megas_archon ha scritto:Grazie della risposta.gabriella127 ha scritto:Non necessariamente, chi mi conosce sa che mi piace scovivere pienamente in vari modi e non .dai un'idea abbastanza ascetica e sofferenziale della matematica
Quello in cui io non credo è una matematica/convivialità gioiosa e inclusiva a tutti i costi: per fare matematica, per farla bene, è indispensabile essere un certo tipo di persona; gli altri dovrebbero astenersene, altrimenti la rovinano, la imbastardiscono. L'accento è sulla preservazione di una ortodossia, non sul suo adeguamento alla comunità che utilizza quello status quo. Ovviamente il motivo è che la matematica è estremamente più importante delle persone che la fanno.
Del resto, altrettanto ovviamente, questa è un'opinione estremizzata e distorta da me, che ho un nemmeno troppo malcelato disturbo antisociale di personalità.
Grazie a te.
Neanche io penso che la matematica debba essere inclusiva, già la parola mi fa venire la depressione.
Non a caso ho citato Ennio De Giorgi, non il primo oco giulivo1 che passa.
Quello che voglio dire, che a parità di turba psichica, da cui non sono affatto esente, e di reale predisposizione per la matematica, si può avere un rapporto con la matematica diverso, e quel 'certo tipo di persona' che bisogna essere in realtà possono essere molti tipi di persona.
megas_archon ha scritto:1. Una componente di morte dell'ego è essenziale per apprezzare la profondità del sapere cui ti stai avvicinando.
[...] sia costretto a trovare la sua quadra tra questa urgenza trascendente e la propria ineliminabile mortalità, oppure inevitabilmente si consumi. Per me fare matematica è una maniera di essere un po' meno umano, condizione da cui non posso fuggire ma di cui porto con vergogna i segni e che vorrei eliminare. Per altre persone questa, che per me è l'unica maniera di sentirmi a mio agio nel mio corpo, sarebbe una tortura o un'eresia. Alcuni trovano questa libertà nelle droghe, per esempio.
Sono cose di cui è difficilissimo parlare perché troppo soggettive e personali, e senza scadere nel filosofico-palloso.
Senza però fare il filosofo de noantri, ma solo per far capire il mio discorso, che non è poi così lontano dal tuo,
pensavo proprio a questa 'morte dell'ego' che citi.
Non mi riferisco di qui in avanti a te né a me, è un discorso generale.
In realtà non è niente che si siano inventai gli psiconauti, caso mai con i funghi allucinogeni viene meglio.
È qualcosa che si ritrova nella descrizione dell'esperienza mistica o dell'estasi, e del'annullamento di sé per trovare la ricongiunzione con il 'tutto'.
È anche la visione tipica del romanticismo tedesco, dove il rapporto con la morte è, tutto sommato, poco mortifero. La poesia emblema è l'Inno alla notte di Novalis, dove si dice che la notte è tanto bella perché somiglia alla morte etc. etc.
In realtà la morte è vista come esperienza fusionale estrema, quella che ti ricongiunge all'altro amato o al tutto (che poi è quasi lo stesso),: In realtà questa idea di autoannientamento è l'atto estremo del desiderio, che vuole fondersi con l'altro, diciamo l'atto erotico in senso lato più estremo.
E se è la nostra finitezza a impedirci di ricongiungerci all'altro-tutto, ecco che ci facciamo fuori, metaforicamente o anche in casi limite fisicamente.
Guarda qua gli psiconauti che hai citato, non si sono inventati niente:
"all'inizio hai la sensazione di morire ed entri in trance—talora urlando—poi la tua autopercezione svanisce e ti sembra che tutto quello che c'è nell'universo sia connesso."
Come si vede, questa espressione 'morte dell'Io' o morte tout court, non è così mortifera come appare.
Ripeto, con questo pippone filosofico non parlo né di te né di me in particolare, né il mio rapporto con l'attività del pensare, e la matematica, passa per questo autoannientamento, ma ti assicuro che ho motivazioni psicologiche che non sono poi così diverse, anche se spesso è difficile sia afferrarle che descriverle.
- Scrivere 'oca' non si può più, e mi rifiuto di scrivere oc@ con la schwa ↑