse concentrato in un singolo punto, il baricentro.

Nel caso dei corpi omogenei e di forma regolare, il baricentro coincide con il centro di simmetria; se, invece, il corpo è irregolare o non omogeneo, l’individuazione del baricentro è più complessa.  Nella maggior parte dei casi, il baricentro si trova nella parte più pesante del corpo, dove cioè la massa è più concentrata.  Considerando un coltello, ad esempio, il baricentro si trova nel suo mezzo; in questo caso, però, è spostato dalla parte del manico, che è più pesante della lama.

In alcuni casi, poi, il baricentro si può trovare alche all’esterno del corpo stesso; ciò accade quando una persona si flette in avanti, o nel caso di una ciambella, il cui baricentro si trova nel mezzo.

 

Baricentro ed equilibrio   

Il baricentro di un corpo rigido influenza il suo equilibrio. Nel caso di un corpo appeso al muro, infatti, l’equilibrio dipende dalla posizione del baricentro rispetto al punto in cui tale corpo è appeso alla parete.

Distinguiamo, quindi, tre tipi diversi di equilibri:

Equilibrio stabile: si ha quando il corpo è appeso dall’alto; in questo caso, spostando di poco il corpo, esso ritorna nella posizione di partenza;

Equilibrio instabile: si ha quando il corpo è appeso dal basso; spostandolo di poco, esso si allontana dalla posizione di equilibrio, e non ci torna;

Equilibrio indifferente: si ha quando il corpo è appeso dal baricentro; spostandolo leggermente, esso si viene a trovare in una nuova posizione di equilibrio;

 

 

Possiamo concludere, quindi, che la condizione necessaria affinché un corpo rigido appeso al muro sia in equilibrio è che il punto per il quale è appeso (punto di sospensione) sia sulla verticale che passa per il baricentro.

 

Equilibrio stabile. instabile e indifferente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Appunti: Il terzo principio della dinamica

 

 

Macchine semplici e leve

Le macchine semplici

Molto spesso capita che la sola forza che esercitiamo su un corpo particolarmente grande o pesante rispetto a noi non sia sufficiente a far spostare, o a sollevare il corpo.

Per questo, si utilizzano dei macchinari appositi, detti macchine semplici; queste permettono di agire su un corpo applicando una forza al nostro posto, una forza molto più potente della nostra. Queste macchine sono, ad esempio, le leve o le carrucole.

Il loro funzionamento si basa sul fatto che la forza che viene applicata sul corpo (detta forza motrice) riesce ad equilibrare, e a vincere, un’altra forza di intensità o direzione diversa (detta forza resistente).

Infatti, nel caso della carrucola, la forza che si esercita sulla corda della stessa, che viene tirata verso il basso, permette di vincere la forza-peso dell’oggetto appeso al gancio, che quindi viene sollevato verso l’alto.

 

Il guadagno della macchina

Il rapporto tra la forza resistente e la forza motrice viene definito guadagno della macchina:

$ G = frac(F_r)(F_m)$

Si può notare, quindi, che se il guadagno della macchina è un valore elevato la macchina risulterà molto vantaggiosa; infatti la forza da applicare è molto più piccola rispetto alla forza resistente.

In particolare, una macchina viene definita vantaggiosa se il guadagno è maggiore di 1; altrimenti, se il guadagno è minore di 1, la macchina viene definita svantaggiosa.

 

Le leve

Le leve sono un particolare tipo di macchine semplici, presenti frequentemente nella vita quotidiana; esse permettono di aumentare o ridurre le forze.

Le leve sono formate da un corpo rigido, spesso un’asta, che può ruotare attorno ad un punto fisso, detto fulcro.

Chiamiamo la forza resistente e la forza motrice rispettivamente  $F_r$  e  $F_m$;  le loro istanze dal fulcro si indicano con  $b_r$  e  $b_m$  (definiti bracci resistente e motore rispetto al fulcro).

 

 

forza-resistente-motrice
Forza resistente e forza motrice in una leva di primo genere.

 

Nel caso in cui i momento delle forze che agiscono hanno stesso modulo, ma versi opposti, la leva è in equilibrio; quindi, in particolare, la somma dei momenti della forza resistente e di quella motrice è uguale a zero:

$F_r * b_r = F_m * b_m$

Possiamo anche affermare che una leva è in equilibrio se vale la seguente proporzione:

$F_m : F_r = b_r  :  b_m$

Molto spesso, non è necessario applicare una forza motrice molto grande, o comunque maggiore di quella resistente, per utilizzare la leva; infatti, l’esito dell’operazione dipende molto anche dalle lunghezze dei bracci delle forze in gioco.

Infatti, nel caso in cui la forza motrice è minore di quella resistente, sarà sufficiente utilizzare un braccio motore che sia maggiore di quello resistente.

 

Classificazione delle leve

La posizione del fulcro rispetto alle due forze, quindi, è molto importante; esso, infatti, influenza le lunghezze reciproche dei due bracci; in base a tale posizione, quindi, vengono classificate le leve:

  • se il fulcro di trova tra le due forze si hanno leve di primo genere, come sono ad esempio le forbici; se la forza motrice è minore di quella resistente, questo tipo di leva risulta vantaggiosa se il braccio motore è maggiore di quello resistente; sono svantaggiose altrimenti;
  • se la forza resistente si trova tra il fulcro e la forza motrice, si hanno leve di secondo genere; queste leve, come lo schiaccianoci, risultano sempre vantaggiose, qualunque siano le forze applicate, e qualunque sia la lunghezza die rispettivi bracci;
  • se la forza motrice si trova tra il fulcro e la forza resistente, si hanno leve di terzo genere; in questo caso, invece, le leve risultano sempre svantaggiose, quindi riducono le forze che vengono applicate su di esse;

 

Esempio:

Consideriamo una leva di terzo genere, in equilibrio sotto l’azione di una forza resistente di 5,7 N; sapendo che il braccio resistente misura 80 mm, e quello motore 55 mm, calcoliamo la forza motrice che equilibra la leva.

 

leva-terzo-genere
Forze agenti su una leva di terzo genere.

 

Sapendo che una leva (di qualsiasi tipo) è in equilibrio quando il momento della forza motrice è uguale a quello della forza resistente, possiamo applicare tale relazione per calcolare la forza resistente necessaria:

$F_r * b_r = F_m * b_m   to   F_m = frac (F_r * b_r)(b_m)$

ricordiamoci di esprimere le grandezze nella giusta unità di misura:

$F_r = 5,7 N $

$b_m = 55 mm = 0,55 cm$

$b_r = 80 mm = 0,80 cm$

Sostituendo troviamo, quindi:

$ F_m = frac (5,7 N * 0,80 cm ) (0,55 cm) = 8,3 N $

 

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Appunti: Sistemi di riferimento inerziali e il principio di relatività galileiana

Appunti: Il primo principio della dinamica

Appunti: Effetto delle forze sui corpi rigidi, e secondo principio della dinamica

Appunti: Il terzo principio della dinamica

 

 

Sistemi di riferimento inerziali e il principio di relatività galileiana

Introduzione

Come sappiamo, quando si parla del moto di un corpo, questo moto non si può considerare “universale”; infatti, esso non è lo stesso per ogni osservatore.

Ad esempio, ipotizziamo di trovarci sul bordo di una strada e di osservare un’automobile spostarsi. Dal nostro punti di vista le persone all’interno dell’auto si muovono; dal punto di vista del guidatore, se stesso e i suoi passeggeri sono fermi, ed è la strada a spostarsi verso di loro.

Questo accade perché il moto dell’auto è stato osservato da due sistemi di riferimento diversi.

Possiamo affermare, quindi, che il moto di un corpo dipende dal sistema di riferimento dal quale lo si osserva.

In particolare, alcune leggi non sono valide in tutti i sistemi di riferimento, ma solo in alcuni.

 

I sistemi di riferimento inerziali

I sistemi di riferimento in cui è valido il primo principio della dinamica prendono il nome di sistemi di riferimento inerziali.

I sistemi di riferimento inerziali sono quelli che, rispetto al riferimento che ha per origine il Sole, sono fermi o si muovono a velocità costante. Ad esempio, la Terra può essere considerata un sistema di riferimento inerziale; così come un’automobile che si muove a velocità costante. Mentre un’autobus in frenata non è un sistema di riferimento inerziale, in quanto subisce una decelerazione.

Notiamo che, sebbene la Terra compie un moto rotazionale attorno a se stessa, e intorno al Sole; la sua velocità angolare risulta molto piccola, e quindi la sua accelerazione (di circa 0,03 m/s^2), è praticamente trascurabile.

Cerchiamo di comprendere come mai il principio di inerzia non sia valido nei sistemi di riferimento che hanno un’accelerazione.

 

Confronto con sistemi di riferimento non inerziali

Consideriamo una pallina che si trova su un nastro trasportatore, che si muove a velocità costante v. Se osserviamo la pallina dal sistema di riferimento del nastro (S’) vedremo la pallina ferma; se, invece, osserviamo la pallina dal sistema di riferimento della Terra (S), vedremo la pallina muoversi, come il nastro, di velocità v.

In ogni caso, quindi, viene rispettato il primo principio della dinamica; infatti entrambi i sistemi di riferimento sono inerziali, e le forze alle quali è sottoposta la pallina (forza-peso rivolta verso il basso, e spinta del nastro verso l’alto) fanno si che la forza risultante sia nulla.

 

pallina-sistemi-di-riferimento
La pallina si muove a velocità v nel sistema S’, mentre è ferma in S; il primo principio della dinamica è rispettato in entrambi i casi.

 

Ora, supponiamo che il nastro subisca una decelerazione, diminuendo la sua velocità fino a fermarsi.

In questo caso, quando il nastro è fermo, se osserviamo la pallina dal sistema S, della Terra, la pallina continuerà a muoversi di velocità v, in accordo con il principio di inerzia.

Ma, se osserviamo la pallina dal sistema S’, quello del nastro, la forza totale che agisce sulla pallina è zero; infatti la sua forza-peso è bilanciata dalla spinta del terreno, e nessuna forza la spinge in avanti; tuttavia, la pallina si muove a velocità v costante, e non rimane ferma come invece avrebbe voluto il primo principio.

 

pallina-sistemi-di-riferimento
La pallina si muove di velocità v in S e in S’; in primo principio non viene più rispettato.

 

Possiamo concludere che il principio di inerzia non vale in tutti  sistemi di riferimento che sono accelerati rispetto ad un sistema di riferimento inerziale.

 

Il principio di relatività galileiana

I sistemi di riferimento inerziali hanno un’importante proprietà; questa può essere dedotta osservando, per esempio, il moto dell’acqua che viene versata in un bicchiere all’interno di un aereo.

Fin quando l’aereo sarà fermo all’aeroporto, riusciremo tranquillamente a versare l’acqua nel bicchiere; ciò accade anche quando l’aereo, dopo il decollo si muove a velocità costante. Il getto d’acqua, quindi, non rimane indietro, ma si muove insieme all’aereo.

Nella fase di decollo, invece,  non siamo in un sistema di riferimento inerziale, e l’accelerazione dell’aereo ci farà versare l’acqua dal bicchiere.

Questo fatto è riassunto nel Principio di relatività galileiana, che afferma che le leggi della meccanica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità (che deve, ovviamente, essere costante) con cui essi si muovono.

 

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Appunti: Il terzo principio della dinamica

 

 

Il primo principio della dinamica

 

Quando un corpo si muove, su di esso agiscono delle forze che possono influenzarne il moto. La dinamica è la parte della fisica che studia il modo in cui si muovono i corpi per effetto di tali forze che agiscono su di essi.

L’intuizione di Galileo

Già nel XVII secolo, Galileo Galilei aveva intuito che il moto di un corpo è influenzato da forze esterne che agiscono su di esso. Egli ipotizzò, infatti, che una pallina lanciata su un piano orizzontale con una certa velocità rallenta, fino a fermarsi; ciò è dovuto alla presenza di vincoli esterni, come la forza di attrito. Se non fosse ostacolata, la pallina continuerebbe a muoversi con velocità costante lungo il piano.

Tra gli esperimenti effettuati, descriviamo il moto di una pallina che viene lasciata rotolare su un piano particolare:

 

moto-pallina
Esperimento della pallina lasciata rotolare su un piano costituito da tra tratti distinti: discesa, tratto orizzontale, salita.

 

Nel primo tratto, il discesa, la pallina accelera, scendendo lungo i piano inclinato; percorre il tratto orizzontale, e successivamente comincia a risalire il tratto successivo; questo, in salita, ha un’inclinazione uguale a quello in discesa. Durante questo tratto, la sua accelerazione diminuisce sempre più, finché la pallina non si ferma e comincia a discendere; (ciò accade esattamente quando raggiunge la stessa altezza con dalla quale è partita).

Galilei notò che, anche variando l’inclinazione del secondo piano, la pallina raggiungeva sempre l’altezza da cui era stata fatta partire; quando l’angolo di inclinazione è più piccolo di quello del primo piano, la pallina percorre un tratto maggiore sul secondo prima di fermarsi. La decelerazione, quindi, è tanto più lenta quanto minore è l’inclinazione del piano.

Da esperimenti come questi, Galilei arrivò a delle conclusioni. In assenza di attriti, se non vi fosse un secondo piano inclinato, la pallina continuerebbe a percorrere il piano orizzontale con velocità costante, pari a quella con cui raggiunge la base del primo piano inclinato.

 

Il primo principio della dinamica

Le osservazioni di Galilei furono, poi, riprese da Isaac Newton, che enunciò i tre principi della dinamica, su cui si basa la meccanica classica; questi principi permettono anche di descrivere molti tipi di moti, fra cui quelli dei pianeti.

Il primo principio della dinamica, detto anche principio di inerzia, esplicita proprio le intuizioni di Galileo Galilei. Possiamo distinguere due parti del principio, che riguardano, rispettivamente, i corpi in quiete:

  • se la forza totale applicata ad un punto materiale che si trova in uno stato di quiete è zero, allora esso continuerà a rimanere fermo;
  • se un punto materiale si trova in quiete, allora la forza totale che esso subisce è uguale a zero;

e i corpi in movimento:

  • se la forza totale applicata ad un punto materiale che si muove di moto rettilineo uniforme è zero, allora esso continuerà a muoversi a velocità costante;
  • se un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme, allora la forza totale che esso subisce è uguale a zero;

In particolare, la tendenza che un corpo ha a rimanere nel suo stato di moto viene definita inerzia; l’inerzia è una proprietà intrinseca di tutti i corpi, ed è direttamente proporzionale alla loro massa.

Il primo principio della dinamica trova applicazione pratica in un esperimento di laboratorio, per cui si utilizza un disco a ghiaccio secco; questo permette di mostrare il moto di un oggetto nel caso in cui gli attriti sono ridotti al minimo.

Infatti, il disco è formato da una base circolare che libera biossido di carbonio allo stato solido, ed è poggiato su una superficie liscia. La CO2 lentamente si trasforma in vapore creando un sottile strato che separa il disco  dalla base; in questo modo, il disco è soggetto solamente alla sua forza-peso e alla spinta del vapore, che si annullano

Il disco può continuare all’infinito a muoversi a velocità costante sulla superficie piana; infatti, su di esso non agiscono forze esterne.

 

disco-ghiaccio-secco
Esperimento del disco a ghiaccio secco.

 

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Appunti: Il terzo principio della dinamica

 

 

Effetto delle forze sui corpi rigidi, e secondo principio della dinamica

Le forze e l’accelerazione

Come già sappiamo, per il primo principio della dinamica, se un corpo è fermo o si muove a velocità costante, la risultante delle forze che agiscono su di esso è nulla, e il corpo tende a mantenere il suo stato di moto.

Se però, in un sistema di riferimento inerziale, viene applicata una forza ad un corpo, tale forza può modificare il suo stato, provocando in esso un’accelerazione. In particolare, se applichiamo ad un corpo una forza costante, l’accelerazione cui è sottoposto il corpo è anch’essa costante. Il moto del corpo sarà, quindi, un moto uniformemente accelerato.

Questo fatto è stato osservato sperimentalmente utilizzando un disco a ghiaccio secco trainato da un filo.

 

disco-ghiaccio-secco
Esperimento del disco a ghiaccio secco trainato da un filo.

 

Supponiamo che il disco venga trainato applicando una forza costante, cioè mantenendo sempre uguale l’allungamento dell’elastico; notiamo che in tempi uguali il disco percorre spazi diversi (sempre maggiori mano a mano che procede in avanti); di conseguenza, esso si muove con una velocità variabile, e subisce dunque un’accelerazione. Si può vedere che la distanza percorsa dal disco è direttamente proporzionale al quadrato del tempo impiegato.

Si nota, anche sperimentalmente, che applicando una forza maggiore ad un corpo si ottiene un’accelerazione maggiore; ciò significa che l’accelerazione di un corpo è direttamente proporzionale alla forza che agisce su di esso.

Anche la massa di un corpo influisce sull’accelerazione che il corpo può subire. In particolare, a parità di forza applicata, il corpo più leggero subirà un’accelerazione maggiore del corpo più pesante.

 

Il secondo principio della dinamica

Le considerazioni fatte precedentemente sono riassunte nel secondo principio della dinamica.

La risultante delle forze applicate ad un corpo è uguale al prodotto della massa (inerziale) del corpo per la sua accelerazione.

$ vec F = m * vec a$

Le forze sono vettori, per questo si può parlare di forza risultante; come sempre, essa è data dalla somma vettoriale delle forze che agiscono sul corpo.

La m che compare nella formula viene definita “massa inerziale”, ed è una quantità caratteristica di ogni corpo; essa, quindi, è indipendente dalla sua forma, ma data dalla quantità di materia che costituisce il corpo stesso.

L’aggettivo “inerziale” riprende il concetto per cui, a parità di forza applicata a corpi di massa diversi, quello di massa maggiore subisce un’accelerazione minore. Possiamo, quindi, dire che questa grandezza esprime come il corpo tenda a conservare la propria velocità, e quindi di come abbia inerzia.

Proprio per questo, la massa viene anche definita come la misura della resistenza che un corpo esercita al tentativo di accelerarlo.

Il secondo principio della dinamica permette anche di dare una definizione alternativa all’unità di misura della forza, il Newton.

Possiamo, infatti, definite 1 N come il valore della forza che si applica ad una massa di $1 kg$ per imprimerle un’accelerazione di $1 m/s^2$.

 

La caduta libera

Nel caso in cui un oggetto venga lanciato da una certa altezza h, esso tenderà a cadere a terra, in quanto sulla Terra è presente un’accelerazione di gravità ($g = 9,8 m/s^2$) che attrae tutti i corpi che si trovano su di essa.

 

forza-peso
Forza di gravità che agisce su un corpo di massa m.

 

 

In questo caso, la forza che si ottiene viene definita forza-peso del corpo, o anche peso del corpo.

 

Esempio:

Consideriamo una massa $m_1$ di 60 kg, e una massa $m_2$ di 75 kg. Si vogliono appendere le due masse ad una fune, collegata ad una carrucola, per trasportarle fino al terzo piano di un edificio. Sapendo che la fune può sostenere, senza rompersi, una forza massima di 1500 N, riuscirà a reggere le due masse?

Per rispondere al quesito dobbiamo calcolare quale forza eserciteranno sulla fune le due masse, appese insieme.

Possiamo, quindi, considerare la massa totale che viene appesa alla fune, data dalla somma delle due:

$ m_Tot = m_1 + m_2 = 60 kg + 75 kg = 135 kg $

Calcoliamo, ora, con il secondo principio, la forza che tale massa esercita sulla fune, considerando come accelerazione quella di gravità:

$ F_Tot = m_Tot * g = 135 kg * 9,8 frac (m)(s^2) = 1323 N $

La forza risultante è minore di quella sopportata dalla fune, che quindi potrà reggere il carico.

 

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Appunti: Il terzo principio della dinamica

 

 

 

Il terzo principio della dinamica

Interazioni tra corpi a contatto e corpi a distanza

Consideriamo due magneti posti su due carrelli differenti, e orientati in modo da rivolgere, l’uno verso l’altro, il polo con la stessa carica. I magneti, quindi, tendono a respingersi, e il cavo che unisce i due carrelli è teso.

 

carrelli-e-magneti
I carrelli si respingono, perché i magneti sono orientati con i poli dello stesso segno vicini.

 

I magneti si muovono in verso opposto, e quindi su di essi agiscono delle forze. Ogni magnete esercita sull’altro una forza F, e le due forze sono uguali in modulo, ma hanno versi opposti.

Possiamo, quindi, dire che la forza che agisce su un magnete è uguale e opposta alla forza che esso esercita sull’altro.

Anche nel caso di forze a contatto si ha una situazione analoga.

Consideriamo, ad esempio, un corpo fermo, situato sul pavimento. Su di esso agiscono due forze: una è la forza peso, dovuta all’accelerazione di gravità, e rivolta verso il basso; l’altra è la reazione vincolare esercitata dal pavimento, e rivolta verso l’alto.

 

forza-peso-e-reazione-del-suolo
La forza peso e la reazione del suolo sono uguali e contrarie, quindi si bilanciano: il corpo è in equilibrio.

 

Le due forze, anche in questo caso, sono uguali e contrarie, e la risultante di esse che agisce sul corpo è nulla; per questo, il corpo è fermo e continua a rimanere fermo.

 

Il terzo principio della dinamica

Il terzo principio della dinamica, definito anche principio di azione e reazione, afferma che quando un corpo A esercita una forza su un corpo B, anche il corpo B esercita una forza su A, e le due forze sono uguali in modulo, hanno stessa direzione, ma verso opposto.

$vec F_BtoA = – vec F_AtoB $

Questo principio è valido ogni volta che due corpi interagiscono tra loro; ciò vale sia se essi sono in contatto, sia se essi sono a distanza, in movimento o fermi.

Notiamo che le forze di azione e reazione, cioè le forze che i corpi esercitano l’uno sull’altro,  pur essendo uguali e opposte non si annullano a vicenda, in quanto sono applicate su oggetti diversi.

Molto spesso, specialmente quando gli oggetti in questione hanno masse o grandezze molto differenti, riusciamo a percepire solo una delle forze che agiscono; l’altra è talmente piccola che può essere considerata trascurabile.

Ciò avviene, ad esempio, nel caso in cui abbiamo un oggetto in caduta libera, che viene attratto dalla Terra a causa della forza di attrazione gravitazionale. Anche il corpo esercita una forza attrattiva nei confronti della Terra, che è uguale e contraria di quella che a Terra esercita su di esso.

 

forza-gravitazionale
La Terra e il corpo esercitano l’uno sull’altra una forza attrattiva.

 

Tuttavia, mentre i corpo viene accelerato verso la Terra, quest’ultima, che ha una massa enorme rispetto al corpo, offre una grandissima resistenza ad essere accelerata.

 

Autotrazione e locomozione

Il terzo principio della dinamica trova applicazione in tutti quei sistemi che riguardano l’autotrazione e la locomozione.

Esaminiamo, ad esempio, i fattori che permettono ad una bicicletta di spostarsi.

Quando la bicicletta si muove, la sua ruota esercita sull’asfalto una certa forza $F_r-a$, il cui verso è quello opposto allo spostamento della bicicletta. Per il principio di azione e reazione, l’asfalto esercita una forza $F_a-r$ uguale e contraria alla precedente, e rivolta quindi nel verso dello spostamento della bici. E’ proprio tale forza che permette alla bicicletta di spostarsi e avanzare.

 

applicazione-terzo-principio
Le forze uguali e contrarie che agiscono nel punto di contatto ruota-asfalto permettono il movimento della bicicletta.

 

Una situazione analoga riguarda il caso della locomozione. Quando camminiamo, infatti, esercitiamo una forza sul terreno, spingendolo indietro. Allo stesso modo, il terreno esercita una forza sul nostro piede, uguale e contraria alla nostra spinta. Il suolo, quindi, ci spinge in avanti, e ci permette così di camminare.

 

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Le molle

La forza elastica

Le molle sono strumenti di grande utilizzo, anche nella vita quotidiana, e ci permettono di svolgere numerose azioni. In fisica, per esempio, abbiamo visto l’utilizzo di una molla nel caso del dinamometro, che consente di determinare la forza-peso di un oggetto.

Una delle caratteristiche delle molle è il fatto che ogni volta che esse vengono deformate, cioè vengono compresse o allungate, e si altera così il loro stato di riposo, esse tendono a tornare nella posizione di equilibrio. Questo accade perché sulla molla agisce una forza propria di questo strumento, e perciò detta forza elastica.

Consideriamo una molla parallela al piano orizzontale, e fissata al muro; supponiamo di tirare la molla verso destra, allungandola rispetto alla posizione di riposo di una lunghezza $∆x$. La forza che stiamo imprimendo alla molla è, quindi, rivolta nella stessa direzione dello spostamento, verso destra. La forza elastica ha stessa direzione della nostra forza, ma verso opposto; infatti, la molla, cercando di tornare nella posizione di riposo, tenderà a spostarsi verso sinistra; la forza elastica, quindi, ha sempre verso opposto allo spostamento.

 

allungamento-molla
Allungamento della molla di una quantità ∆x rispetto alla posizione di riposo.

 

Consideriamo, ora, il caso in cui la molla venga compressa; la forza che stiamo applicando è ora rivolta verso verso sinistra, nella stesso verso dello spostamento $∆x$. La molla cercherà di tornare nella sua posizione di riposo, e quindi cercherà di allungarsi. La forza elastica agirà, quindi, verso destra, nella direzione opposta allo spostamento.

 

compressione-molla
Compressione della molla di una quantità ∆x rispetto alla posizione di riposo.

 

La forza elastica

Si può notare che il valore della forza elastica è direttamente proporzionale allo spostamento della molla rispetto alla posizione iniziale.

Infatti, la forza elastica può essere espressa mediante la legge di Hooke, per cui si ha:

$ vec F_(el) = -k * ∆ vec x $

dove $∆x$ rappresenta lo spostamento della molla, e k è una costante, detta costante elastica della molla. Il segno meno che compare nell’espressione sottolinea proprio il fatto che il vettore forza elastica ha verso opposto del vettore spostamento.

Questa legge vale solo nel caso di molle ideali e per deformazioni piccole; infatti, applicando forze particolarmente elevate la molla potrebbe reagire imprevedibilmente, o addirittura deformarsi essa stessa.

 

Il moto armonico della molla

Quando attacchiamo all’estremità di una molla (parallela al pavimento) una massa, ad esempio una pallina, e deformiamo la molla rispetto alla posizione di riposo, trascurando gli attriti presenti tra il pavimento e la massa, notiamo che la pallina comincerà a muoversi avanti e indietro, e subirà un’accelerazione da parte della molla.

In particolare, la forza cui è soggetta la pallina è uguale alla forza elastica della molla:

$ vec F_p = vec F_(el)    to    m * vec a = -k * vec s    to     m * vec a + k * vec s = 0 $

Dove con s indichiamo lo spostamento della molla dalla posizione di riposo.

Notiamo che questa equazione è molto simile all’equazione che descrive il moto armonico, che ricordiamo essere:

$ vec a = – \omega^2 * vec s     to      vec a +  \omega^2 * vec s = 0 $

In effetti, la molla, oscillando avanti e indietro sotto l’azione della forza elastica, descrive proprio un moto armonico; l’equazione può anche essere scritta come segue:

$ vec a + frac (k)(m) * vec s = 0 $

Da questa scrittura, possiamo facilmente dedurre che la pulsazione è data da:

$ \omega^2 = frac (k)(m)    to     \omega = sqrt (frac (k)(m)) $

Poiché il periodo dell’oscillazione è dato dal rapporto tra 2π e la pulsazione, otteniamo:

$ T = frac (2π)(\omega) = 2π * sqrt( frac (k)(m) )$

 

Esercizio

Consideriamo una molla posta a terra, e ancorata al terreno su un estremo. All’altro estremo della molla è attaccata una sfera, che viene fatta ruotare sul piano orizzontale. La sfera descrive, così, un moto circolare uniforme. Sapendo che la massa della sfera è di 0.21 kg, che la costante elastica della molla misura 289 N/m, che il raggio della circonferenza che percorre la sfera è di 0,381 m e che essa si muove con velocità angolare pari a 3,21 rad/s, determiniamo la lunghezza della molla a riposo.

La sfera che si muove di moto circolare uniforme è sottoposta alla forza centripeta dovuta a tale moto; questa forza è uguale alla forza elastica della molla. Da questa uguaglianza possiamo facilmente ricavare l’entità dell’allungamento della molla:

$F_c = F_(el)      to     m * \omega^2 * r = k * s     to      s = frac ( m * \omega^2 * r)(k) $

Di conseguenza, la lunghezza della molla a riposo è data dalla differenza tra il raggio della circonferenza e l’entità dell’allungamento:

$ l = r – s = r  – frac ( m * \omega^2 * r)(k) $

Sostituendo i valori numerici abbiamo:

$ l = 0,381 – frac ( 0,21 kg * (3,21 (rad)/s )^2 * 0,381 m)(289 N/m) = $

$= 0,381 m – 0,00285 m = 0,378 m $

 

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La discesa lungo un piano inclinato

Esempio della biglia

Consideriamo una biglia appoggiata su di un quaderno. Se il quaderno si trova su una superficie piana, ad esempio su un tavolo, la biglia rimane ferma; per il primo principio della dinamica, infatti, le forze che agiscono su di essa si bilanciano (forza-peso e reazione vincolare del tavolo), quindi la biglia tende a mantenere il suo stato di moto.

Se, però, solleviamo leggermente il quaderno, noteremo che la biglia comincerà a muoversi; in particolare, questa scenderà lungo il piano, nel verso dell’inclinazione.

 

biglia-piano-inclinato
Se il piano viene alzato, la biglia (prima in equilibrio) comincerà a muoversi.

 

Ciò accade perché le forze che agiscono sulla biglia sono state modificate, e l’equilibrio è stato alterato. Inoltre, sono entrate in gioco anche altre forze, come la forza di attrito data dal contatto della biglia con la superficie del quaderno.

Ipotizziamo che la superficie della sfera e quella del quaderno siano talmente tanto lisce che l’attrito presente possa essere trascurato; esaminiamo le forze che si generano.

 

Il piano inclinato

Come nel caso della biglia che si trova in piano, anche sul piano inclinato essa è sottoposta alla forza-peso; questa forza è rivolta verso il basso, ma per analizzare la situazione è conveniente scomporre il vettore forza-peso nelle sue componenti, quella parallela al piano ($F_(//)$), e quella ortogonale al piano ($F_⊥$).

La componente parallela ha, come suggerisce il nome stesso, direzione parallela alla superficie del piano, e verso diretto lungo la discesa; tale forza è responsabile del movimento della pallina lungo il piano.

La componente ortogonale, invece, ha direzione perpendicolare al piano, e verso diretto all’interno della superficie. Tale forza è equilibrata dalla forza vincolare della superficie, che invece è rivolta verso l’esterno.

 

 

forza-peso-piano-inclinato
Scomposizione della forza-peso in componente parallela e componente perpendicolare rispetto la superficie del piano inclinato.

 

In particolare, se indichiamo con $h$ l’altezza del piano inclinato, con $l$ la sua lunghezza (cioè l’ipotenusa) e con $\alpha$ l’angolo che il piano forza con il suolo, la il modulo della componente parallela è dato dal prodotto del modulo della forza-peso per il seno dell’angolo $\alpha$:

$ |vec F_(//) |=| vec F_P | * sin (\alpha) $

Possiamo, poi, esprimere il seno dell’angolo come rapporto dell’altezza del piano (cateto) per la sua lunghezza (ipotenusa); quindi abbiamo:

$ |vec F_// |=| vec F_P | * sin (\alpha) =  | vec F_P | * frac (h)(l)$

Notiamo che, poiché la forza-peso di un corpo è data dal prodotto della sua massa per la sua accelerazione, la componente parallela della forza è direttamente proporzionale alla massa del corpo.

$ F_(//) = m * g * frac (h)(l) $

Dato che la massa dell’oggetto che si trova sul piano inclinato è sempre la stessa, la forza che agirà sul corpo sarà una forza costante; ciò significa che tale forza produrrà un’accelerazione costante sul corpo, che si muoverà quindi di moto uniformemente accelerato. I vettori forza e accelerazione, poi, hanno la stessa direzione, diretta lungo il piano inclinato.

Dal secondo principio della dinamica ($F = m*a$) possiamo determinare il valore dell’accelerazione su un piano inclinato:

$ F_(//) = m * a    to    a = frac (F_(//))(m) = F_// *  frac (1)(m) = m * g * frac (h)(l) * frac (1)(m) = g * frac (h)(l) $

Dato che l’accelerazione del corpo dipende dal rapporto $frac (h)(l)$, possiamo notare che se tale rapporto è prossimo a 1; cioè se l’inclinazione del piano è molto elevata, l’accelerazione del corpo è circa quella di gravità, quindi il suo moto può essere considerato come il moto in caduta libera.

 

La presenza dell’attrito

Nel caso in cui il piano inclinato è costituito da una superficie ruvida, dobbiamo considerare la presenza dell’attrito che si genera tra il corpo e la superficie.

Finché il corpo rimane fermo, in equilibrio sul piano, su di esso agisce, oltre la forza peso con le sue componenti, e la reazione vincolare, anche la forza di attrito statico ($F_s$). Tale forza ha direzione parallela al piano, e verso opposto a quello della componente parallela della forza-peso; inoltre, tale forza non è costante, ma varia in base al valore della forza peso che sta bilanciando.

La forza di attrito statico può bilanciare la forza-peso fino ad un certo punto, raggiungendo il suo valore massimo in modulo; successivamente l’equilibrio verrà perso, e il corpo comincerà a muoversi.

Quando il corpo è in movimento, continuerà ad agire su di esso una forza di attrito, detta forza di attrito dinamico ($F_d$). Tale forza, diretta parallelamente al piano, e opposta alla componente parallela, ostacolerà la discesa del corpo, rallentando la sua caduta.

 

forza-attrito-piano-inclinato
La forza di attrito contrasta la componente parallela della forza-peso, influendo sullo stato di equilibrio del corpo.

 

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Il pendolo semplice

Il pendolo semplice: equilibrio e moto armonico

Il pendolo è uno strumento costituito da una sferetta di massa m attaccata ad una superficie orizzontale rigida per mezzo di un filo, o un’asta, inestensibile e di massa trascurabile.

Quando la massa si trova lungo la verticale rispetto al piano,  il pendolo è in una posizione di equilibrio. Infatti, le forze che agiscono sulla sfera sono solamente la forza peso relativa alla sua massa, e la tensione della fune; queste sono uguali in modulo, e hanno verso opposto, quindi si bilanciano; per questo, la sfera è ferma in una posizione di equilibrio.

 

pendolo-equilibrio
Il pendolo è in equilibrio quando la tensione della fune e la forza peso sono uguali e contrarie, cioè quando si bilanciano.

 

Se, però, prendiamo la sfera e la spostiamo dalla posizione iniziale di equilibrio, e la lasciamo andare, questa comincerà ad oscillare; nel caso in cui gli attriti che si generano, dovuti all’aria e allo sfregamento nel punto in cui è attaccato il filo, siano trascurabili, la sfera continuerebbe ad oscillare con un’oscillazione praticamente costante.

 

pendolo-oscillazione
Il pendolo oscilla in modo costante: la forza che influenza l’oscillazione è la componente parallela della forza-peso.

 

Inoltre, possiamo notare che anche il pendolo descrive un moto armonico, dovuto alla massa della pallina e alla sua forza-peso.

Scomponiamo la forza-peso della pallina nelle sue componenti: $F_//$ che ha direzione tangente alla traiettoria descritta dalla pallina, e $F_⊥$ che, invece, da direzione perpendicolare ad essa; notiamo che la tensione della fune è bilanciata dalla componente perpendicolare della forza-peso. Il moto della pallina, quindi, dipende da $F_//$, che, anche in questo caso, come per la forza elastica, ha verso contrario a quello dello spostamento. Infatti, tale forza agisce contro il moto della pallina, e tende a riportarla nella posizione di equilibrio.

Questa caratteristica della forza che agisce sulla pallina nel caso del pendolo, è in accordo con il fatto che anche per il pendolo si può parlare di moto armonico.

Possiamo, infatti, mostrare che anche in questo caso si può determinare un’equazione del moto che rispecchia quella del moto armonico.

Indichiamo con $\alpha\$ l’angolo che si forma tra la fune e la verticale; la componente della forza-peso tangente alla traiettoria si ottiene in questo modo:

$F_⊥ = F_P * sin (\alpha) = m * g * frac(d)(l)$

Possiamo approssimare con d la lunghezza dell’arco di traiettoria corrispondente nel caso in cui le oscillazioni siano piccole.

Indichiamo con s il vettore spostamento, e sapendo che la forza tangente ha direzione opposta a tale vettore, possiamo scrivere:

$vec F_⊥ = -frac(m * g) (l) * vec s$

Poiché tale forza imprime un’accelerazione alla pallina, abbiamo la relazione $F = m*a$, dal secondo principio della dinamica. Uguagliando le due espressioni, otteniamo l’equazione cercata:

$vec F_⊥ = -frac(m * g) (l) * vec s  $  ;    $vec F_⊥ = m * vec a      to    $

$  -frac(m * g) (l) * vec s = m * vec a    to    m * l * vec a + m * g * vec s = 0$

 

Il periodo di oscillazione

Una caratteristica molto importante del pendolo, che ha permesso ai fisici di costruire orologi basati sulla sua oscillazione, riguarda la durata delle oscillazioni, e quindi il periodo.

Il periodo del pendolo può essere calcolato mediante la seguente formula:

$ T = 2π * sqrt frac (l)(g) $

dove con l si indica la lunghezza del filo, e con g l’accelerazione di gravità.

Come possiamo notare, il periodo di oscillazione del pendolo non dipende in alcun modo dall’angolo di oscillazione, cioè dall’ampiezza dell’oscillazione, o dalla distanza (d) dalla posizione di riposo.

Questo significa che, quando con il passare del tempo, a causa degli attriti con l’aria, le oscillazioni diventano sempre più piccole, passando da un angolo iniziale γ a un angolo successivo γ’, il tempo impiegato dalla pallina per spaziare il secondo angolo sarà esattamente uguale a quello impiegato per spaziare il primo.

 

Isocronia del pendolo
Il tempo impiegato per spaziare il primo angolo è uguale al tempo impiegato per spaziare il secondo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa particolare proprietà è detta isocronia; grazie ad essa è possibile sfruttare il meccanismo del pendolo per costruire gli orologi.

Esempio:

Calcoliamo il periodo di oscillazione di un pendolo, sapendo che la lunghezza del filo è di 51 cm, e che alla sua estremità è attizzata una massa di 43 g (ci troviamo sulla Terra).

Per determinare il periodo di oscillazione del pendolo utilizziamo la formula vista precedentemente; ricordiamo che le grandezze devono essere espresse nelle giuste unità di misura:

$ 51 cm = 0,51 m $

$ T = 2π * sqrt frac (l)(g) = 2π * sqrt frac (0,51 m)(9,81 m/s^2) = 1,4 s $

Notiamo che il problema ci ha fornito un dato superfluo: il periodo di oscillazione, infatti, è indipendente dalla massa appesa al filo.

 

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Il lavoro

Il concetto di lavoro

Il concetto di lavoro è strettamente collegato a quello di forza e di spostamento. Quando, infatti, solleviamo una cassa e la trasportiamo per un certo tratto, abbiamo compiuto un lavoro.

Inoltre, questa nuova grandezza è strettamente collegata con il concetto di energia. Tutte le volte, infatti, che abbiamo compiuto un lavoro su un corpo, questo corpo ha acquisito a sua volta la capacità di compiere un lavoro.

Ad esempio, se compiamo un lavoro mettendo in moto un carrello, esso potrà urtare un oggetto fermo mettendolo in moto a sua volta. Si dice, quindi, che il carrello ha acquisito energia. L’energia, poi, può essere di tipo diverso, a seconda del corpo che stiamo considerando; nel caso del carrello, si parla di energia di movimento. Se consideriamo una cassa che viene sollevata, essa possederà un’energia di posizione; facendola cadere, infatti, la forza-peso compie un lavoro positivo.

 

Definizione di lavoro

Diamo una definizione di lavoro di una forza F come il prodotto scalare della forza per lo spostamento rispetto al punto di applicazione:

$ L = vec F * vec s = L * s * cos (Θ) $

dove con θ si indica l’angolo compreso tra i vettori forza e spostamento

Il lavoro di una forza, quindi, dipende dall’angolo compreso tra il vettore forza e il vettore spostamento; di conseguenza, in base alla posizione di essi, potremmo avere un lavoro positivo, negativo o nullo.

Consideriamo il caso in cui il vettore forza e il vettore spostamento siano paralleli; ciò accade, ad esempio, quando spingiamo in avanti un carrello:

vettori-forza-spostamento
Nello spostamento di un oggetto, il vettore forza e il vettore spostamento sono paralleli.

 

In questo caso, l’angolo compreso tra tali vettori è 0; possiamo calcolare il lavoro compiuto semplicemente come prodotto del modulo della forza per l’entità dello spostamento, essendo il coseno di 0 uguale a 1:

$ L = vec F * vec s = L * s * cos (Θ) =L * s * cos (0°) =L * s  $

 

Lavoro motore e lavoro resistente

Il lavoro che si compie sotto le ipotesi precedenti serve, quindi, per compiere determinate azioni; ad esempio per mettere in moto un corpo fermo, o mantenere in movimento un corpo che si sta già muovendo; per questo prende il nome di lavoro motore.

In particolare, si può definire l’unità di misura del lavoro, cioè il Joule (J), come il lavoro compiuto da una forza di 1N quando questa provoca lo spostamento di un metro dal punto di applicazione: 1 J = 1 N ⋅1 m.

Consideriamo, ora, il caso in cui il vettore forza e il vettore spostamento siano opposti; ciò accade, ad esempio, quando cerchiamo di rallentare, o di fermare, un oggetto in movimento:

 

vettori-forza-spostamento
Durante l’arresto di un oggetto in moto, la forza esterna che agisce sull’oggetto ha verso opposto del vettore spostamento dell’oggetto.

 

In questo caso l’angolo compreso tra i due vettori è di 180°; poiché il coseno di tale angolo è -1, il valore del lavoro sarà negativo, e dato da:

$ L = vec F * vec s = L * s * cos (Θ) =L * s * cos (180°) = – L * s  $

La forza applicata al corpo, quindi, si oppone al suo spostamento; il lavoro che ne deriva viene detto lavoro resistente.

Nel caso, invece, in cui il vettore forza e il vettore spostamento siano perpendicolari, per esempio nel caso della forza-peso che agisce su una valigetta che stiamo trasportando, l’angolo compreso tra i vettori è di 90°.

 

vettori-forza-spostamento
Su un oggetto appeso ad una carrucola in movimento agisce una forza peso il cui vettore è perpendicolare al vettore spostamento.

 

Poiché il coseno di 90° è zero, il lavoro risulterà nullo.

$ L = vec F * vec s = L * s * cos (Θ) =L * s * cos (90°) = 0  $

In questo caso, quindi, la forza peso non influenza in alcun modo lo spostamento del corpo, e non compie lavoro.

 

Il lavoro compiuto da più forze

Se vi sono due o più forza che agiscono contemporaneamente su un corpo che si sposta, può capitare che solo alcune di esse compiano lavoro.

In particolare, possiamo calcolare il lavoro totale generato dalle forze sul corpo in due modi.

  • Calcolando il lavoro eseguito da ogni singola forza sul corpo, e poi sommare algebricamente i lavori ottenuti;
  • calcolando la risultante delle forze che agiscono, e successivamente il lavoro che compie la risultante.

 

 

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La potenza

La potenza e il lavoro

In generale, è possibile compiere uno stesso lavoro in modi differenti, e accade che alcuni di essi possono rivelarsi più vantaggiosi di altri.

Ad esempio, se dobbiamo raggiungere il quinto piano di un palazzo possiamo scegliere se salire le scale a piedi, o prendere l’ascensore. In entrambi i casi viene compiuto un lavoro; nel primo caso sono i nostri muscoli che ci permettono di salire, nel secondo è il motore dell’ascensore che compie il lavoro. In entrambi i casi il lavoro compiuto è uguale a quello che compie la forza peso cambiato di segno, perché la forza che ci permette di salire è rivolta verso l’alto.

Ciò che differenzia le due tipologie di lavoro, però, è la durata dell’operazione; scegliendo di salire le scale impiegheremo un tempo maggiore di quello ottenuto prendendo l’ascensore.

La potenza è proprio la misura che tiene conto del tempo che una forza impiega a compiere un lavoro.

La potenza (P) si definisce come il rapporto tra il lavoro compiuto da un sistema e l’intervallo di tempo necessario a compierlo:

$ P = frac (L)(∆t) $

Riferendoci all’esempio precedente, diremo che l’ascensore è più potente di un uomo che sale le scale, in quanto è in grado di compiere la stessa operazione in un tempo notevolmente minore.

L’unità di misura della potenza è il watt, definito come la potenza di un sistema che compie il lavoro di un joule in un secondo: 1 W = 1 J / 1 s.

 

La potenza e la velocità

Consideriamo, ora, il caso in cui una forza F agisca su un corpo producendo un certo spostamento s in un intervallo di tempo ∆t. Supponiamo, inoltre, che il vettore forza sia parallelo al vettore spostamento. Come sappiamo, il lavoro prodotto dalla forza è dato dal prodotto della forza per lo spostamento: L = Fs.

Possiamo, quindi, esprimere la potenza prodotta nel seguente modo:

$ P = frac (L)(∆t) = frac (F * s)(∆t) $

Se la forza applicata al corpo fa si che esso si muova a velocità costante, il rapporto s/∆t rappresenta proprio la velocità del corpo; possiamo esprimere, quindi, la potenza come prodotto della forza per la velocità:

$ P =  F * frac (s)(∆t) = F * v $

 

Il concetto di macchina

Con il concetto di macchina si esprime un qualsiasi dispositivo che sia capace di compiere un lavoro. Una macchina, quindi, può essere un ascensore, un’automobile, una pompa, e, come abbiamo visto prima, anche un essere umano.

Come tale, ogni macchina possiede una determinata potenza, cioè una quantità di lavoro massimo che può compiere in un determinato intervallo di tempo.

Molti degli elettrodomestici che abbiamo in casa, ad esempio, sono macchine, e la loro potenza è espressa in kW (kilowatt); 1 kW corrisponde a 1000 W.

 

Esempio

Per mantenere in movimento un’automobile e permetterle di viaggiare a velocità costante, il suo motore deve fornire una forza di 4000 N per vincere gli attriti con l’aria. La potenza totale che viene erogata dal motore dell’auto è di 80 kW. Sapendo che una potenza di 15 kW viene dissipata a causa degli attriti interni del motore, a quale velocità si muove l’automobile? Qual è, inoltre, il lavoro compiuto dal motore dell’automobile se essa percorre un tratto di strada di 1,5 km?

 

Dai dati del problema, sappiamo che il motore eroga una potenza di 80 kW, ma 15 kW vengono dissipati; di conseguenza, la potenza netta che viene impiegata è di:

$ P = (80-15)kW= 65 kW $

Trasformiamo la potenza nella giusta unità di misura, ricordando che 1 kW corrisponde a 1000 W:

$ P = 65 kW = 65 000 W  $

La forza che impiega il motore è di 4000 N; sapendo che la potenza può essere espressa come prodotto della forza per la velocità (nel caso di velocità costante), possiamo ricavare il valore della velocità:

$ P = f * v    to    v = frac (P)(F) $

Sostituiamo i valori numerici:

$  v = frac (P)(F) = frac (65000 W)(4000 N) = 16,25 m/s $

Per determinare il lavoro compiuto, abbiamo bisogno di conoscere l’intervallo di tempo in cui l’auto è rimasta in movimento.

Sappiamo che essa ha percorso 1,5 km, cioè 1500 m; conoscendo la sua velocità, possiamo calcolare il tempo impiegato:

$ t = frac (s)(v) = frac (1500 m)(16,25 m/s) = 92,31 s $

Dato che la potenza è espressa come rapporto del lavoro sull’unità di tempo, ricaviamo il lavoro effettuato:

$ P = frac (L)(t)    to    L = P * t $

Sostituiamo i valori numerici:

$ L = P * t = 65000 W * 92,31 s = 6000150 J = 6,0 * 10^6 J $

 

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L’energia cinetica

Definizione di energia cinetica

Come sappiamo, un qualsiasi oggetto che è in movimento è capace di compiere un lavoro.

Ad esempio, un carrello che si muove può colpire un oggetto fermo e metterlo in movimento a sua volta; oppure può urtare una molla e comprimerla. Proprio per questo, l’oggetto in questione possiede energia; in particolare, poiché questa energia dipende proprio dal fatto che l’oggetto si sta muovendo, essa prende il nome di energia cinetica.

L’energia cinetica di un corpo di massa m (indicata con k), che si muove con velocità v è definita come il semiprodotto della massa del corpo per la sua velocità al quadrato:

$ k = 1/2 m * v^2 $

Anche l’energia cinetica, come il lavoro, si esprime nel Sistema Internazionale in Joule.

Il concetto di energia, quindi, è strettamente collegato a quello di lavoro. Infatti, l’energia cinetica può anche essere espressa come:

  • il lavoro che una forza deve compiere per mettere in moto un oggetto di massa m, inizialmente fermo, e portarlo alla velocità v;
  • il lavoro che un oggetto di massa m, che si muove a velocità v, deve compiere per essere fermato (in questo caso il lavoro è negativo).

 

L’effetto di una forza sull’energia cinetica

Ipotizziamo che un corpo in movimento sia soggetto ad una forza esterna; in base alla posizione del vettore forza rispetto al corpo, tale forza influisce diversamente sull’energia cinetica di esso.

Consideriamo tre casi.

  • Il vettore forza è parallelo al vettore velocità:

In questo caso la forza che agisce può favorire o ostacolare il moto del corpo; infatti, se il vettore velocità e il vettore forza hanno stessa direzione e stesso verso (come nel caso di un oggetto in caduta libera), l’effetto della forza aumenta l’energia cinetica del corpo; altrimenti, se i due vettori hanno stessa direzione ma verso opposto (come nel caso di un oggetto che viene lanciato verso l’alto), la forza diminuisce l’energia cinetica del corpo.

 

Vettori forza e velocità di un oggetto in caduta libera o lanciato verticalmente verso l'alto
Vettori forza e velocità; caso dell’oggetto in caduta libera, e dell’oggetto lanciato verticalmente verso l’alto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Il vettore forza è perpendicolare al vettore velocità:

In questo caso, la forza che agisce non modifica in alcun modo l’energia cinetica del corpo. Un esempio è quello del moto circolare uniforme, per il quale si ha una velocità costante in modulo (ma che cambia continuamente direzione e verso), il cui vettore ha direzione tangente alla curva descritta dal corpo.

La forza responsabile del moto è la forza centripeta, diretta verso il centro della circonferenza, e quindi perpendicolare al vettore velocità. Tale forza, quindi, modifica direzione e verso del vettore velocità, ma non il suo modulo, che resta costante; per questo, l’energia cinetica non cambia.

 

moto-circolare-uniforme
Forza e velocità nel caso di un moto circolare uniforme.

 

Il vettore forza e il vettore velocità formano un angolo $ \alpha$:

Il questo caso, forza e velocità non sono né paralleli né perpendicolari, ma vi è un angolo tra essi. Per comprendere gli effetti della forza sull’energia cinetica, scomponiamo il vettore forza nelle sue componenti; abbiamo  $F_\\ $, parallelo alla velocità, che modifica l’energia cinetica ma non la direzione del moto; e $F_⊥$, perpendicolare al vettore velocità, che invece modifica la direzione della velocità ma non il suo modulo, e quindi non influenza l’energia cinetica.

 

scomposizione-forza
Scomposizione del vettore forza nelle componenti parallela e perpendicolare rispetto al piano.

 

Il teorema dell’energia cinetica

Quando viene applicata una forza ad un oggetto in movimento, cambia la sua energia cinetica.

Il teorema dell’energia cinetica è riassunto dalla seguente formula:

$ k_f – k_i = 1/2 m*v_f ^2 – 1/2 m*v_i ^2 = L $

Il cambiamento di energia cinetica che subisce l’oggetto in movimento è uguale al lavoro compiuto dalla forza sull’oggetto.

Nel caso in cui la velocità finale è nulla ci si riconduce al caso in cui un corpo in movimento viene fermato; di conseguenza, il lavoro compiuto (che è negativo) è uguale all’energia cinetica iniziale.

Analogamente, se la velocità iniziale è nulla, si ha il caso di un corpo che viene messo in movimento;  l’energia cinetica finale sarà uguale al lavoro che si deve compiere (in questo caso si ha un lavoro positivo) per portare il corpo alla velocità finale.

 

 

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Forze conservative e dissipative, energia potenziale.

Forze conservative e dissipative

Le forze possono essere suddivise in due categorie, quelle conservative e quelle dissipative.

Le prime, sono forze per le quali il lavoro compiuto dipende solo dalla posizione iniziale e da quella finale, e non dal particolare tragitto che viene effettuato durante lo spostamento.

Se una forza non è conservativa, allora essa si dice dissipativa.

 

Esempio di forza conservativa

La forza-peso è un esempio di forza conservativa.

Cerchiamo di capire questo concetto esaminando il valore del lavoro che compie la forza peso durante la discesa di una biglia in due diverse circostanze: nel primo caso lungo un piano inclinato, e nel secondo lungo una scalinata.

Consideriamo un piano inclinato di altezza h e di lunghezza l, e una biglia che si trova in cima ad esso.

 

discesa-piano-inclinato
Forza peso che agisce su una biglia in discesa su un piano inclinato.

 

Sappiamo che il valore della forza peso (componete parallela) che agisce sulla biglia è dato da:

$ F_\\ = F_P * frac (h)(l) = m * g * frac (h)(l) $

Il lavoro che compie la forza peso, quindi, è dato dal prodotto della forza per lo spostamento, quindi vale:

$ L = F_\\ * l = m * g * frac (h)(l) * l  = m * g * h $

Ora consideriamo una scala di quattro gradini, ciascuno di altezza rispettivamente $h_1$, $h_2$, $h_3$, $h_4$.

 

discesa-biglia- energia-potenziale
Discesa di una biglia da una scala composta da gradini.

 

Quando la biglia scende lungo la scala, la forza peso compie lavoro solo nei tratti verticali; in ciascun tratto il lavoro è dato dal prodotto della forza peso per lo spostamento, e il lavoro totale è dato dalla somma dei singoli lavori:

$ L_Tot = L_1 + L_2 + L_3 + L_4 = F_P * h_1 + F_P * h_2 + F_P * h_3 + F_P * h_4 $

Mettendo in evidenza $F_p$, ci riconduciamo alla formula precedente:

$ L = F_P * (h_1 +  h_2 +  h_3 +  h_4) = F_P * h $

Concludiamo che il lavoro compiuto dalla forza peso nei due esempi precedenti è esattamente lo stesso.

 

Esempio di forza dissipativa

Un esempio di forza dissipativa è la forza di attrito radente.

Mentre, infatti, nel caso delle forze conservative il lavoro svolto può essere recuperato (per questo il termine “conservative”), per le forze dissipative il lavoro svolto per vincere una determinata forza non può essere più recuperato.

Consideriamo, ad esempio, una scatola che viene fatta salire su di un piano inclinato in presenza di attrito. Per permettere alla scatola di salire è necessario applicare ad essa una forza maggiore della componente parallela della forza peso, così da vincere anche la forza di attrito.

Il lavoro è quindi maggiore di $F_p*h$, dove h è la lunghezza del piano.

Se la scatola, che si trova in cima al piano, ricadesse giù lungo di esso, la forza peso compierebbe un lavoro pari esattamente a $F_P*h$ .

Di conseguenza, il lavoro fatto inizialmente non è più recuperabile.

Si dice che, quando la scatola si trova in cima al piano, essa possiede un’energia potenziale, proprio perché ritornando alla posizione iniziale la forza peso può compiere una lavoro.

 

L’energia potenziale 

Il concetto di energia potenziale può esser applicato a tutte le forze conservative.

Si definisce la variazione di energia potenziale $ ∆U = (U_B – U_A)$ come l’opposto del lavoro che viene fatto dalla forza F durante il tragitto dalla posizione A alla posizione B.

$ ∆U = U_B – U_A = -L_A,B $

In particolare, il valore dell’energia potenziale in un particolare punto dipende dalla scelta del livello zero dell’energia potenziale.

Quindi, una volta scelta una condizione R tale che $U_R = 0$, si definisce energia potenziale in un punto A proprio il lavoro che la forza F compie nel passaggio da A alla situazione di riferimento:

$ ∆U = U_A – U_R = U_A – 0 = U_A = -L_R,A = +L_A,R $

Il concetto di energia potenziale può essere applicato solo al caso di forze conservative; infatti, se avessimo una forza dissipativa, non potremmo parlare di una grandezza pari al lavoro svolto dalla forza F nel passaggio da un punto ad un altro.

Il lavoro, infatti, dipende proprio dal percorso effettuato, e non solamente dal punto iniziale e quello finale. Di conseguenza, tale grandezza sarebbe differente ogni volta che si sceglie un percorso diverso, e non avrebbe senso dare una definizione generale.

 

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Energia potenziale gravitazionale e energia potenziale elastica

L’energia potenziale gravitazionale 

Quando un corpo si trova ad una certa altezza, come per esempio una scatola sopra ad un tavolo o a una mensola, esso possiede un’energia. Infatti, quando l’oggetto viene lasciato cadere, esso acquista velocità, e quindi possiede energia cinetica, dovuta all’azione della forza di gravità, che compie un lavoro su di esso.

Questa energia si può osservare solo quando il corpo viene messo in movimento, per questo prende il nome di energia potenziale gravitazionale.

Se lasciamo cadere una scatola posta su un tavolo, e una scatola, di uguali dimensioni, posta su una mensola (ad altezza maggiore), notiamo che la scatola posta sulla mensola impiegherà più tempo a cadere, acquistando anche una velocità, e quindi un’energia cinetica, maggiore. Nel primo caso, infatti, la forza peso compie un lavoro maggiore rispetto al secondo caso per far cadere la scatola. Per questo, essa possederà un’energia potenziale gravitazionale maggiore della scatola posta sul tavolo.

Si definisce l’energia potenziale gravitazionale (U) di un oggetto di massa m posto ad altezza h rispetto al livello zero del sistema di riferimento, il prodotto dell’altezza per la massa per l’accelerazione di gravità:

$ U = m * g * h $

 

energia-potenziale-gravitazionale
L’energia potenziale gravitazionale di un corpo posto ad altezza h corrisponde al lavoro fatto dalla forza peso durante la caduta del corpo fino al livello zero di energia potenziale.

 

Notiamo che il livello zero del sistema di riferimento è arbitrario, quindi può essere scelto a piacere; l’energia potenziale dell’oggetto dipenderà da tale scelta.

Si può definire l’energia potenziale gravitazionale anche come il lavoro compiuto dalla forza-peso quando il corpo si sposta dalla posizione iniziale (altezza h) a quella di riferimento (livello zero).

 

ESEMPIO:

Uno scalatore che pesa 750 N porta in spalle l’attrezzatura necessaria e raggiunge l’altezza di 3 m sul livello del mare. Sapendo che il lavoro compiuto dallo scalatore durante la salita è di 2400 J, calcolare la massa dell’attrezzatura.

Dalla definizione di energia potenziale gravitazionale, sappiamo che essa è uguale al lavoro che compie la forza-peso quando il corpo si sposta dalla posizione iniziale a quella di riferimento. Di conseguenza, dai dati forniti dal problema, possiamo affermare che lo scalatore che si trova all’altezza di 3 m sul livello del mare possiede un’energia potenziale gravitazionale di 2400 J.

Dalla formula dell’energia potenziale gravitazionale sappiamo che  $ U = M⋅g⋅h $ , dove h = 3 m, g è l’accelerazione di gravità, e M indica la massa complessiva del corpo, quindi la massa dello scalatore più quella dell’attrezzatura.

Dal peso dello scalatore, di 750 N, possiamo ricavare il valore della sua massa, infatti si ha:

$F_P = m_s * g     to    m_s = frac (F_P)(g) $

Sostituendo i valori numerici abbiamo:

$m_s = frac (F_P)(g) = frac (750 N )(9,8 m/s^2) = 76,53 kg $

Possiamo ricavare la massa dell’attrezzatura da quella dell’energia potenziale gravitazionale:

$ U = m * g * h     to    M = m_s + m_a = frac (U)(g * h )    to    m_a = frac (U)(g * h ) – m_s $

Il valore della massa dell’attrezzatura è quindi:

$ m_a = frac(U)(g * h ) – m_s  =  frac(2400 J)(9,8 m/s^2 * 3 m ) – 76,53 kg = 5,1 kg $

 

L’energia potenziale elastica

Come sappiamo, quando una molla viene deformata, quindi viene compressa, o allungata, la forza elastica agisce in verso opposto a quello dello spostamento; la forza, quindi, agisce in modo da far tornare la molla alla posizione di riposo. Di conseguenza, la molla deformata può compiere un lavoro quando viene lasciata andare.

Per questo si dice che essa possiede un’energia potenziale, detta appunto energia potenziale elastica.

In questo caso, il livello zero dell’energia potenziale si ha nella posizione di riposo della molla.

Anche in questo caso possiamo dare una definizione dell’energia potenziale strettamente collegata con il lavoro; infatti, possiamo definire l’energia potenziale elastica come il lavoro che compie la forza elastica quando la molla deformata viene riportata nella sua posizione di riposo.

Notiamo che, in questo caso, il valore dell’energia potenziale elastica sarà sempre positivo;  i vettori forza e spostamento, infatti, hanno sempre lo stesso verso, quindi il lavoro compiuto è positivo.

L’energia potenziale elastica può essere calcolata mediante la seguente formula:

$ U_(el) = 1/2 * k * s^2 $

dove k indica la costante elastica della molla, e s lo spostamento della molla, quando viene deformata, rispetto alla posizione di riposo.

 

 

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Energia meccanica

L’ Energia meccanica

L’energia cinetica e l’energia potenziale sono due grandezze strettamente collegate, tanto che l’una può “trasformarsi” nell’altra in determinate condizioni.

Ad esempio, consideriamo un oggetto posto ad una certa altezza h rispetto il livello zero dell’energia potenziale. L’oggetto, inizialmente fermo, possiede solo energia potenziale, dovuta all’altezza cui si trova e alla sua massa.

Quando, però, l’oggetto viene fatto cadere, man mano che esso scende la sua altezza rispetto al livello zero diminuisce, e quindi diminuisce anche la sua energia potenziale. Ma, nel frattempo, l’oggetto acquista velocità, dovuta all’azione della forza-peso; di conseguenza, l’oggetto possederà un’energia cinetica sempre maggiore. In prossimità del livello zero, l’energia potenziale sarà praticamente nulla, mentre sarà massima l’energia cinetica.

 

Trasformazione energia potenziale in energia cinetica durante la caduta del corpo
L’energia potenziale si trasforma in energia cinetica durante la caduta del corpo, cosicché la sua energia totale rimane costante

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante la caduta del corpo, quindi, su ha una diminuzione costante dell’energia potenziale, e un aumento costante dell’energia cinetica, e i due fenomeni avvengono contemporaneamente, come se le energie si trasformassero l’una nell’altra.

In particolare, se non sono presenti attriti nel sistema, possiamo affermare che la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale (che prende il nome di energia meccanica) rimane sempre uguale; l’energia meccanica, cioè, si conserva.

$ k + U = E_m $

La conservazione dell’energia meccanica, però, avviene solo in determinate condizioni: il sistema fisico che si sta considerando deve essere isolato, cioè non vi devono essere delle forze esterne che agiscono su di esso; inoltre, tutte le forze che agiscono in tale sistema devono essere conservative.

 

Esempio

Consideriamo un oggetto di massa 8 kg appeso ad un’altezza h = 10 m rispetto al suolo. Se il filo viene tagliato, l’oggetto comincia a cadere sotto l’azione della forza di gravità, e in assenza di forze esterne. Quanto vale la velocità del corpo quando si trova a 4,0 m dal suolo? A quale altezza si trova quando la sua velocità è di 6,0 m/s?

Quando il corpo si trova nella posizione iniziale, esso è fermo, perché appeso al filo. Quindi, l’energia meccanica del corpo è data unicamente dal valore della sua energia potenziale, in quanto l’energia cinetica è nulla:

$ E_m = U + k = U = m*g*h $

Sostituendo i valori numerici abbiamo:

$ E_m = m*g*h = 8,0 kg * 9,8 m/s^2 * 10 m = 784 J $

Quando il corpo si trova a 4 m dal suolo, esso possiede dia energia potenziale che energia cinetica; poiché l’energia meccanica si conserva, la somma di tali energie sarà proprio uguale ad essa.

$ E_m = U + k = m*g*h + 1/2 * m * v^2 $

Da questa formula possiamo ricavare il valore della velocità:

$ E_m – m*g*h = 1/2 * m * v^2     to    v^2 = 2*frac(E_m)(m) – 2*g*h    to     v = sqrt(2*frac(E_m)(m) – 2*g*h) $

Sostituiamo i valori numerici:

$ v = sqrt(2*frac(E_m)(m) – 2*g*h) =   sqrt(2*frac(784 J)(8,0 kg) – 2*9,8 m/s^2*4 m) = 10,84 m/s $

Per rispondere al secondo quesito, ricaviamo dalla formula precedente il valore dell’altezza:

$ m*g*h =  E_m –  1/2 * m * v^2      to       h = frac(E_m)(m*g) – 1/2 * frac (v^2)(g) $

Sostituendo i valori numerici si ottiene:

$ h = frac(784 J)(80 kg * 9,8 m/s^2) – 1/2 * frac ((6 m/2)^2)(9,8 m/s^2) = 10 m – 1,84 m = 8,16 m $

 

L’energia totale

Molto spesso le situazioni reali sono assai diverse da quelle ideali, e quasi sempre accade che l’energia meccanica di un sistema non si conservi.

Nell’esempio precedente abbiamo visto che quando l’oggetto in caduta si trova in prossimità del livello zero di energia potenziale, quest’ultima è praticamente nulla, mentre l’energia cinetica è massima. Ma cosa accade nel preciso momento in cui l’oggetto raggiunge il suolo, cioè il livello zero?

In questo caso, l’energia potenziale è nulla, ma lo è anche l’energia cinetica, perché l’oggetto cadendo a terra si ferma.

Ciò accade anche, ad esempio, nel caso di un’automobile in frenata: l’energia cinetica che possiede l’automobile viene persa durante la frenata, fino ad esaurirsi completamente quando l’auto è ferma.

Sembra, quindi, apparentemente, che vi sia una perdita di energia.

Consideriamo il caso di oggetti che si muovono con elevata velocità, come ad esempio un proiettile, o un’automobile.

Se riuscissimo a bloccare con le dita un proiettile sparato, ci accorgeremo che esso è caldo; allo stesso modo, quando un’automobile in corsa frena, i dischi dei freni si riscaldano a causa dell’attrito.

Notiamo, quindi, che l’energia che precedentemente sembrava essere sprecata, si è in realtà trasformata in energia interna dei corpi, che viene percepita sotto forma di calore, cioè come aumento della temperature dei corpi stessi.

L’energia interna dei corpi non fa parte dell’energia meccanica; tuttavia, se consideriamo tutte le forme di energia che possono coinvolgere un determinato sistema (ad esempio, l’energia meccanica, interna, elettrica, ecc….), possiamo affermare che in tale sistema (che deve essere isolato) l’energia totale si conserva.

 

 

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La quantità di moto

Gli effetti dei corpi in movimento

Come sappiamo, gli oggetti in movimento sono in grado di produrre degli effetti (compiendo un lavoro) su altri oggetti, che magari sono fermi.

Consideriamo due sfere in movimento, che urtano contro una superficie.

A parità di velocità, se le sfere hanno massa diversa (m e M), quella di esse con massa maggiore (M) urterà la superficie con una forza maggiore; lo stesso accade se le due sfere hanno massa uguale, ma si muovono con velocità diverse (v e V); la sfera che si muove a velocità maggiore (V) colpirà la superficie con una forza maggiore.

Cosa accade, però, se le sfere hanno sia massa che velocità diverse?

Può accadere che, se la sfera con massa minore (m) si muove molto velocemente, con velocità V, e quella con massa maggiore (M) si muove più lentamente, con velocità v, colpendo la superficie producano lo stesso effetto. Può accadere, cioè, che esse urtino la superficie con la stessa forza.

 

La quantità di moto

Gli effetti prodotti da un corpo in movimento, quindi, dipendono sia dalla velocità con cui esso si sta muovendo, sia dalla sua massa.

Per questo è utile introdurre una nuova grandezza, definita quantità di moto, espressa come il prodotto della massa del corpo per la sua velocità:

$ vec p = m * vec v $

La quantità di moto è un vettore che ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore velocità; il suo modulo è direttamente proporzionale sia alla velocità del corpo che alla sua massa.

 

Legge di conservazione della quantità di moto

In un sistema dove non agiscono forze esterne, la quantità di moto totale del sistema si conserva.

Questa legge vale se si considera la quantità di moto presente all’interno del sistema generale, non la quantità di moto di un singolo elemento. Infatti, può accadere che in due istanti diversi un determinato oggetto abbia quantità di moto differenti, in quanto, ad esempio, esso può subire una variazione di velocità.

Consideriamo, per esempio, due carrelli della stessa massa collegati con una fune, sopra ai quali sono poste due calamite orientate in modo da avere i poli dello stesso segno vicini. I carrelli tendono, quindi, a respingersi, e per questo la fune è in tensione.

Poiché i carrelli sono fermi, la loro quantità di moto iniziale è nulla; anche la quantità di moto dell’intero sistema (cioè dei due carrelli considerati insieme) è, quindi, nulla.

 

quantità-di-moto
La quantità di moto dei carrelli è nulla, poiché essi sono fermi; è nulla anche la quantità di moto totale del sistema.

 

Se, però, la fune che unisce i carrelli viene tagliata, essi, respingendosi, tenderanno a muoversi in direzioni opposte, acquistando, quindi, velocità. La quantità di moto è un vettore che ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore velocità; di conseguenza, poiché i carrelli si muovono in versi opposti, tali saranno anche i vettori quantità di moto; i vettori velocità dei carrelli, infatti, hanno stessa direzione e verso opposto.

 

 

quantità-di-moto
La quantità di moto dei carrelli è diversa da zero, poiché essi si stanno muovendo; la quantità di moto totale del sistema, invece, è nulla, perchè i carrelli si muovono in versi opposti.

 

Notiamo, quindi, che la quantità di moto dei singoli carrelli è variata nelle due situazioni; la quantità di moto dell’intero sistema, invece,  è rimasta uguale. I vettori quantità di moto, infatti, hanno stesso modulo, stessa direzione ma verso opposto, e quindi si annullano.

 

 

Esercizio

Consideriamo due automobili che si muovono in direzioni tra loro perpendicolari; sapendo che la massa delle automobili è di 1500 kg, e che esse si muovono alla velocità di 120 km/h, calcoliamo:

  • il valore della quantità di moto di ciascuna di esse;
  • il valore della quantità di moto totale delle due auto.

 

Per calcolare il modulo della quantità di moto di ciascuna auto, possiamo semplicemente applicare la definizione di quantità di moto; calcoliamo, quindi,  il prodotto della massa per la velocità.

Ricordiamoci, però, di esprimere de grandezze nelle giuste unità di misura:

$ v = 120 km/h = frac (120)(3,6) m/s = 33,33 m/s $

La quantità di moto delle auto è quindi:

$ | vec p | = m * | vec v| = 1500 kg * 33,33 m/s = 50000 kg *m/s = 5,5 * 10^4 kg * m/s $

Per calcolare la quantità di moto totale del sistema dobbiamo effettuare la somma vettoriale dei vettori quantità di moto delle singole auto.

 

vettore-quantità-di-moto
Calcolo del vettore quantità di moto totale mediante somma vettoriale.
vettore-quantità-di-moto
Il modulo del vettore quantità di moto totale è uguale al valore dell’ipotenusa del triangolo.

 

 

 

 

Poiché i vettori sono tra loro perpendicolari, la quantità di moto totale è data da:

$ | vec p_Tot | = sqrt (| vec p_1 |^2 + | vec p_2 |^2) = sqrt (2 | vec p_1 |^2 ) = $

$ sqrt (2 * (5,5 * 10^4 kg * m/s)^2 ) = 7,70 * 10^4 kg * m/s $

 

 

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L’impulso di una forza

L’impulso di una forza

Consideriamo una forza F che agisce su un corpo di massa m, provocando in esso un’accelerazione costante a.

Conoscendo il significato e la definizione della quantità di moto, possiamo scrivere il secondo principio della dinamica ( $ F = m*a $ ) in una nuova formulazione.

Scriviamo l’accelerazione come rapporto della variazione della velocità sulla variazione del tempo, e sostituiamo tale rapporto nella formula precedente:

$ vec a = frac (∆vec v)(∆t)     to     vec F = m * vec a = m * frac (∆vec v)(∆t) $

Moltiplichiamo ora entrambi i membri per la variazione di tempo ∆t:

$ vec F  * ∆t = m * vec a  * ∆t = m * frac (∆vec v)(∆t)  * ∆t =  m * ∆vec v$

Dalla precedente formula emerge una nuova grandezza, che prende il nome di impulso di una forza; l’impulso è dato dal prodotto della forza F per l’intervallo di tempo in cui essa agisce:

$ vec I = vec F * ∆t $

Da questa uguaglianza possiamo notare che la variazione di velocità di un oggetto di massa m non dipende solamente dalla forza che gli viene applicata, ma anche dalla durata di tale operazione.

Di conseguenza, se, per esempio, volessimo fermare un corpo in movimento, potremmo farlo in due modi diversi: applicando una forza elevata per un periodo di tempo breve, oppure  una forza di intensità minore per un tempo maggiore.

 

Il teorema dell’impulso

Supponiamo che sotto l’azione della forza F il corpo passi dalla velocità $v_1$ alla velocità $v_2$; la variazione di velocità che esso subisce è data da $ ∆v = v_2 – v_1 $. Sostituiamo tale espressione nell’uguaglianza precedente:

$ vec F  * ∆t =  m * ∆vec v = m * (vec v_2 – vec v_1) = m * vec v_2 – m * vec v_1 = vec p_2 – vec p_1 = ∆ vec p $

L’uguaglianza che abbiamo ricavato prende il nome di teorema dell’impulso; esso afferma, quindi, che l’impulso di una forza applicata ad un corpo di massa m per un certo intervallo di tempo ∆t è uguale alla variazione della quantità di moto del corpo nello stesso intervallo di tempo.

Il teorema dell’impulso è particolarmente importante, e trova applicazione in molte situazioni e fenomeni naturali, come esplosioni, implosioni, che sono difficili da studiare. Infatti, spesso è molto difficile, se non impossibile, determinare con precisione le forze che agiscono, in quanto esse si applicano per tempi particolarmente brevi.

 

L’impulso di forze variabili  

Il teorema dell’impulso può essere applicato se conosciamo il valore esatto di F, cioè se tale valore si mantiene costante nell’intervallo di tempo; se, invece, abbiamo a che fare con forze che possono variare in tale intervallo, si deve procedere diversamente.

In questo caso, infatti, potremmo suddividere l’intervallo ∆t in tanti piccoli sotto-intervalli, tali che in ciascuno di essi la forza si mantenga costante. L’impulso della forza F sarà dato, quindi, dalla somma degli impulsi delle forze in tutti gli intervalli.

Se conosciamo l’espressione della forza in funzione del tempo,  possiamo rappresentare l’andamento della forza in un grafico tempo-forza; in questo caso, potremmo calcolare facilmente il modulo dell’impulso, dato dall’area racchiusa tra il grafico della forza e l’asse t in un determinato intervallo di tempo (si calcola, cioè, l’integrale della forza in funzione del tempo, in un determinato intervallo).

 

forza-variabile
Il grafico tempo-forza rappresenta l’andamento di una forza variabile.

schermata-2016-10-21-alle-18-29-14

 

Esempio

Un’automobile di massa 800 kg si muove su un tratto di strada rettilineo; le forze che agiscono su di essa, acceleranti, o frenanti, dovute all’attrito, agiscono in funzione del tempo secondo il seguente andamento:

 

forze-variabili
Andamento delle forze che agiscono sul veicolo durante il percorso.

 

 

Calcolare quanto vale l’impulso totale della forza applicata all’automobile, e la variazione complessiva di velocità che essa subisce.

In questo caso abbiamo a che fare con una forza variabile nel tempo, di cui conosciamo l’andamento. Come possiamo vedere dal grafico, però, la forza si mantiene costante nei singoli tratti; possiamo, quindi, calcolare l’impulso totale della forza determinando l’impulso delle varie forze nei singoli tratti, e poi facendone la somma.

Nel primo tratto, si ha una forza F di 800 N per un intervallo di tempo di 5 s; l’impulso della forza è quindi:

$ I_1 = F_1 * ∆t_1 = 800 N * (5-0) s = 4000 N*s $

Nel secondo tratto la forza è negativa, e vale -1200N; essa viene applicata per due secondi; si ha quindi:

$ I_2 = F_2 * ∆t_2 = -1200 N * (7-5) s = -2400 N*s $

Applicando lo stesso ragionamento, otteniamo gli impulsi del terzo e del quarto tratto del percorso:

$ I_3 = F_3 * ∆t_3 = 200 N * (13-7) s = 1200 N*s $

$ I_4 = F_4 * ∆t_4 = 400 N * (16-13) s = 1200 N*s $

Calcoliamo l’impulso totale della forza sommando gli impulsi dei singoli tratti:

$ I_Tot = I_1 + I_2 + I_3 + I_4 = ( 4000 – 2400 + 1200 + 1200 ) N*s = 4000 N*s $

Per il teorema dell’impulso, l’impulso di una forza che agisce su un oggetto di massa m è uguale alla quantità di moto del corpo stesso; in questo caso, conoscendo il valore dell’impulso totale della forza, e conoscendo la massa dell’automobile, possiamo ricavare il valore della variazione di velocità:

$ vec I = vec F * ∆t = m * ∆vec v    to        ∆vec v = frac (vec I)(m) $

Sostituendo i valori numerici otteniamo:

$  ∆vec v = frac (vec I_Tot)(m) = frac (4000 N*s)(800 kg) = 5 m/s $

 

 

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Gli urti

Gli urti su una retta

Consideriamo due sfere che si muovono in linea retta, nella stessa direzione, ma in versi opposti, cioè avvicinandosi l’una verso l’altra.

Il moto delle palline, nella situazione reale, è influenzato da molti fattori, e forze esterne, come la forza di attrito radente con la superficie, la forza di attrito viscoso con l’aria, ecc…

Quando, però, le palline si scontrano, la forza risultante dall’urto è talmente grande che, anche se avviene in un lasso di tempo notevolmente piccolo, è tale da rendere trascurabili tutte le altre forze.

Di conseguenza, le forze di interazione tra le palline, cioè le forze interne al sistema pallina-pallina, rendono trascurabili quelle esterne.

Possiamo, quindi, affermare che quando vi è un urto tra due oggetti, essi si comportano come se fossero un sistema fisico isolato, e di conseguenza, la loro quantità di moto totale si conserva.

Se, inizialmente, le palline di masse $m_1$ e $m_2$ si muovono a velocità $v_1$ e $v_2$, e dopo l’urto le loro velocità risultano $V_1$ e $V_2$, la conservazione della quantità di moto è data da:

 

$ vec p_Tot(i) = vec p_Tot(f)      to     m_1 * vec v_1 + m_2 * vec v_2 = m_1 * vec V_1 + m_2 * vec V_2 $

 

Gli urti elastici

Nel caso degli urti elastici, oltre alla conservazione della quantità di moto si ha anche la conservazione dell’energia cinetica totale dei corpi che interagiscono.

Questi urti avvengono, solitamente, quando un oggetto in movimento ne colpisce un’altro che è fermo, mettendolo così in moto. Il primo oggetto, dopo l’urto, si ferma.

 

urti-elastici
In alcuni urti elastici, un corpo in movimento urta un secondo corpo inizialmente fermo, mettendolo in moto; il primo corpo si ferma in seguito all’urto.

 

 

In questo caso, quindi, abbiamo due equazioni che descrivono il moto dei corpi, una riguardane la conservazione dell’energia cinetica, l’altra quella della quantità di moto:

 

$ \{ (p_Tot(i) = p_Tot(f) ), (k_Tot(i) = k_Tot(f)) :}$

$ \{ ( m_1 *  v_1 + m_2 *  v_2 = m_1 *  V_1 + m_2 *  V_2 ), ( 1/2*m_1*(v_1)^2 + 1/2*m_2*(v_2)^2 = 1/2*m_1*(V_1)^2 + 1/2*m_2*(V_2)^2) :}$

 

Questo sistema ci permette, conoscendo le masse dei corpi e le loro velocità iniziali, di ricavare le loro velocità finali.

 

Gli urti anelastici

Gli urti anelastici avvengono tra due corpi, di cui uno è in movimento e l’altro è fermo. A differenza degli urti elastici, però, dopo lo scontro il primo oggetto non si ferma, ma continua il suo moto insieme al secondo.

 

 

urti-anelastici
Negli urti anelastici, il primo corpo in movimento urta un secondo corpo inizialmente fermo; dopo l’urto entrambi i corpi si muovono insieme.

 

 

In questo caso, la velocità finale dei corpi dopo l’urto dipende esclusivamente dalla conservazione della quantità di moto dei corpi stessi.

Infatti, dato che dopo l’urto i due oggetti si muoveranno insieme, la loro velocità finale sarà uguale, quindi non avremmo bisogno di altre equazioni per determinarla, oltre a quella della conservazione della quantità di moto:

$ m_1 *  v_1 + m_2 *  v_2 = m_1 *  V_1 + m_2 *  V_2 = ( m_1 + m_2 ) * V      to $

$  V = frac (m_1 *  v_1 + m_2 *  v_2)(m_1 + m_2 ) $

 

Gli urti obliqui

Nel caso di urti che non avvengono tra due oggetti che si muovono in linea retta è molto più difficile studiare il loro moto in seguito all’urto; esso infatti è influenzato da diversi fattori, tra cui la forma degli oggetti, le loro dimensioni, ecc..

Il caso più semplice è quello in cui gli oggetti in questione sono due biglie di massa uguale; una di esse è in moto, mentre l’altra è ferma; la biglia in movimento urta la seconda in modo elastico.

Si può dimostrare che, in questo caso, dopo l’urto le due biglie si muoveranno con velocità perpendicolari tra loro.

 

Urto tra due biglie, di cui una in stato di quiete
Negli urti obliqui, un corpo in movimento ne urta un secondo inizialmente fermo; in seguito all’urto, i due corpi si muoveranno entrambi, e le loro velocità saranno perpendicolari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esercizio

Due biglie identiche si trovano su un piano orizzontale. La prima biglia, in movimento, colpisce elasticamente la seconda biglia, che è inizialmente ferma. In seguito all’urto, le due biglie si muovono alle velocità, rispettivamente, di 2,5 m/s e 4,2 m/s.

Determinare il valore della velocità della biglia in movimento prima dell’urto.

Dai dati che fornisce il problema, conosciamo il valore delle velocità finali delle biglie in seguito all’urto.

L’urto in questione è un urto elastico; sappiamo quindi che in esso si conserva sia la quantità di moto del sistema, sia l’energia cinetica complessiva. Possiamo, quindi, impostare un sistema del tipo:

 

$ \{ ( m_1 *  v_1 + m_2 *  v_2 = m_1 *  V_1 + m_2 *  V_2 ), ( 1/2*m_1*(v_1)^2 + 1/2*m_2*(v_2)^2 = 1/2*m_1*(V_1)^2 + 1/2*m_2*(V_2)^2) :}$

 

Sappiamo che le biglie sono identiche, quindi in particolare hanno anche la stessa massa; possiamo, quindi, semplificare le masse e otteniamo:

 

$ \{ (   v_1 +  v_2 =   V_1 +   V_2 ), ( (v_1)^2 + (v_2)^2 = (V_1)^2 + (V_2)^2) :}$

 

Sappiamo, inoltre, che la seconda biglia è inizialmente ferma, quindi che la sua velocità è nulla: v2 = 0:

 

$ \{ (   v_1  =  V_1 +   V_2 ), ( (v_1)^2 = (V_1)^2 + (V_2)^2) :}$

 

Notiamo che la prima equazione del sistema è un’equazione vettoriale; essa ci dice che la velocità iniziale della prima biglia è data dalla somma vettoriale dei vettori velocità finale delle biglie dopo l’urto.

Poiché tali vettori velocità formano un angolo di 90° dopo l’urto, l’espressione del modulo di $v_1$ è data proprio dalla seconda equazione:

 

$ v_1 = sqrt ((V_1)^2 + (V_2)^2) = sqrt ((2,5)^2 + (4,2)^2) = 4,89 m/s $

 

 

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Il centro di massa

Il centro di massa

Consideriamo un sistema di punti materiali; possiamo definire un punto geometrico particolare, che prende il nome di centro di massa. Il centro di massa ha proprietà differenti in base al sistema in cui si trova.

Consideriamo il caso generale, in cui abbiamo n punti di masse $m_1, m_2, …, m_n$, che in un riferimento stabilito si trovano nelle posizioni di coordinate $x_1, x_2, …, x_n$.

Ipotizziamo che le particelle si muovano in un piano; per determinare la loro posizione è necessario conoscere l’ascissa e l’ordinata dei punti che, nel piano, le rappresentano.

L’ascissa $x_cm$ del punto che rappresenta il centro di massa è data dalla seguente formula:

$ x_cm = frac (m_1*x_1 + m_2*x_2 + … + m_n*x_n)(m_1 + m_2 + … + m_n) $

Similmente, l’ordinata di tale punto può essere ottenuta nel seguente modo:

$ y_cm = frac (m_1*y_1 + m_2*y_2 + … + m_n*y_n)(m_1 + m_2 + … + m_n) $

Se il punto materiale non si muove semplicemente in un piano, ma si muove in uno spazio tridimensionale, occorre introdurre anche una terza coordinata z; tale coordinata, riferita al punto materiale in questione, si ottiene con una formula analoga alle precedenti:

$ z_cm = frac (m_1*z_1 + m_2*z_2 + …+ m_n*z_n)(m_1 + m_2 + … + m_n) $

 

Esempio

Consideriamo il caso semplice in cui si hanno due particelle che si muovono lungo una retta; per determinare la posizione del centro di massa ci occorre conoscere soltanto la sua ascissa.

Applicando la formula precedente al caso di due soli punti, troviamo che tale ascissa è data da:

$ x_cm = frac (m_1*x_1 + m_2*x_2 )(m_1 + m_2 ) $

E, in particolare, se le due particelle avessero la stessa massa, l’ascissa del punto materiale si otterrebbe come ascissa di un punto medio tra tali punti:

$ x_cm = frac (x_1 + x_2 )(2 ) $

Quindi, se le due particelle hanno la stessa massa, il centro di massa è equidistante da entrambi, cioè si trova nel punto medio del segmento che li congiunge.

Altrimenti, se i punti hanno masse diverse, il centro di massa risulta più vicino alla particella di massa maggiore.

 

Moto descritto dal centro di massa

Il concetto di centro di massa ci permette di analizzare il moto di alcuni oggetti e di alcuni corpi che altrimenti sarebbe molto complesso da studiare. Infatti, anche se l’oggetto in questione si sta muovendo apparentemente in maniera casuale, è possibile che  il suo centro di massa stia compiendo, in realtà, un moto uniforme.

Può essere dimostrato, infatti, che nel caso di un sistema fisico isolato, nel quale vale la conservazione della quantità di moto, il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme.

Ciò accede, ad esempio, nel caso in cui si spinge un corpo rigido, come una sbarretta di metallo, lungo una superficie piana: la sbarretta compie due moti, uno di traslazione, e l’altro di rotazione, ma il suo centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme.

Esaminiamo, ora, il caso in cui il sistema fisico non sia isolato: in questo caso, non vale la conservazione della quantità di moto. Il moto del centro di massa dipende sia dalla risultante delle forze esterne che agiscono sul corpo, sia dalla massa totale del corpo stesso. Infatti, incentro di massa si muoverà proprio come un punto materiale che possiede tutta la massa del corpo, e su cui agisce una forza pari alla risultante delle forze che agiscono sull’oggetto stesso.

Questo tipo di moto può essere descritto, ad esempio, dal centro di massa di un tuffatore che si lancia da un trampolino: in questo caso, il centro di massa descrive un moto parabolico.

 

moto-centro-di-massa
Il centro di massa di corpi rigidi descrive sempre un moto uniforme; in questo caso, il centro di massa del tuffatore descrive un moto parabolico.

 

Il caso dei sistemi fisici non isolati trova riscontro anche nel teorema dell’impulso;  in questo caso, però, questo viene applicato ad un corpo esteso, invece che ad un solo punto materiale.

Quando abbiamo a che fare con un sistema di punti che interagiscono tra loro, dobbiamo tener presente che su di essi agiscono sia forze esterne che forze interne al sistema, dovute appunto alle interazioni tre i punti. Tuttavia, per il principio di azione e reazione, le forze interne al sistema sono opposte a due a due, e la loro risultante è quindi nulla. Il moto dei punti, dunque, dipende solo dalle forze esterne; possiamo quindi utilizzare la seguente formula per la quantità di moto:

$ ∆ vec p_Tot = vec F_Tot * ∆t $

 

 

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Il momento angolare

Il momento angolare

Il momento angolare è una grandezza fisica vettoriale che serve per descrivere il moto di rotazione di un corpo attorno ad un centro fisso O.

Grazie al momento angolare, ad esempio, è possibile spiegare come mai i satelliti che ruotano attorno alla Terra possono continuare a compiere il loro moto senza rallentare mai; o perché una ruota che viene fatta girare tende a ruotare all’infinito, in assenza di attriti esterni.

Consideriamo una particella di massa m che si muove con moto rotazionale attorno ad un punto fisso O. Il momento angolare di tale corpo viene descritto come il prodotto vettoriale tra il vettore posizione del corpo r (cioè il vettore che unisce il punto O con il punto P in cui si trova il corpo in un determinato istante) e la quantità di moto p del corpo stesso:

$ vec L = vec r xx vec p $

Ricordiamo che il momento angolare, essendo dato dal prodotto vettoriale di due vettori, gode di alcune proprietà:

  • è un vettore che ha direzione perpendicolare al piano su cui giacciono i vettori posizione e quantità di moto;
  • ha verso dato dalla regola della mano destra: si pone il pollice lungo la direzione di r, e le altre dita lungo la direzione di p; il verso del vettore momento angolare è quello uscente dal palmo della mano;
  • il suo modulo può essere ottenuto come prodotto dei moduli dei vettori posizione e quantità di moto moltiplicati per i seno dell’angolo tra essi compreso:

$ L = r * p * sin \theta $

Nel caso in cui abbiamo a che fare con un sistema fisico, dobbiamo considerare il momento angolare di tutti i corpi che costituiscono tale sistema; possiamo farlo sommando vettorialmente i momenti angolari rispetto allo stesso punto O dei singoli corpi che costituiscono il sistema.

 

La conservazione del momento angolare

In alcuni casi il momento angolare di un sistema di corpi si conserva nel tempo; affinché ciò avvenga, è necessario che il momento torcente totale delle forze esterne che agiscono sul corpo sia nullo.

Ricordiamo che il momento torcente di una forza, o semplicemente momento di una forza, è definito come il prodotto vettoriale tra il vettore posizione del corpo e la forza F che agisce su di esso. Il suo modulo, inoltre, è dato dal prodotto della forza per il braccio.

Nel caso di un satellite che orbita attorno alla Terra, la forza che lo tiene in movimento è centripeta; essa, quindi, è diretta verso il centro della circonferenza. Poiché il braccio di una forza è definito come il vettore componente del vettore posizione r, perpendicolare alla forza stessa, in questo caso in braccio rispetto al centro di rotazione risulta nullo. Di conseguenza, è nullo anche il suo momento torcente.

Possiamo esprimere la variazione del momento angolare di un sistema su cui agisce un momento torcente M per un intervallo di tempo ∆t come il prodotto del momento per la variazione di tempo:

$ ∆vec L = vec M * ∆t $

 

Esercizio

Consideriamo una giostra composta da un braccio lungo 3,0 m, che ruota attorno ad un centro O. Alle estremità della giostra vi sono due bambini, che pesano rispettivamente 30 kg e 45 kg. La giostra ruota ad una velocità di 2,5 m/s; calcolare l’intensità del momento angolare del sistema rispetto al centro di rotazione O.

 

esercizio-giostra

 

Dalle formule viste precedentemente, sappiamo la definizione di momento angolare; essendo un prodotto vettoriale del vettore posizione  e del vettore quantità di moto, il suo modulo è dato da:

$ L = r * p * sin \theta $

r rappresenta il vettore posizione dei due corpi;  il suo modulo in questo caso vale 1,5 m, poiché i seggiolini sono equidistanti dal centro.

Calcoliamo la quantità di moto di ciascun bambino; sappiamo che la quantità di moto si calcola come prodotto della massa per la velocità, quindi abbiamo:

$ p_(Tot) = p_1 + p_2 = m_1*v + m_2*v = 30 * 2,5 + 45 * 2,5 = 75 + 112,5 = 187,5 kg * m/s $

Il vettore quantità di moto ha stessa direzione e stesso verso del vettore velocità; quindi, in questo caso, l’angolo compreso tra il vettore posizione e il vettore velocità è di 90°; il suo seno vale dunque 1.

Possiamo ora calcolare l’intensità del momento angolare del sistema:

$ L = r * p_(Tot) * sin \teta = 1,5 * 187,5 * sin 90° = 281,25 kg * m^2/s $

 

 

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Il momento di inerzia

Momento angolare di un corpo rigido

Il concetto di momento di inerzia ci permette di esprimere il modulo del momento angolare con una formulazione alternativa.

Consideriamo un corpo rigido costituito da moltissime particelle, che indichiamo come n masse puntiformi. Il corpo rigido ruota attorno ad un centro fisso O; chiamiamo con $r_1$, $r_2$, …, $r_n$ le distanze da tale centro di rotazione delle varie masse puntiformi.

Consideriamo il caso in cui il corpo rigido ruoti su un piano;  i vettori dei momenti angolari hanno tutti la stessa direzione, perpendicolare al piano, e lo stesso verso, uscente dal piano.

Per calcolare il momento angolare totale, quindi, basterà semplicemente sommare i moduli dei singoli momenti angolari; questo, infatti, si ottiene come somma vettoriale dei singoli momenti.

$ vec L_(Tot) = vec L_1 + vec L_2 + … + vec L_n     to       |vec L_(Tot)| =| vec L_1| + |vec L_2| + … + |vec L_n| $

Possiamo esprimere il modulo del momento angolare come il prodotto vettoriale del vettore posizione e del vettore quantità di moto; in questo caso, l’angolo tra essi è di 90°:

$ L_(Tot) = p_1*r_1 +  p_2*r_2 + … +  p_n*r_n $

Esprimiamo, poi, la quantità di moto come prodotto della massa per la velocità di rotazione:

$ L_(Tot) = p_1*r_1 +  p_2*r_2 + … +  p_n*r_n =  m_1*v_1*r_1 +  m_2*v_2*r_2 + … + m_n*v_n*r_n $

E’ possibile esprimere la velocità di un corpo in rotazione come il prodotto del raggio per la velocità angolare:

$ L_(Tot) = m_1 * (\omega * r_1) * r_1 +  m_2 * (\omega * r_2) * r_2 + … +  m_n * (\omega * r_n) * r_n  $

$ = ( m_1 * r_1 ^2 + m_2 * r_2 ^2 + … + m_n * r_n ^2 ) * \omega $

 

Il momento di inerzia

Possiamo quindi esprimere il momento angolare di un corpo rigido come il prodotto della velocità angolare con cui sta ruotando per la somma dei prodotti delle masse dei singoli punti materiali per il quadrato della loro distanza dal centro di rotazione. Questa nuova quantità, che troviamo tra parentesi, prende il nome di momento di inerzia:

$ L_(Tot) = I * \omega = ( m_1 * r_1 ^2 + m_2 * r_2 ^2 + … + m_n * r_n ^2 ) * \omega $

Possiamo calcolare il momento di inerzia anche per un corpo solido; poiché esso è costituito da un’insieme praticamente infinito di punti materiali, per calcolare il momento d’inerzia si fa tendere n all’infinito.

Questa nuova definizione ci permette di analizzare e spiegare alcune situazioni che si possono presentare anche nella vita di tutti i giorni. Consideriamo, per esempio, una pattinatrice che ruota su se stessa, compiendo diversi giri al minuto.

La prima volta la pattinatrice ruota con le braccia aperte, la seconda con le braccia piegate sul petto. Si può notare che nel primo caso, la pattinatrice ruota con una velocità minore rispetto a quando porta le braccia al petto.

Questo fatto può essere spiegato perché, se consideriamo trascurabili gli attriti esterni, il momento angolare Iω si conserva; infatti, il momento torcente totale delle forze esterne che agiscono sul corpo è nullo.

Supponiamo che nel primo caso la pattinatrice abbia momento angolare L = Iω. Nel secondo caso I diminuisce, perché diminuiscono le distanze dei punti del corpo dall’asse di rotazione; di conseguenza, si ha un aumento di ω, in quanto il modulo di L deve rimanere invariato; quindi la ragazza nel secondo caso si muove con una velocità angolare maggiore.

 

Energia cinetica e accelerazione angolare

Anche un corpo che ruota attorno ad un asse fissato possiede una determinata energia cinetica; questa può essere espressa per mezzo del momento d’inerzia. Infatti, indipendentemente dal numero di punti che costituiscono il corpo stesso, la sua energia cinetica è data dalla metà del prodotto del momento d’inerzia per il quadrato della velocità angolare:

$ k = 1/2 * I * \omega ^2 $

Inoltre, dalla definizione di variazione del momento angolare (come prodotto del momento torcente di una forza per l’intervallo di tempo in cui essa agisce) e dalla definizione del momento angolare come prodotto del momento d’inerzia per la variazione di velocità angolare, possiamo ricavare la seguente scrittura:

$ ∆L = I * ∆\omega = M * ∆t     to    M = I * frac (∆\omega)(∆t) $

Nella formula precedente appare il rapporto tra una velocità e un intervallo di tempo; sappiamo che  tale grandezza esprime la rapidità con cui varia la velocità in questione nell’intervallo di tempo, come nel caso di un moto piano. Questo rapporto prende il nome di accelerazione angolare:

$ \alpha = frac (∆\omega)(∆t) $

La formula che abbiamo ricavato in precedenza, $M = I * \alpha $ , può essere paragonata alla formula $F = m*a$  che descrive la forza che agisce su un corpo, provocandone un’accelerazione, nel caso di un moto di traslazione.

 

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Grandezze fisiche e Sistema Internazionale

Grandezze fisiche: introduzione

La fisica si occupa dello studio dei fenomeni naturali, delle loro cause e dei loro effetti, attraverso leggi matematiche che li descrivono. Per poter studiare le caratteristiche di determinati fenomeni è necessario poter quantificare la loro intensità, e per questo si utilizzano delle grandezze fisiche.

Ogni volta, quindi, che si studia un determinato fenomeno, occorre specificare quale unità di misura stiamo utilizzando.

Ad esempio, per misurare la lunghezza di un percorso si possono utilizzare i metri, o i chilometri; per la misura di una superficie possiamo utilizzare i metri quadrati (\(m^2\)); per misurare una temperatura possiamo utilizzare i gradi centigradi (C) o i gradi Kelvin (K).

Alcune unità di misura possono essere ricavate da altre mediante prodotti o differenze. Ad esempio, la misura della velocità è data dal rapporto tra distanza percorsa e unità di tempo, quindi può essere espressa in $m/s$ o $km/h$. Tali unità di misura vengono definite grandezze derivate.

Le unità di misura, invece, che non possono essere derivate da altre si definiscono grandezze fondamentali, e sono ad esempio il metro (m), in secondo (s), ecc….

 

Il sistema internazionale (S.I.)

Poiché esistono diverse unità di misura che possono descrivere uno stesso fenomeno, è necessario stabilire un “linguaggio” universale, che fornisce delle grandezze fondamentali e derivate da utilizzare nello studio di determinati fenomeni.

Per questo, è stato introdotto il Sistema Internazionale di unità di misura (S.I), grazie al quale sono state decise sette grandezze fondamentali, alle quali sono stati attribuiti dei simboli, anch’essi universali. Da tali grandezze, poi, sono state definite le grandezze derivate, quelle che descrivono velocità, accelerazione, forza, lavoro, pressione, potenza, ecc.

Riassumiamo in una tabella le sette grandezze fondamentali:

Grandezza fisica Nome della grandezza Simbolo
Massa chilogrammo kg
Lunghezza metro m
Tempo secondo s
Temperatura kelvin K
Intensità luminosa candela cd
Quantità di sostanza mole mol
Corrente elettrica ampere A

Vediamo ora proprietà e particolarità di alcune delle grandezze fondamentali:

La massa

La massa misura la quantità di materia di un oggetto, e non va confusa con il peso. Infatti, il peso di un oggetto è una forza dovuta all’attrazione di gravità terrestre. La massa di un oggetto, quindi, è sempre la stessa, indipendentemente dal luogo in cui ci si trova; il peso di un oggetto, invece, può variare in base all’altitudine, o al pianeta su cui viene misurato (sulla luna, per esempio, l’attrazione gravitazionale è $ 1/6 $ di quella terrestre).

La temperatura

Possiamo definire la temperature come la grandezza fisica che esprime quanto un oggetto sia caldo o freddo. Nel sistema internazionale, l’unità di misura della grandezza è il Kelvin, ma usualmente viene utilizzato il grado centigrado per esprimere la temperatura. La scala Kelvin e la scala Celsius hanno unità della stessa dimensione (cioè, un grado Kelvin ha la stessa dimensione di un drago Celsius), ma tra le scale esiste la seguente relazione:

\( K = °C + 273,15 \)

In particolare, lo zero della scala Kelvin (che corrisponde a -273,15 °C ) è la minima temperatura raggiungibile, e si definisce zero assoluto.

Un’altra scala largamente utilizzata è la scala Fahrenheit; la sua relazione con la scala centigrada è la seguente:

$ °F =frac(9)(5) * (°C) + 32 $

Come abbiamo detto in precedenza, le grandezze derivate si ottengono come rapporti o prodotti di quelle fondamentali; nella tabella di seguito sono riassunte le più importanti.

Grandezza fisica Unità di misura
Volume $m^3$
Accelerazione \( m / s^2 \)
Densità \(g / cm^3 \)
Forza \(kg \cdot m/s^2 \,\,\,\,\, \mbox{ (N)}\)
Lavoro \(N \cdot m \,\,\,\,\, \mbox{ (J)} \)
Pressione \(N/m^2 \,\,\,\,\, \mbox{ (Pa)}\)

Vediamo ora delle proprietà e particolarità di alcune delle grandezze derivate:

 

Il volume

Il volume è una grandezza derivata dalla misura della lunghezza, il metro. Poiché il volume di un cubo si ottiene elevando il lato del cubo alla terza, il volume è espresso, nel sistema internazionale, in metri cubi \( (m^3) \).

Per misurazioni più piccole, poi, si possono utilizzare diverse scale, quindi per esempio il centimetro cubo \((cm^3)\), il millimetro cubo \((mm^3)\) ecc.

Nel caso dei liquidi, spesso, il volume viene espresso in litri, ricordando che un litro corrisponde ad un decimetro cubo \((1 L = 1 dm^3)\).

La densità

La densità è una proprietà delle sostanze ottenuta dal rapporto massa/volume e viene espressa solitamente come \(g/cm^3\).

Possiamo capire il significato di densità osservando una caratteristica dell’acqua: l’acqua solida (cioè il ghiaccio) galleggia sull’acqua liquida; questo è dovuto al fatto che la densità del ghiaccio è minore di quella dell’acqua allo stato liquido.

 

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La misura e gli strumenti di misura

La misura

Come sappiamo, la fisica si occupa dello studio dei fenomeni naturali, delle loro cause e dei loro effetti, mediante leggi matematiche.

Per studiare un determinato fenomeno dobbiamo conoscere l’intensità del fenomeno stesso, cioè dobbiamo valutare quanto sia grande, intensa, la proprietà del fenomeno che andiamo a studiare.

La misurazione, quindi, è proprio quel processo che permette di stimare, dal punto di vista quantitativo, una qualità del fenomeno, e per farlo utilizza strumenti e unità di misura ben precisi.

 

Strumenti di misura

In base al tipo di fenomeno che è oggetto di studio, è possibile utilizzare strumenti di misurazione diversi.

In particolare, vediamo esempi di strumenti per misurazioni riguardanti:

masse :    si utilizzano le bilance, che sfruttano la forza di gravità per determinare la forza peso con cui un corpo è attratto dalla Terra;

lunghezze : si utilizzano strumenti, come metri, o righelli, tarati su una precisa lunghezza standard, che può essere il metro o il centimetro;

temperature : gli strumenti utilizzati sono i termometri, che possono sfruttare principi diversi per determinare la temperatura: alcuni di essi utilizzano il mercurio, mentre i più recenti sfruttano i cristalli liquidi;

tempi : la durata di un fenomeno può essere calcolata con il cronometro;

velocità : nelle automobili, per esempio, si utilizza il tachimetro, che determina la velocità calcolando il rapporto tra i   chilometri percorsi e le ore impiegate per percorrerli;

forze : tra gli strumenti che possono misurare l’intensità di una forza, troviamo il dinamometro a molla;

 

Sensibilità e precisione

In base al tipo di fenomeno che stiamo studiando, e all’intensità di tale fenomeno, dobbiamo utilizzare uno strumento che abbia una determinata sensibilità, precisione e portata.

Ad esempio, se dobbiamo misurare la distanza tra due città, non possiamo utilizzare un righello, la cui unità di misura è il centimetro; allo stesso modo, per misurare il tempo impiegato da un centometrista per tagliare il traguardo non possiamo utilizzare uno strumento come il tachimetro, tarato in km/h, perché non otterremo una misurazione precisa.

Alle misure, in ogni caso, è legato sempre un margine di errore, definito incertezza, e dovuto alla sensibilità, alla precisione e alla portata dello strumento.

La sensibilità di uno strumento è il minimo valore di una grandezza fisica che può essere riconosciuto da tale strumento. Di conseguenza, se il fenomeno in esame presenta una variazione di intensità minore della sensibilità dello strumenti, non noteremo variazioni di valore nello strumento stesso.

Ad esempio, se volessimo pesare la quantità di sale da aggiungere ad una ricetta con una bilancia pesapersone, non otterremmo variazioni di peso sulla bilancia stessa.

La precisione di uno strumento determina l’accuratezza del dato che ci viene fornito dallo strumento, e varia in base ai materiali di cui è fatto lo strumento stesso.

La portata di uno strumento è il valore massimo che tale strumento può misurare; oltre tale valore, lo strumento non fornisce una misurazione valida.

Ad esempio, solitamente le bilance da cucina hanno una portata di 5 kg, quindi possiamo determinare il peso di un oggetto fino ai 5 kg; oltre questo valore, non siamo in grado di determinare il peso dell’oggetto.

 

La misura diretta e indiretta

Molti fenomeni fisici possono essere studiati misurando direttamente le grandezze del fenomeno di interesse, cioè ottenendo il valore della grandezza direttamente dallo strumento, o confrontando l’entità del fenomeno con quella di un altro, che viene preso come unità di misura. Quando è possibile utilizzare questo tipo di misurazione, si parla di misura diretta.

Una misura diretta si ottiene, per esempio, misurando la lunghezza di un oggetto con un righello, cioè confrontando la lunghezza dell’oggetto con qualcosa la cui lunghezza è nota (cioè il righello).

Molto spesso, però, capita che si ottengano delle misure che sono legate al valore di ciò che stiamo misurando, ma che non sono omogenee alla grandezza di interesse. E’ necessario, quindi, conoscere i rapporti che legano tra loro queste grandezze. In questo caso si parla di misure indirette.

Per esempio, se dobbiamo misurare la capacità di un contenitore cilindrico, non possiamo ottenere direttamente il valore cercato, ma dobbiamo ricavarlo mediante formule matematiche che legano  grandezze lineari (l’altezza del cilindro) a grandezze quadratiche (l’area della sua base) per ottenere grandezze cubiche (\(V = h ∙ Ab\)), e quindi il volume.

 

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Gli errori di misura

Gli errori di misura: introduzione

Nello studio di un fenomeno fisico, e nella misurazione di una sua caratteristica, la misura che otteniamo non è mai perfettamente accurata, cioè non rispetta mai la vera misura del fenomeno.

Questo accade perché, inevitabilmente, si commettono degli errori di misura, che possono dipendere da vari fattori, quali imprecisione dello strumento, o errori commessi nel procedimento di calcolo.

In fisica, gli errori vengono definiti incertezze; a causa dell’incertezza nella misurazione, possiamo dire che il valore che otteniamo è solamente una stima del valore reale di una grandezza fisica.

Gli errori di misurazione vengono suddivisi in due categorie:

  • Gli errori casuali sono quegli errori che vengono in maniera imprevedibile, e il loro avvenire non dipende dalle condizioni in cui si svolge la misura. Questi errori possono influenzare la misura in modo diverso, e imprevedibile, possono cioè stimare maggiormente o minormente la grandezza;

 

Ad esempio, nella misurazione del tempo di oscillazione di un pendolo, possiamo compiere errori casuali. Infatti, può accadere che, nell’istante iniziale, delle volte si fa partire il cronometro in ritardo, altre volte in anticipo; e nell’istante finale, possiamo fermarlo in ritardo o in anticipo.

Di conseguenza, delle volte avremo un valore minore del reale, altre volte un valore maggiore.

Il pendolo inizia a oscillare leggermente prima che il cronometro parta.
Il pendolo inizia a oscillare leggermente prima che il cronometro parta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cronometro parte leggermente prima che il pendolo inizi a oscillare.
Il cronometro parte leggermente prima che il pendolo inizi a oscillare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Gli errori sistematici, invece, producono una modifica prevedibile della misura reale della grandezza, cioè stimano sempre per difetto, o sempre per eccesso, la grandezza fisica che stiamo esaminando. Questi errori possono dipendere dalle qualità dello strumento di misura, da errori di metodo di misurazione, o da errori che commette colui che misura.

 

Un tipico errore sistematico è l’errore di taratura di uno strumento; se, infatti, tariamo una bilancia con un peso maggiore di quello richiesto, ogni volta che peseremo un oggetto otterremo sempre un peso maggiore di quello reale, e l’errore che si commette avrà sempre lo steso valore.

Mentre nel caso degli errori casuali non possiamo intervenire in nessun modo per migliorare la misura, per gli errori sistematici è possibile ottenere una misura più accurata; possiamo, ad esempio, utilizzare strumenti migliori e più precisi.

Tuttavia, anche in questo caso, il valore della misura non sarà mai totalmente corretto.

 

Il valore medio

Quando di effettua una misurazione, sapendo che si commettono inevitabilmente degli errori, casuali o sistematici, si può ottenere un valore più accurato della misura se si effettuano più misurazioni e si calcola poi la media dei valori.

In generale, quindi, se si effettua la misura \(n\) volte, e si ottengono i valori \(x_1, x_2, …, x_n \), il valore della misura che si considera è il seguente:

$bar x =  frac (x_1 + x_2 + … + x_n )(n) $

Questo valore è quello che più si avvicina al valore reale della grandezza misurata, e la precisione della misura aumenta all’aumentare di n.

 

L’errore massimo

L’errore massimo può dare un idea dell’errore che di commette nel caso in cui vengano fare più misurazioni. L’errore massimo si ottiene sottraendo al valore massimo il valore minimo delle misurazioni, e dividendo il risultato per due:

$ e_m = frac (x_max – x_min)(2) $

Solitamente, poi, il valore della misura si esprime considerando anche il rispettivo errore; poiché tale errore può approssimare per eccesso o per difetto la misura, il risultato di una misurazione si esprime come il valore medio più o meno l’incertezza:

$bar x$=\( \pm e_m \)

Dobbiamo tenere presente, però, che anche a sensibilità di uno strumento può influenzare il valore della misura. Nel caso in cui sensibilità è nota, si assume come incertezza il più grande tra l’errore massimo e la sensibilità dello strumento.

 

Esempio:

Supponiamo che, nella misurazione del tempo di oscillazione di un pendolo siano stati ottenuti i seguenti valori:

Misura 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Valore(s) 0.75 0.57 0.69 0.48 0.82 0.55 0.65 0.62 0.59 0.42

 

Calcoliamo il valore medio e l’incertezza relativa alla misurazione, ed esprimiamo il risultato considerando che l’incertezza dello strumento è di 0,01 s.

Il valore medio si ottiene sommando i valori delle misure e dividendo tale somma per 10:

 

$bar x  =  frac(0,75 + 0,57 + 0,69 + 0,48 + 0,82 + 0,55 + 0,65 + 0,62 + 0,59 + 0,42)(10) =  $

$ = frac (6,14)(10) = 0,614 s $

 

Calcoliamo poi l’errore massimo, sapendo che il valore massimo è di 0,82 s e quello minimo di 0,42 s:

$ e_m = frac(x_max – x_min)(2) = frac(0,82-0,42)(2) = 0,2 $

Poiché l’errore massimo è maggiore della sensibilità dello strumento, esprimiamo il risultato come\( (0,61 ± 0,2) s \).

 

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Incertezze ed errori

Incertezze ed Errori

Come sappiamo, quando si effettuano delle misurazioni è inevitabile compiere degli errori, che possono essere casuali o sistematici, possono riguardare misurazioni dirette o indirette. Sappiamo, inoltre, che quando esprimiamo il risultato della misurazione, dobbiamo farlo tenendo conto dell’errore commesso.

Vediamo, ora, che in caso di misurazioni indirette, cioè misurazioni che si basano su grandezze non omogenee, l’errore che si commette può essere calcolato in modo differente, in base alle operazioni matematiche che utilizziamo per calcolare la misura.

 

L’incertezza relativa

Si definisce incertezza relativa (\(e_r\)) il rapporto tra l’incertezza ∆x di una misura, e il valore medio delle misure effettuate:

$ e_r = frac (∆x) (bar x) $

Notiamo che l’incertezza relativa è data dal rapporto tra due grandezze uguali, di conseguenza l’incertezza relativa non ha unità di misura, ed è quindi un numero puro.

Per confrontare due misurazioni, anche se riferite a campioni e a grandezze diverse, e stabilire quale delle due sia la più accurata, è conveniente esprimere l’incertezza relativa in forma percentuale.

L’incertezza percentuale, quindi, si ottiene moltiplicando l’incertezza relativa per 100:

$ e_% = e_r * 100 $

Nel caso in cui l’incertezza ∆x corrisponde all’errore massimo, allora l’errore relativo prende il nome di errore massimo, che può anche essere espresso in forma percentuale, prendendo così il nome di errore percentuale.

 

Incertezza sulla somma e sulla differenza

Questo tipo di incertezza riguarda tutte le misurazioni che prevedono di sommare o sottrarre tra loro più misurazioni, come per esempio si ha nel calcolo del perimetro di un poligono, o nel calcolo della massa totale di più corpi.

In questo caso, l’incertezza è data dalla somma delle incertezze di ciascuno dei dati sperimentali che vengono sommati o sottratti.

Quindi, se indichiamo con ∆x l’incertezza della misurazione x, e con ∆y l’incertezza della misurazione y, le incertezze corrispondenti alla somma e alla differenza di x ed y sono date da:

\(∆(x+y) = ∆(x-y) = ∆x + ∆y \)

 

Esempio

Supponiamo di aver misurato il peso di tre masse, e  abbiamo ottenuto i seguenti valori:

$ m_1 = (3,54 pm 0,03) kg $

$ m_2 = (1,04 pm 0,01) kg $

$ m_3 = (2,86 pm 0,02) kg $

Il valore della massa totale si ottiene sommando i pesi delle tre masse:

$ m_tot = m_1 + m_2 + m_3 = (3,54 + 1,04 + 2,86) kg = 7,44 kg $

Mentre l’incertezza relativa alla massa totale si ottiene come somma delle incertezze delle tre masse iniziali:

\( (0,03 + 0,01 + 0,02) kg = 0,06 kg \)

Quindi, il risultato finale correttamente espresso è di $ (7,44 pm 0,06) kg $

 

Incertezza sul prodotto e sul quoziente

L’incertezza sul prodotto e sul quoziente riguarda tutte quelle misurazioni in cui è necessario moltiplicare o dividere tra loro più grandezze, per esempio nel caso in cui dobbiamo calcolare aree di figure piane, o volumi di solidi.

In generale, l’incertezza relativa sul prodotto o sul quoziente di determina come somma delle incertezze relative delle singole misure.

Quindi, se indichiamo con ∆x l’incertezza della misurazione x, e con ∆y l’incertezza della misurazione y, l’incertezza relativa del prodotto e del quoziente è data dalla somma delle incertezze relative delle singole misurazioni:

$ ∆(xy) = ∆(frac(x)(y) )= frac(∆x)(bar x) + frac (∆y) ( bar y) $

 

Esempio

Calcoliamo l’area di un rettangolo sapendo che i suoi lati misurano, rispettivamente:immagine-rettangolo-,-misure-lati

$ a = (36,4 pm 1,2) cm  $

$ b = (13,3 pm 0,7) cm  $

 

Per prima cosa, calcoliamo il valore

dell’area moltiplicando le misure dei lati:

 

$ A = a * b = 36,4 cm * 13,3 cm = 484,12 cm^2 $

Ora, determiniamo l’incertezza relativa riferita a ciascun lato, dividendo l’errore per la misura del lato corrispondente:

$ e_r (a) = frac(1,2)(36,4) = 0,033 $

$ e_r (b) =frac( 0,7)(13,3) = 0,053 $

Poiché stiamo moltiplicando le misure dei lati, l’errore relativo all’area del rettangolo è dato dalla somma degli errori relativi ai singoli lati, quindi avremmo che:

\( e_r (A) =  e_r (a) +  e_r (b) = 0,033 + 0,053 = 0,086 \)

Sapendo che l’errore relativo all’area è dato dal rapporto tra l’incertezza e il valore dell’area, possiamo ricavare l’incertezza di A:

$ e_r (a) = frac (i_A)(A)    \rightarrow    i_A = e_r (A) * A $

Sostituendo i dati si ottiene:

$ i_A = e_r (A) * A = 0,086 * 484,12   cm^2 = 41,63   cm^2 $

Quindi, esprimiamo correttamente il valore dell’area, con la rispettiva incertezza:

$ A = (484,12 pm 41,63)  cm^2 $

Dalle considerazioni fatte, possiamo dedurre che nel caso di misurazioni indirette, l’errore che si commette è sempre maggiore rispetto alle misurazioni dirette.

 

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Asintoti e studio di funzione

Asintoti di una funzione

Asintoto orizzontale:  Una retta di equazione $y = l$ si dice asintoto orizzontale per il grafico della funzione $f(x)$ se e solo se si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} f(x) = l \]

In particolare, possiamo distinguere l’asintoto orizzontale destro, che si ha quando il limite della funzione per \( x \rightarrow +\infty \) vale $l$, e l’asintoto orizzontale sinistro, che si ha invece quando vale $l$ il limite della funzione per \( x \rightarrow -\infty \).

L’asintoto orizzontale di una funzione è, quindi, una retta tale che la distanza da essa di un punto della curva tende a zero al tendere all’infinito dell’ascissa del punto.

Possiamo notare che una funzione che ha dominio limitato non può avere asintoti orizzontali, in quanto non avrebbe senso calcolare il suo limite per $x$ tendente all’infinito.

Asintoto verticale: Una retta di equazione $x = c$ si dice asintoto verticale per il grafico della funzione $f(x)$ se e solo se si ha che:

\[ \lim_{x \rightarrow c} f(x) = \infty \]

Anche in questo caso, possiamo parlare di asintoto verticale destro e sinistro se, rispettivamente, $x$ tende a $c$ da destra o da sinistra.

Possiamo definire, quindi, un asintoto verticale come una retta tale che la distanza da essa di un punto sulla curva tende a zero al tendere all’infinito dell’ordinata del punto.

Asintoto obliquo:  Una retta di equazione $y = mx + q$, con \( m \ne 0 \), si dice asintoto obliquo per il grafico della funzione $f(x)$ se e solo se:

\[ \lim_{x \rightarrow \infty} [f(x) – (mx + q)] = 0 \]

Quindi, un asintoto obliquo è una retta tale che la distanza di un punto sul grafico della funzione $f(x)$ e il punto di uguale ascissa sulla retta $y = mx + q$ tende a zero al tendere di $x$ all’infinito.

In particolare, possiamo determinare l’equazione della retta che è asintoto obliquo con le seguenti formule, che ci permettono di ricavare il suo coefficiente angolare:

\[ m = \lim_{x \rightarrow \infty} \frac{f(x)}{x} \]

e la sua ordinata all’origine:

\[ q = \lim_{x \rightarrow \infty} [f(x) – mx] \]

Osserviamo che l’asintoto obliquo esiste se i limiti precedenti esistono finiti; inoltre, se il dominio della funzione è limitato, o se la funzione è periodica, non esistono asintoti obliqui.

 

Studio di funzione

Vediamo ora delle regole da seguire per poter tracciare il grafico di una funzione $f(x)$.

  1. Si determina il dominio $D$ della funzione $f(x)$, dopo aver stabilito la tipologia della funzione (algebrica o trascendente, intera o fratta,  razionale o irrazionale…);
  2. Si determinano eventuali simmetrie o periodicità della funzione (eventualmente si determina il suo periodo), o se essa è pari o dispari;
  3. Si determinano le intersezioni del grafico della funzione con gli assi cartesiani, risolvendo i seguenti sistemi: \[ \begin{cases} y = f(x) \\ y = 0 \end{cases} \,\,\,\, ; \,\,\,\, \begin{cases} y = f(x) \\ x = 0  \end{cases} \]
  4. Si studia il segno della funzione risolvendo la disequazione \( f(x) \gt 0 \), determinando, così, gli insiemi in cui la funzione è positiva (cioè si trova al di sopra dell’asse $x$) e quelli in cui è negativa (cioè si trova al di sotto dell’asse $x$);
  5. Si cercano gli eventuali asintoti verticali della funzione, studiando i limiti negli estremi finiti del dominio, e gli eventuali asintoti orizzontali o obliqui, studiando i limiti all’infinito della funzione. (Nel caso ci sia un asintoto obliquo, si cercano anche le intersezioni di questo con la funzione);
  6. Si calcola la derivata prima della funzione, e si risolve l’equazione $f'(x) = 0$, determinando i punti stazionari della funzione. Si studia il segno della derivata prima risolvendo la disequazione \(f'(x) \gt 0 \), stabilendo in quale intervallo la funzione è crescente, e in quale è decrescente, e si cercano gli eventuali punti di massimo e minimo relativi;
  7. Si calcola la derivata seconda \(f”(x)\) e si studia il segno di questa, risolvendo la disequazione \(f”(x) \gt 0\), determinando gli intervalli in cui la funzione volge la concavità verso l’alto, e in quali verso il  basso; si determinano, poi, gli eventuali punti di flesso;

Mano a mano che si svolgono i punti precedenti, tracciamo sul grafico le informazioni ricavate e, alla fine, si potrà disegnare il grafico completo della funzione.

 

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$(x-sqrt2)/(x+sqrt2)-(x+3sqrt2)/(x-3sqrt2)=1-(6sqrt2x)/(x^2-2sqrt2x-6)$

$(x-sqrt2)/(x+sqrt2)-(x+3sqrt2)/(x-3sqrt2)=1-(6sqrt2x)/(x^2-2sqrt2x-6)$

Scomponiamo il denominatore dell'ultima frazione risolvendola
come se fosse un'equazione trinomia completa:

$x^2-2sqrt2x-6=0$

$x=(2sqrt2\pm\sqrt((2sqrt2)^2-4*(-6)))/2=$

$(2sqrt2\pm\sqrt(8+24))/2=$

$(2sqrt2\pm\sqrt(32))/2=$

$(2sqrt2\pm\4sqrt2)/2=$

$(2sqrt2+4sqrt2)/2=(6sqrt2)/2=3sqrt2$

$(2sqrt2-4sqrt2)/2=(-2sqrt2)/2=-sqrt2$

I risultati vanno scritti al denominatore cambiati di segno:

$(x-sqrt2)/(x+sqrt2)-(x+3sqrt2)/(x-3sqrt2)=1-(6sqrt2x)/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))$

Scriviamo le condizioni di accettabità:

$x!=-sqrt2^^x!=3sqrt2$

Calcoliamo ilm.c.m.:

$((x-sqrt2)*(x-3sqrt2)-(x+3sqrt2)*(x+sqrt2))/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))=((x+sqrt2)*(x-3sqrt2)-6sqrt2x)/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))$

Svoplgiamo le moltiplicazioni:

$(x^2-sqrt2x-3sqrt2x+6-(x^2+sqrt2x+3sqrt2x+6))/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))=(x^2+sqrt2x-3sqrt2x-6-6sqrt2x)/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))$

Moltiplichiamo entrambi i membri per $(x+sqrt2)*(x-3sqrt2)$:

$((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))*(x^2-sqrt2x-3sqrt2x+6-(x^2+sqrt2x+3sqrt2x+6))/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))=((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))*(x^2+sqrt2x-3sqrt2x-6-6sqrt2x)/((x+sqrt2)*(x-3sqrt2))$

$x^2-sqrt2x-3sqrt2x+6-(x^2+sqrt2x+3sqrt2x+6)=x^2+sqrt2x-3sqrt2x-6-6sqrt2x$

$x^2-sqrt2x-3sqrt2x+6-x^2-sqrt2x-3sqrt2x-6=x^2+sqrt2x-3sqrt2x-6-6sqrt2x$

Semplifichiamo:

$x^2-sqrt2x-3sqrt2x+6-x^2-sqrt2x-3sqrt2x-6-x^2-sqrt2x+3sqrt2x+6+6sqrt2x=0$

$-x^2+6=0$

Moltiplichiamo entrambi i membri per $-1$ per cambiare segno:

$(-1)(-x^2+6)=0*(-1)$

$x^2-6=0$

$x^2=6$

$x=\pm\sqrt6$

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*[(1-4sqrt3)/2+(sqrt3-1)(sqrt3+1)-(sqrt3-1)^2]*4/(3-sqrt5)=$

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*[(1-4sqrt3)/2+(sqrt3-1)(sqrt3+1)-(sqrt3-1)^2]*4/(3-sqrt5)=$

Svolgiamo le moltiplicazioni e il quadrato nella parentesi quadra:

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*[(1-4sqrt3)/2+3-1-(3+1-2sqrt3)]*4/(3-sqrt5)=$

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*[(1-4sqrt3)/2+3-1-3-1+2sqrt3]*4/(3-sqrt5)=$

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*[(1-4sqrt3)/2-2+2sqrt3]*4/(3-sqrt5)=$

Svolgiamo il m.c.m. nella parentesi tonda:

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*(1-4sqrt3-2*2+2sqrt3*2)/2*4/(3-sqrt5)=$

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*(1-4sqrt3-4+4sqrt3)/2*4/(3-sqrt5)=$

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*(-3/2)*4/(3-sqrt5)=$

Razionalizziamo:

$(sqrt5-1)/(sqrt5+1)*(sqrt5-1)/(sqrt5-1)(-3/2)*4/(3-sqrt5)*(3+sqrt5)/(3+sqrt5)=$

$((sqrt5-1)*(sqrt5-1))/((sqrt5+1)*(sqrt5-1))*(-3/2)*(4*(3+sqrt5))/((3-sqrt5)*(3+sqrt5))=$

$(sqrt5-1)^2/(5-1)*(-3/2)*(12+4sqrt5)/(9-5)=$

$(5+1-2sqrt5)/4*(-3/2)*(12+4sqrt5)/4=$

$(6-2sqrt5)/4*(-3/2)*(12+4sqrt5)/4=$

$(2(3-sqrt5))/4*(-3/2)*(4(3+sqrt5))/4=$

Moltiplichiamo le tre frazioni:

$(-3*(3-sqrt5)*(3+sqrt5))/(2*2)=$

$(-3*(9-5))/4=$

$(-3*4)/4=$

$-12/4=-3$

$(x^2-2)/3+((x^2-1)/5)^2=7/9(x^2-2)$

$(x^2-2)/3+((x^2-1)/5)^2=7/9(x^2-2)$

Per prima cosa svolgiamo il quadrato della seconda frazione e
la moltiplicazione al secondo membro:

$(x^2-2)/3+(x^2-1)^2/5^2=(7(x^2-2))/9$

$(x^2-2)/3+(x^4+1-2x^2)/25=(7x^2-14)/9$

Il m.c.m. è $25*9$, quindi $225$:

$(75(x^2-2)+9(x^4+1-2x^2))/225=(25(7x^2-14))/225$

Moltiplicando enntrambi i membri per 225 possiamo togliere
il denominatore:

$225*(75(x^2-2)+9(x^4+1-2x^2))/225=225*(25(7x^2-14))/225$

$75(x^2-2)+9(x^4+1-2x^2)=25(7x^2-14)$

$75x^2-150+9x^4+9-18x^2=175x^2-350$

Trasportiamo tutto al primo membro

$75x^2-150+9x^4+9-18x^2-175x^2+350=0$

Addizioniamo

$9x^4-118x^2+209=0$

Possiamo risolvere questa equazione con il metodo di
risoluzione delle equazioni trinomie complete:

$x^2=(118\pm\sqrt(118^2-4*9*209))/(9*2)=$

$(118\pm\sqrt(13924-7524))/18=$

$(118\pm\sqrt(6400))/18=$

$(118\pm\80)/18=$

$(118+80)/18=198/18=11$

$(118-80)/18=38/18=19/9$

Se $x^2=11^^x^2=19/9$ allora $x=\pm\sqrt(11)^^x=\pm\sqrt(19/9)$

$((xsqrt2)/8-1-sqrt2/4):sqrt2/(x-2)+(1+1/x):(sqrt2+1)^2/x=0$

$((xsqrt2)/8-1-sqrt2/4):sqrt2/(x-2)+(1+1/x):(sqrt2+1)^2/x=0$

Svolgiamo le operazioni nelle parentesi tonde:

$((xsqrt2-8-2sqrt2)/8)*(x-2)/sqrt2+(x+1)/x*x/(sqrt2+1)^2=0$

Moltiplichiamo:

$(xsqrt2-8-2sqrt2)*(x-2)/8*sqrt2+(x+1)/(sqrt2+1)^2=0$

$(srqtx^2-2sqrt2x-8x+16-2sqrt2x+4sqrt2)/8sqrt2+(x+1)/(sqrt2+1)^2=0$

calcoliamo il m.c.m.

$(srqtx^2-2sqrt2x-8x+16-2sqrt2x+4sqrt2)*(sqrt2+1)^2+(8sqrt2)*(x+1)/(8sqrt2)*(sqrt2+1)^2=0$

Moltiplichiamo entrambi i membri per $(8sqrt2)*(sqrt2+1)^2$ e togliamo il denominatore:

$(8sqrt2)*(sqrt2+1)^2*(srqtx^2-2sqrt2x-8x+16-2sqrt2x+4sqrt2)*(sqrt2+1)^2+(8sqrt2)*(x+1)/(8sqrt2)*(sqrt2+1)^2=(8sqrt2)*(sqrt2+1)^2*0$

$(sqrtx^2-2sqrt2x-8x+16-2sqrt2x+4sqrt2)*(sqrt2+1)^2+(8sqrt2)*(x+1)=0$

Calcoliamo il quadrato e svolgiamo le moltiplicazioni:

$(sqrtx^2-2sqrt2x-8x+16-2sqrt2x+4sqrt2)*(2+1+2sqrt2)+(8sqrt2)*(x+1)=0$

$(sqrtx^2-2sqrt2x-8x+16-2sqrt2x+4sqrt2)*(3+2sqrt2)+(8sqrt2)*(x+1)=0$

$3sqrt2x^2-12sqrt2x-24x+48+12sqrt2+4x^2-16x-16sqrt2x+32sqrt2+16+8sqrt2x+8sqrt2=0$

$3sqrt2x^2+4x^2-20sqrt2x-40x+52sqrt2+64=0$

Effettuiamo ilraccoglimento parziale:

$(3sqrt2+4)x^2+(-20sqrt2-40)x+52sqrt2+64=0$

Possiamo scomporre questo polinomio come se fosse un'equazione trinomia completa, della forma $ax^2+bx+c=0$, dove $a=3sqrt2+4$, $b=-20sqrt2-40$ e $c=52sqrt2+64$.

$x=(-(-20sqrt2-40)\pm\sqrt((-20sqrt2-40)^2-4*(3sqrt2+4)*(52sqrt2+64)))/(2(3sqrt2+4))=$

$x=(20sqrt2+40)\pm\sqrt((800+1600+1600sqrt2-1248-768sqrt2-832sqrt2-1024))/(2(3sqrt2+4))=$

$x=(20sqrt2+40)\pm\sqrt(128)/(2(3sqrt2+4))=$

128 si può scomporre come $2^6*2$, quindi come $8^2*2$.

Possiamo trasportare fuori radice 8.

$x=(20sqrt2+40)\pm\8sqrt2/(2(3sqrt2+4))=$

$x1=(20sqrt2+40+8sqrt2)/(2(3sqrt2+4))=(28sqrt2+40)/(2(3sqrt2+4))=$

$(4(7sqrt2+10))/(2(3sqrt2+4))=(2(7sqrt2+10))/(3sqrt2+4)$

Razionalizziamo:

$(2(7sqrt2+10))/(3sqrt2+4)*(3sqrt2-4)/(3sqrt2-4)=$

$(2(7sqrt2+10)*(3sqrt2-4))/((3sqrt2+4)*(3sqrt2-4))=$

$(84+60sqrt2-80-56sqrt2)/(18-16)=$

$(4+4sqrt2)/2=$

$2(2+2sqrt2)/2=2+2sqrt2$

$x2=(20sqrt2+40-8sqrt2)/(2(3sqrt2+4))=(12sqrt2+40)/(2(3sqrt2+4))=$

$(4(3sqrt2+10)/(2(3sqrt2+4))=(2(3sqrt2+10)/(3sqrt2+4)=$

Razionalizziamo:

$(2(3sqrt2+10)/(3sqrt2+4)*(3sqrt2-4)/(3sqrt2-4)=$

$(2(3sqrt2+10)*(3sqrt2-4))/((3sqrt2+4)*(3sqrt2-4))=$

$(36-24sqrt2+60sqrt2-80)/(18-16)=$

$(36sqrt2-44)/2=$

$(2(18sqrt2-22))/2=18sqrt2-22$

$(sqrt(8*root(n)(2)):root(2n)(2^(5n-1))*root(n)(2^(n-1)))/root(n)(2sqrt(4^(n-1)))=$

$(sqrt(8*root(n)(2)):root(2n)(2^(5n-1))*root(n)(2^(n-1)))/root(n)(2sqrt(4^(n-1)))=$

Riduciamo allo stesso indice tutta la frazione:

$root(2n)(((8root(n)(2))^n:2^(5n-1)*(2^(n-1))^2)/(2sqrt(4^(n-1)))^2)=$

Svolgiamo le potenze:

$root(2n)((8^nroot(n)(2^n):2^(5n-1)*2^(2n-2))/(2^2*4^(n-1)))=$

Per semplificare i conti trasformiamo $8^n$ in $2^(3*n)=2^(3n)$

e $4^(n-1)$ in $2^(2(n-1))=2^(2n-2)$

$root(2n)((2^(3n)*2:2^(5n-1)*2^(2n-2))/(2^2*2^(2n-2)))=$

Svolgiamo moltiplicazioni e divisioni sapendo che per le potenze
aventi la stessa base si addizionano o sottraggono gli esponenti:

$root(2n)((2^(3n+1-(5n-1)+2n-2))/(2^(2+2n-2))))=$

$root(2n)((2^(3n+1-5n+1+2n-2))/(2^(2+2n-2))))=$

$root(2n)((2^0)/(2^(2n))))=$

$root(2n)((1)/(2^(2n))))=$

$root(2n)(1)/root(2n)(2^(2n)))=$

$1/2$

$(1/3x^2+1)^3+8/3x^3=(1/3x^2-1)^3+2/3(x+1)^4$

$(1/3x^2+1)^3+8/3x^3=(1/3x^2-1)^3+2/3(x+1)^4$

Il cubo del binomio si calcola svolgendo il cubo del primo
termine, il cubo del secondo, il triplo prodotto del quadrato
del primo per il secondo e il triplo prodotto del primo per
il quadrato del secondo:

$(a+b)^3=a^3+b^3+3a^2b+3ab^2$

Scomponiamo $(x+1)^4$ come $(x+1)^2*(x+1)^2$:

$(1/3x^2)^3+1^3+3(1/3x^2)^2*1+3*1/3x^2*1^2+8/3x^3=(1/3x^2)^3+(-1)^3+3(1/3x^2)^2*(-1)+3*1/3x^2*(-1)^2+2/3*(x+1)^2*(x+1)^2$

$1/27x^6+1+x^2+1/3x^4+8/3x^3=1/27x^6-1+x^2-1/3x^4+2/3*(x^2+1+2x)*(x^2+1+2x)$

$1/27x^6+1+x^2+1/3x^4+8/3x^3=1/27x^6-1+x^2-1/3x^4+2/3*(x^4+x^2+2x^3+x^2+2x+1+2x^3+2x+4x^2)$

$1/27x^6+1+x^2+1/3x^4+8/3x^3=1/27x^6-1+x^2-1/3x^4+2/3x^4+2/3x^2+4/3x^3+2/3x^2+4/3x+2/3+4/3x^3+4/3x+3/8x^2$

Trasportiamo tutti i termini al primo membro e semplifichiamo:

$1/27x^6+1+x^2+1/3x^4+8/3x^3-1/27x^6+1-x^2+1/3x^4-2/3x^4-2/3x^2-4/3x^3-2/3x^2-4/3x-2/3-4/3x^3-4/3x-3/8x^2=0$

$-12x^2-8x+4=0$

$12x^2+8x-4=0$

Svolgiamo l'equazione trinomia completa:

$x=(-8\pm\sqrt(64+192))/24=(-8\pm\16)/24=$

$(-8+16)/24=8/24=1/3$

$(-8-16)/24=-24/24=-1$

 

$(x+3/2)/(x-3/2)+(x+4/3)/(x-4/3)+24/(6x^2-17x+12)=0$

$(x+3/2)/(x-3/2)+(x+4/3)/(x-4/3)+24/(6x^2-17x+12)=0$

Svolgiamo le operazioni alnumeratore e al denominatore delle
prime due frazioni, scomponiamo il trinomio della terza frazione:

$X=(17\pm\sqrt(289-288))/12=(17\pm\1)/12=$

$(17+1)/12=18/12=3/2$

$(17-1)/12=16/12=4/3$

$((2x+3)/2)/((2x-3)/2)+((3x+4)/3)/((3x-4)/3)+24/(6(x-3/2)(x-4/3))=0$

$((2x+3)/2):((2x-3)/2)+((3x+4)/3):((3x-4)/3)+24/(6((2x-3)/2)((3x-4)/3))=0$

$((2x+3)/2)*(2/(2x-3))+((3x+4)/3)*(3/(3x-4))+24/((2x-3)(3x-4))=0$

Poniamo le condizioni di accettabilità: affinchè l'equazione sia accettabile, deve essere $x!=3/2^^x!=4/3$

$(2x+3)/(2x-3)+(3x+4)/(3x-4)+24/((2x-3)(3x-4))=0$

Il m.c.m. è $(2x-3)(3x-4)$. quindi

$((2x+3)(3x-4)+(3x+4)(2x-3)+24)/(2x-3)(3x-4)=0$

Moltiplicando entrambi i membri per $(2x-3)(3x-4)$, possiamo togliere
il denominatore

$(2x-3)(3x-4)*((2x+3)(3x-4)+(3x+4)(2x-3)+24)/(2x-3)(3x-4)=0*(2x-3)(3x-4)$

$(2x+3)(3x-4)+(3x+4)(2x-3)+24=0$

$6x^2+9x-8x-12+6x^2+8x-9x-12+24=0$

$12x^2=0$ $\Rightarrow$ $x=0^^x=0$

${(x^2+xy+x+y=2-2x-5),(1+2(x-1+y-x)=1):}$

$\{(x^2+xy+x+y=2-2x-5),(1+2(x-1+y-x)=1):}$

 

$\{(x^2+xy+x+y-2+2x+5=0),(1+2x-2+2y-2x-1=0):}$

 

$\{(x^2+xy+3x+y+3=0),(2y-2=0):}$

 

$\{(x^2+xy+3x+y+3=0),(y=1):}$

 

Ora sostituiamo il valore della y trovato nella seconda
equazione alla y della prima:

 

$\{(x^2+x*1+3x+1+3=0),(y=1):}$

 

$\{(x^2+x+3x+1+3=0),(y=1):}$

 

$\{(x^2+4x+4=0),(y=1):}$

 

$\{((x+2)^2=0),(y=1):}$

 

$\{(x=2vvx=2),(y=1):}$

${((x-2)/(x+y-5)=1),(x^2+xy-10=0):}$

$\{((x-2)/(x+y-5)=1),(x^2+xy-10=0):}$


Per prima cosa scriviamo le condizioni di accettabilità: affinchè l'equazione sia accettabile deve essere $x+y-5!=0$

 

Calcoliamo il m.c.m. nella prima equazione:


$\{((x-2)/(x+y-5)=(1*(x+y-5))/(x+y-5)),(x^2+xy-10=0):}$


$\{(x-2=x+y-5),(x^2+xy-10=0):}$


$\{(x-2-x-y+5=0),(x^2+xy-10=0):}$


$\{(-y+3=0),(x^2+xy-10=0):}$


$\{(-y=-3),(x^2+xy-10=0):}$


$\{(y=3),(x^2+xy-10=0):}$


Dopo aver trovato la y nella prima equazione, sostituiamo 

il suo valore alla y nella seconda:


$\{(y=3),(x^2+x*3-10=0):}$


$\{(y=3),(x^2+3x-10=0):}$


Risolviamo la seconda equazione come un'equazione trinomia completa:


$\{(y=3),(x=(-3\pm\sqrt(9+40))/2=(-3\pm\7)/2=2vv-5):}$


Ora verifichiamo che le soluzioni trovate siano accettabili:


tenendo presente che $y=3$, se $x=2$ al denomimatore avremo $2+3-5$, la cui somma è uguale a zero.

Sapendo che il denominatore non può essere uguale a zero, scartiamo come soluzione $x=2$.

Allo stesso modo, tenendo presente che $y=3$, se $x=-5$ al 

denomimatore avremo $2-5-5$, la cui somma è $-8$. Dato che

$-8!=0$ possiamo scrivere


$\{(y=3),(x=-5):}$



${(12/5[1/4(x-(y-2)/3)-1/6((2x+1)/2-y)]=y-7/5),(1/5(x-(y-3)/2)-1/2(y+(x-3)/5)+3/5=0):}$

$\{(12/5[1/4(x-(y-2)/3)-1/6((2x+1)/2-y)]=y-7/5),(1/5(x-(y-3)/2)-1/2(y+(x-3)/5)+3/5=0):}$

Svolgiamo le operazioni nelle parentesi tonde:

$\{(12/5[1/4((3x-y+2)/3)-1/6((2x+1-2y)/2)]=y-7/5),(1/5((2x-y+3)/2)-1/2((5y+x-3)/5)+3/5=0):}$

$\{(12/5[1/4*(3x-y+2)/3-1/6*(2x+1-2y)/2]=y-7/5),(1/5*(2x-y+3)/2-1/2*(5y+x-3)/5+3/5=0):}$

$\{(12/5((3x-y+2)/12-(2x+1-2y)/12)=y-7/5),((2x-y+3)/10-(5y+x-3)/10+3/5=0):}$

$\{(12/5[((3x-y+2)-(2x+1-2y))/12]=y-7/5),((2x-y+3)/10-(5y+x-3)/10+3/5=0):}$

$\{(12/5((3x-y+2-2x-1+2y))/12=y-7/5),((2x-y+3)/10-(5y+x-3)/10+3/5=0):}$

$\{((3x-y+2-2x-1+2y)/5=y-7/5),((2x-y+3)/10-(5y+x-3)/10+3/5=0):}$

Calcoliamo il m.c.m. nella prima e nella seconda equazione:

$\{((3x-y+2-2x-1+2y)/5=(5y-7)/5),((2x-y+3-(5y+x-3)+2*3)/10=0):}$

$\{((3x-y+2-2x-1+2y)/5=(5y-7)/5),((2x-y+3-5y-x+3+6)/10=0):}$

Moltiplicando entrambi i membri delle due equazioni per il m.c.m.,
quindi per 5 nella la prima e per 10 nella la seconda, togliamo il denoinatore:

$\{(5*(3x-y+2-2x-1+2y)/5=5*(5y-7)/5),(10*(2x-y+3-5y-x+3+6)/10=0):}$

$\{(3x-y+2-2x-1+2y=5y-7),(2x-y+3-5y-x+3+6=0):}$

$\{(3x-y+2-2x-1+2y-5y+7=0),(2x-y+3-5y-x+3+6=0):}$

$\{(x-4y+8=0),(x-6y+12=0):}$

Dopo aver ridotto il sistema in forma normale, possiamo procedere con la risoluzione mediante il metodo del confronto:

Troviamo la x in entrambe le equazioni:

$\{(x=4y-8),(x=6y-12):}$

$4y-8=6y-12$

$4y-8-6y+12=0$

$-2y+4=0$

$-2y=-4$  $\Rightarrow$  $y=2$

Per trovare il valore della x sostituiamo quello della y
all'equazione $x-4y+8=0$:

$x-4*2+8=0$

$x-8+8=0$ $\Rightarrow$  $x=0$

 

$((x-1)^2-(2x-1)(x/2-2))/(1+1/2)$

$((x-1)^2-(2x-1)(x/2-2))/(1+1/2)<(3/4)^-1*x^2-(x(2x-1)-1)/(2-1/2)$

Al numeratore svolgiamo il quadrato e le moltiplicazioni,

addizioniamo al denominatore:

$(x^2+1-2x-(2x-1)((x-4)/2))/((2+1)/2)<4/3*x^2-(2x^2-x-1)/((4-1)/2)$

$(x^2+1-2x-((2x-1)(x-4))/2)/(3/2)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1)/(3/2)$

$(x^2+1-2x-(2x^2-x-8x+4)/2)/(3/2)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1)/(3/2)$

Calcoliamo il m.c.m. al denominatore del primo membro:

$((2(x^2+1-2x)-(2x^2-x-8x+4))/2)/(3/2)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1)/(3/2)$

$((2x^2+2-4x-2x^2+x+8x-4)/2)/(3/2)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1)/(3/2)$

$((5x-2)/2)/(3/2)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1)/(3/2)$ $((5x-2)/2):(3/2)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1):(3/2)$

$((5x-2)/2)*(2/3)<(4x^2)/3-(2x^2-x-1)*(2/3)$

$(5x-2)/3<(4x^2)/3-(2(2x^2-x-1))/3$

$(5x-2)/3<(4x^2)/3-(4x^2-2x-2)/3$

Dato che 3>0 possiamo moltiplicare entrambi i membri per 3 e togliere quindi il denominatore:

$3*(5x-2)/3<3*(4x^2)/3-3*(4x^2-2x-2)/3$ $5x-2<4x^2-4x^2+2x+2$

Portiamo le incognite al primo membro e i termini noti al secondo e svolgiamo i conti:

$5x-4x^2+4x^2-2x<+2+2$

$3x<4$  $\Rightarrow$   $x<4/3$

$((1-x)(1+x)^2)/3-(1-2x^3)/6>3x-1/3(x-2)^2$

$((1-x)(1+x)^2)/3-(1-2x^3)/6>3x-1/3(x-2)^2$

Svolgiamo le moltiplicazioni:
(per convenienza svolgiamo $(1-x)(1+x)^2$ scomponendo
il quadrato $(1-x)(1+x)(1+x)$ per moltiplicare $(1-x)(1+x)$
come somma per differenza $(1-x^2)(1+x)$)

$((1-x^2)(1+x))/3-(1-2x^3)/6>3x-(x-2)^2/3$

$(1+x-x^2-x^3)/3-(1-2x^3)/6>3x-(x^2+4-4x)/3$

$(2(1+x-x^2-x^3)-(1-2x^3))/6>(6*3x-2(x^2+4-4x))/6$

Dato che 6>0 possiamo moltiplicare entrambi i membri
per 6 e quindi togliere il denominatore:

$6*(2(1+x-x^2-x^3)-(1-2x^3))/6>6*(6*3x-2(x^2+4-4x))/6$

$2(1+x-x^2-x^3)-(1-2x^3)>6*3x-2(x^2+4-4x)$

$2+2x-2x^2-2X^3-1+2x^3>18x-2X^2-8+8x$

Portiamo le incognite al primo membro e i termini noti
al secondo, poi svolgiamo i conti:

$2x-2x^2-2X^3+2x^3-18x+2X^2-8x>-2+1-8$

$-24x>-9$

Moltiplichiamo entrambi i membri per -1 e invertiamo
il verso:

$-1*(-24)x>-1*(-9)$

$24x<9$

$x<9/24$  $\Rightarrow$  $x<3/8$

$3/(2x)+(1/x-1)/(2+1/x)=(3-6/x)/(4x+2)+(3x+1)/(2x)$

$3/(2x)+(1/x-1)/(2+1/x)=(3-6/x)/(4x+2)+(3x+1)/(2x)$

Per prima cosa semplifichiamo le fraizoni trovando il m.c.m. al numeratore e al denominatore:

$3/(2x)+((1-x)/x)/((2x+1)/x)=((3x-6)/x)/(4x+2)+(3x+1)/(2x)$

Ora dividiamo il numeratore per il denominatore:

$3/(2x)+((1-x)/x):((2x+1)/x)=((3x-6)/x):(4x+2)+(3x+1)/(2x)$

$3/(2x)+((1-x)/x)*(x/(2x+1))=((3x-6)/x)*1/(4x+2)+(3x+1)/(2x)$

A questo punto scriviamo le condizioni di accettabilità: affinchè l'equazione abbia significato deve essere $x!=-1/2 ^^ x!=0$, poi svolgiamo le moltiplicazioni:

$3/(2x)+(1-x)/(2x+1)=(3x-6)/(x(4x+2))+(3x+1)/(2x)$

$3/(2x)+(1-x)/(2x+1)=(3x-6)/(2x(2x+1))+(3x+1)/(2x)$

Il m.c.m. è $2x(2x+1)$, quindi:

$(3(2x+1)+2x(1-x))/(2x(2x+1))=(3x-6+(3x+1)(2x+1))/(2x(2x+1))$

$6x+3+2x-2x^2=3x-6+6x^2+3x+2x+1$

Trasportiamo tutto al primo membro e addizioniamo:

$6x+3+2x-2x^2-3x+6-6x^2-3x-2x-1=0$ $-8x^2+8=0$

Moltiplichiamo entrambi i membri per -1:

$-1*(-8x^2+8)=-1*0$ $8x^2-8=0$

Raccogliamo 8 e applichiamo la legge d'annullamento del prodotto:

$8(x^2-1)=0$

$8=0 \nexists x in RR$

$x^2-1=0 \Rightarrow x^2=1 \Rightarrow x=\pm\1$

${(sqrt(2)x+sqrt(3)y=0),(x+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

$\{(sqrt(2)x+sqrt(3)y=0),(x+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

Risolviamo il sistema con il metodo della sostituzione,
quindi troviamo la x nella prima equazione:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(x+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

Ora sostituiamo la x della prima equazione alla x della seconda:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(-(sqrt(3)y)/sqrt(2)+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

A questo punto risolviamo la seconda equazione;
il m.c.m. è $(sqrt(2))$ , quindi

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(-sqrt(3)y+sqrt(2)*y=sqrt(2)*sqrt(3)-sqrt(2)*sqrt(2)):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(-sqrt(3)y+sqrt(2)y=sqrt(6)-2):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),((-sqrt(3)+sqrt(2))y=sqrt(6)-2):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(sqrt(6)-2)/(-sqrt(3)+sqrt(2))):}$

Si razionalizza:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(sqrt(6)-2)/(sqrt(2)-sqrt(3))*(sqrt(2)+sqrt(3))/(sqrt(2)+sqrt(3))):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=((sqrt(6)-2)*(sqrt(2)+sqrt(3)))/((sqrt(2)-sqrt(3))*(sqrt(2)+sqrt(3)))):}$

Si svolgono i conti (al denominatore si risolve come
somma per differenza: il quadrato del primo meno
il quadrato del secondo)

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(sqrt(12)-2sqrt(2)+sqrt(18)-2sqrt(3))/(2-3)):}$

Si semplificano i radicali con il trasporto fuori radice:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(2sqrt(3)-2sqrt(2)+3sqrt(2)-2sqrt(3))/(-1)):}$

Semplificando si ottiene

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=sqrt(2)/(-1)):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=-sqrt(2)):}$

Dopo aver trovato la y nella seocnda equazione,
la sostituiamo alla y della prima:

$\{(sqrt(2)x+sqrt(3)*(-sqrt(2))=0),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(sqrt(2)x-sqrt(6)=0),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(x=sqrt(6)/sqrt(2)),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(x=sqrt(3)),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(sqrt(2)x+sqrt(3)y=0),(x+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

Risolviamo il sistema con il metodo della sostituzione,
quindi troviamo la x nella prima equazione:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(x+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

Ora sostituiamo la x della prima equazione alla x della seconda:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(-(sqrt(3)y)/sqrt(2)+y=sqrt(3)-sqrt(2)):}$

A questo punto risolviamo la seconda equazione;
il m.c.m. è $(sqrt(2))$ , quindi

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(-sqrt(3)y+sqrt(2)*y=sqrt(2)*sqrt(3)-sqrt(2)*sqrt(2)):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(-sqrt(3)y+sqrt(2)y=sqrt(6)-2):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),((-sqrt(3)+sqrt(2))y=sqrt(6)-2):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(sqrt(6)-2)/(-sqrt(3)+sqrt(2))):}$

Si razionalizza:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(sqrt(6)-2)/(sqrt(2)-sqrt(3))*(sqrt(2)+sqrt(3))/(sqrt(2)+sqrt(3))):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=((sqrt(6)-2)*(sqrt(2)+sqrt(3)))/((sqrt(2)-sqrt(3))*(sqrt(2)+sqrt(3)))):}$

Si svolgono i conti (al denominatore si risolve come
somma per differenza: il quadrato del primo meno
il quadrato del secondo)

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(sqrt(12)-2sqrt(2)+sqrt(18)-2sqrt(3))/(2-3)):}$

Si semplificano i radicali con il trasporto fuori radice:

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=(2sqrt(3)-2sqrt(2)+3sqrt(2)-2sqrt(3))/(-1)):}$

Semplificando si ottiene

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=sqrt(2)/(-1)):}$

$\{(x=-(sqrt(3)y)/sqrt(2)),(y=-sqrt(2)):}$

Dopo aver trovato la y nella seocnda equazione,
la sostituiamo alla y della prima:

$\{(sqrt(2)x+sqrt(3)*(-sqrt(2))=0),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(sqrt(2)x-sqrt(6)=0),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(x=sqrt(6)/sqrt(2)),(y=-sqrt(2)):}$

$\{(x=sqrt(3)),(y=-sqrt(2)):}$

$sqrt((root(4)(7-4sqrt(3))*sqrt(2-sqrt(3)))/(sqrt(5+2sqrt(6))*sqrt(5-2sqrt(6))))=$

$sqrt((root(4)(7-4sqrt(3))*sqrt(2-sqrt(3)))/(sqrt(5+2sqrt(6))* sqrt(5-2sqrt(6))))=$

Svolgiamo i conti al numeratore e al denominatore: al numeratore riduciamo i due radicali allo stesso indice, mentre al denominatore portiamo tutto sotto la stessa radice e svolgiamo la moltiplicazione:

$sqrt(root(4)((7-4sqrt(3))*(2-sqrt(3))^2)/(sqrt((5+2sqrt(6))* (5-2sqrt(6)))))=$

Al numeratore si svolge il quadrato del binomio, al denominatore si risolve la moltoplicazione come somma per differenza (il quadrato del primo meno il quadrato del secondo)

$sqrt(root(4)((7-4sqrt(3))*(4+3-4sqrt(3)))/(sqrt(25-24)))=$

$sqrt(root(4)((7-4sqrt(3))*(7-4sqrt(3)))/(sqrt(1)))=$

$sqrt(root(4)((7-4sqrt(3))*(7-4sqrt(3))))=$

Possiamo scrivere $(7-4sqrt(3))*(7-4sqrt(3))$ come $(7-4sqrt(3))^2$ e semplificarlo con la radice quarta:

 $sqrt(root(4)((7-4sqrt(3))^2))=$

$sqrt(sqrt(7-4sqrt(3)))=$

A questo punto, invece di ridurre i radicali allo stesso indice, per scomporre applichiamo la regola dei redicali doppi:

$sqrt(a+sqrt(b))=sqrt((a+sqrt(a^2-b))/2)+sqrt((a-sqrt(a^2-b))/2)$ $sqrt(a-sqrt(b))=sqrt((a+sqrt(a^2-b))/2)-sqrt((a-sqrt(a^2-b))/2)$

 $sqrt(sqrt(7-sqrt(48)))=$

$sqrt(sqrt((7+sqrt(49-48))/2)-sqrt((7-sqrt(49-48))/2))=$

 $sqrt(sqrt((7+sqrt(1))/2)-sqrt((7-sqrt(1))/2))=$

$sqrt(sqrt((7+1)/2)-sqrt((7-1)/2))=$

$sqrt(sqrt(8/2)-sqrt(6/2))=$

 $sqrt(sqrt(4)-sqrt(3))=$

 $sqrt(2-sqrt(3))=$

Si applica ancora la regola dei ragicali doppi:

 $sqrt((2+sqrt(4-3))/2)-sqrt((2-sqrt(4-3))/2)=$

$sqrt((2+sqrt(1))/2)-sqrt((2-sqrt(1))/2)=$

 $sqrt((2+1)/2)-sqrt((2-1)/2)=$

$sqrt(3/2)-sqrt(1/2)=$

Possiamo scomporre i radicali $sqrt(3/2)$ e $sqrt(1/2)$ come

$sqrt(3)/(sqrt(2))$ e $sqrt(1)/(sqrt(2))$, quindi

 $sqrt(3)/(sqrt(2))-sqrt(1)/(sqrt(2))=$

$sqrt(3)/(sqrt(2))-1/(sqrt(2))=$

 Sommando i due radicali otteniamo

$(sqrt(3)-1)/sqrt(2)=$

poi si razionalizza

$(sqrt(3)-1)/sqrt(2)*sqrt(2)/sqrt(2)=$

$((sqrt(3)-1)*sqrt(2))/(sqrt(2)*sqrt(2))=$

$(sqrt(6)-sqrt(2))/2$

Compito svolto sulle equazioni di secondo grado e di grado superiore

Compito svolto sulle equazioni di secondo grado e di grado superiore
1) Risolvere la seguente equazione di secondo grado contenente radicali.
$2/(x-sqrt(2))+1+4/(x-sqrt(2)+2)+12/(x^2-2(sqrt(2)-1)x+2-2sqrt(2))=0$
E' possibile scomporre il polinomio $(x^2-2(sqrt(2)-1)x+2-2sqrt(2))$ mediante la risoluzione delle equazioni di secondo grado
$(-b\pm\sqrt(b^2-4ac))/(2a)$ con $a=1$, $b=-2(sqrt(2)-1)$ e $c=2-2sqrt(2)$.
Quindi
$(2(sqrt(2)-1)\pm \sqrt((2sqrt(2)-2)^2-4(2-2sqrt(2))))/2=$
$(2sqrt(2)-2\pm \sqrt(8+4-8sqrt(2)-8+8sqrt(2)))/2=$
$(2sqrt(2)-2\pm \sqrt(4))/2=$
$(2sqrt(2)-2\pm \2)/2=$
a)
$(2sqrt(2)-2+2)/2=$                  
$(2sqrt(2))/2=$                      
$sqrt(2)$                            
                                     
b)
$(2sqrt(2)-2-2)/2=$
$(2sqrt(2)-4)/2=$
$(2(sqrt(2)-2))/2=$
$(sqrt(2)-2)$
Le soluzioni vengono scrite al denominatore cambiate di segno:
$2/(x-sqrt(2))+1+4/(x-sqrt(2)+2)+12/((x-sqrt(2))(x-(sqrt(2)-2)))=0$
$2/(x-sqrt(2))+1+4/(x-sqrt(2)+2)+12/((x-sqrt(2))(x-sqrt(2)+2))=0$
Dopo aver scomposto i denominatori si devono determinare le condizioni di accettabilità:
affichè l'equazione abbia significato deve essere
$x!=sqrt(2) ^^ x!=sqrt(2)-2$
Il m.c.m. è $(x-sqrt(2))(x-sqrt(2)+2)$, quindi
$(2(x-sqrt(2)+2)+(x-sqrt(2))(x-sqrt(2)+2)+4(x-sqrt(2))+12)/((x-sqrt(2))(x-sqrt(2)+2))=0$
$2x-2sqrt(2)+4+x^2-sqrt(2)x+2x-sqrt(2)x+2-2sqrt(2)+4x-4sqrt(2)+12=0$
Svolgendo i calcoli si ottiene
$x^2+8x-2sqrt(2)x+18-8sqrt(2)=0$
$x^2+(8x-2sqrt(2))x+(18-8sqrt(2))=0$
che si scompone utilizzando il metodo di 
risoluzione delle equazioni di secondo grado:
$x=(-8+2sqrt(2)\pm \sqrt((-8+2sqrt(2))^2-4(18-8sqrt(2))))/2=$
$(-8+2sqrt(2)\pm \sqrt(64+8-32sqrt(2)-72+32sqrt(2)))/2=$
$(-8+2sqrt(2)\pm \sqrt(0))/2=$
a)
$(-8+2sqrt(2)+0)/2=$             
$(2(sqrt(2)-4))/2=$              
$sqrt(2)-4$                      
b)
$(-8+2sqrt(2)-0)/2=$
$(2(sqrt(2)-4))/2=$
$sqrt(2)-4$
2)Risolvere la seguente equazione di secondo grado.
$19/(10+10x)+(x+52)/(10(x^2-7x+12))=(13(x-2))/(x^3-6x^2+5x+12)$
Per prima cosa scomponiamo il polinomo $(x^2-7x+12)$ mediante la 
risoluzione delle equazioni di secondo grado $(-b\pm \sqrt(b^2-4ac))/(2a)$
$(7\pm \sqrt(49-48))/2=$
$(7\pm \1)/2=$
a)
$(7+1)/2=$     
$8/2=4$      
b)
$(7-1)/2=$
$6/2=3$
$19/(10+10x)+(x+52)/(10(x-4)(x-3))=(13(x-2))/(x^3-6x^2+5x+12)$
Poi il polinomio $(x^3-6x^2+5x+12)$ con la regola di Ruffini:
il numero che sostituito alla x rende il polinomio nullo è -1;
scomponendo si ottiene $(x+1)(x^2-7x+12)$ e scomponendo ancora 
si avrà $(x+1)(x-4)(x-3)$
$19/(10+10x)+(x+52)/(10(x-4)(x-3))=(13(x-2))/((x+1)(x-4)(x-3))$
Ora possiamo determinare le condizioni di accettabilità:
affichè l'equazione abbia significato deve essere $x!=-1$ $^^$ $x!=3$ $^^$ $x!=4$
Successivamente si può proseguire con i calcoli:
il m.c.m. è $10(x+1)(x-4)(x-3)$, quindi
$(19(x-4)(x-3)+(x+52)(x+1)-10*13(x-2))/(10(x+1)(x-4)(x-3))=0$
$19(x^2-7x+12)+x^2+x+52x+52-130x+260=0$
$19x^2-133x+228+x^2+x+52x+52-130x+260=0$
$20x^2-210x+540=0$
Per semplificare i conti si può dividere entrambi i membri dell'equazione per 10:
$2x^2-21x+54=0$
$x=(21\pm\sqrt(441-432))/4=$
$(21\pm\sqrt(9))/4=$
$(21\pm\3)/4=$
a)
$(21+3)/4=$      
$24/4=6$         
b)
$(21-3)/4=$
$18/4=9/2$
3)Risolvere la seguente equazione di grado superiore al secondo.
$(x^2+1/x^2)^4-40(x^2+1/x^2)^2+144=0$
Sostituendo $(x^2+1/x^2)$ con t otteniamo un'equazione biquadratica
che ha per incognita t:
$(x^2+1/x^2)=t$
$t^4-40t^2+144=0$
Possiamo scomporre mediante la formula $(-b\pm\sqrt(b^2-4ac))/(2a)$:
$t^2=(40\pm\sqrt(40^2-4*144))/2=$
$(40\pm\sqrt(1600-576))/2=$
$(40\pm\sqrt(1024))/2=$
$(40\pm\32)/2=$
a)
$(40+32)/2=$            
$72/2=36$ 
$t=sqrt(36)=6$            
b)
$(40-32)/2=$
$8/2=4$
$t=sqrt(4)=2$
Sapendo quindi che $(x^2+1/x^2)=t$ possiamo scrivere che
A)
$(x^2+1/x^2)=6$                         
$x^4+1=6x^2$                            
$x^4-6x^2+1=0$                          
$x^2=(6\pm\sqrt(36-4))/2=$                
$(6\pm\sqrt(32))/2=$                      
$(6\pm\4sqrt(2))/2=$                      
a)
$(6+4sqrt(2))/2=$            
$(2(3+2sqrt(2)))/2=$         
$3+2sqrt(2)$               
$x=\pm\sqrt(3+2sqrt(2))$
b)
$(6-4sqrt(2))/2=$
$(2(3-2sqrt(2)))/2=$
$3-2sqrt(2)$
$x=\pm\sqrt(3-2sqrt(2))$
Per risolvere questi radicali si applic la regola dei radicali doppi:
$sqrt(a+sqrt(b))=sqrt((a+sqrt(a^2-b))/2)+sqrt((a-sqrt(a^2-b))/2)$
$sqrt(a-sqrt(b))=sqrt((a+sqrt(a^2-b))/2)-sqrt((a-sqrt(a^2-b))/2)$
Quindi:
$\pm\sqrt(3+2sqrt(2))=\pm\sqrt(3+sqrt(8))=$
$\pm\(sqrt((3+sqrt(9-8))/2)+sqrt((3-sqrt(9-8))/2))=$
$\pm\(sqrt((3+sqrt(1))/2)+sqrt((3-sqrt(1))/2))=$
$\pm\(sqrt((3+1)/2)+sqrt((3-1)/2))=$
$\pm\(sqrt(4/2)+sqrt(2/2))=$
$\pm\(sqrt(2)+sqrt(1))=$
$\pm\(sqrt(2)+1)$
$\pm\sqrt(3-2sqrt(2))=\pm\sqrt(3-sqrt(8))=$
$\pm\(sqrt((3+sqrt(9-8))/2)-sqrt((3-sqrt(9-8))/2))=$
$\pm\(sqrt((3+sqrt(1))/2)-sqrt((3-sqrt(1))/2))=$
$\pm\(sqrt((3+1)/2)-sqrt((3-1)/2))=$
$\pm\(sqrt(4/2)-sqrt(2/2))=$
$\pm\(sqrt(2)-sqrt(1))=$
$\pm\(sqrt(2)-1)$
B)
$(x^2+1/x^2)=2$
$x^4+1=2x^2$
$x^4-2x^2+1=0$
$x^2=(2\pm\sqrt(4-4))/2=$
$(2\pm\0)/2=1$
$x=\pm\sqrt(1)=\pm\1$