Messaggioda needmathhelp » 04/12/2007, 19:31

Wow. Grazie mille.

E l'ultimo di Injava è fantastico :-D
needmathhelp
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Messaggioda Cheguevilla » 04/12/2007, 19:37

3) Conosci colui che prende le decisioni e valutane la cultura
Il nuovo megapresidente della "company" per cui lavoro, fino a ieri, era il megapresidente di una grande impresa produttrice di birra.
Non so cosa abbia da spartire con i container e le navi, ma la sua cultura è simile alla mia...
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Rischiavano la strada e per un uomo
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev'essere rischiare
ma forse non voler più sopportare.
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Messaggioda kinder » 04/12/2007, 23:04

SnakePlinsky ha scritto:
se l'azienda è quotata in borsa, il suo valore coincide colla capitalizzazione. Se non lo è, allora ti imbarchi in un tema specialistico, non semplice.


Il Che (hasta la victoria siempre ;-) ) dice "non sempre": io aggiungo MAI.
2 fattori oggettivi sono:

1) il prezzo di borsa è un prezzo marginale: non si può valutare tutta un'azienda in base al valore con cui si è scambiato l'1% oggi in borsa. Come valutare il prezzo di tutte le case in base a quelle vendute in 1 anno. Giacchè l'inizio delle vendite o degli acquisti a quel prezzo per quantità anch'esse marginali fa immediatamente salire o scendere il prezzo, figuriamoci tutto il capitale azionario.

2) Nei prezzi delle azioni ci sono anche grandezze non direttamente reddituali: il diritto di voto in assemblea. Si guardi a questo proposito la differenza tra prezzo delle ordinarie e le risparmio.

Oltre a questi motivi "oggettivi" ce ne sono altri di natura filosofica: efficenza dei mercati, nel mercato si scommette, il valore non è mai assoluto ma sempre relativo al mondo circostante, e chi vuole aggiungere aggiunga.

Mah...io preferisco guardare queste cose con occhio semplice e concreto.
Allora, quando si parla di valore di qualcosa senza ulteriori attribuzioni (quale emotivo, simbolico, etico etc.), tendo a pensare in prima istanza al prezzo transato; in sua assenza, al prezzo di un possibile scambio. Con riferimento al punto 1, ti chiedo: hai mai visto a quale valore viene fissato generalmente il prezzo di un OPA? Suppongo di sì; bene, concorderai che generalmente viene riconosciuto un premio limitato rispetto a quello di mercato di un periodo non molto lungo, precedente all'OPA stessa. Quello che dici riguardo l'impatto sui prezzi di un'azione di rastrellamento è vero, ed è causato dalla rottura dell'equilibrio tra domanda e offerta. Infatti, per evitare ciò, il rastrellamento lo si fa in un lungo periodo, e non copre mai l'intero capitale (anche per limitazioni normative). Se del caso, si lancia l'OPA totalitaria.
Riguardo al punto 2, non c'è dubbio sul fatto che il prezzo sconti tutta una serie di cose; ma questo ha a che fare con le cause che determinano la formazione del prezzo, e nulla toglie al fatto che sia il prezzo a determinare il valore del bene. Per fare un esempio banale, si possono fare tante considerazioni sulle ragioni per cui un quadro sia stato battuto all'asta a 100 M€. Rimane il fatto che il quadro vale 100 M€, almeno fino a che non sarà scambiato ad un prezzo differente.
Un'ultima considerazione. I prezzi dei beni, tranne il caso in cui sono sottoposti ad una disciplina particolare, non sono mai fissi, e la loro volatilità non è da interpretare coma una inadeguatezza a rappresentare il valore del bene. Questo apparente problema si supera semplicemente ammettendo che il valore di un bene cambia nel tempo, ed ha una sua volatilità. La stessa del prezzo. Secondo me quando si parla del valore di qualcosa non bisogna farsi condizionare dall'incoscia volontà di individuarne un fantomatico valore intrinseco. E' questo che inquina i ragionamenti.
Naturalmente limito l'applicabilità del mio discorso all'ambito economico.

Riflessione conclusiva: ma che c'entra tutto ciò con la matematica?
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Messaggioda kinder » 05/12/2007, 22:23

Sergio ha scritto:
SnakePlinsky ha scritto:Il problema è che valutare un'azienda è un arte più che una procedura matematica.

Sono assolutamente d'accordo, anche perché... ho praticato quest'arte per una decina d'anni.
Purtroppo sono anche passati molti anni, ma direi che:
a) una volta capiti alcuni calcoli, alcuni indicatori, ecc. solo l'esperienza derivante dall'analisi di centinaia di bilanci consente di valutare con un minimo di attendibilità una singola azienda (quanto a me, mi ero accorto che qualcosa non andava nella Parmalat fin dalla seconda metà degli anni '80);
b) esiste un metodo a mio parere decisamente più affidabile: la cosiddetta "previsione delle insolvenze".
Non so quanto e cosa si studi ora nelle università, chiedo quindi scusa se magari ripeto cose arcinote.
Si tratta in un metodo nato negli USA dopo la crisi del '29; ci si pose la domanda: "molte aziende sono fallite, ma molte altre no; si poteva prevedere prima quali sarebbero fallite e quali no? cosa distingueva i bilanci delle aziende poi fallite da quelli delle altre?".
Il metodo venne introdotto in Italia da Adalberto Alberici nel libro Analisi di bilancio e previsione delle insolvenze (ISEDI, 1975), poi ripreso dal Servizio Studi della Banca d'Italia e applicato dalla Centrali dei bilanci, ma venne usato molto poco dalle banche.
Ora è tornato d'attualità grazie al nuovo accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali delle banche, che, tra l'altro, ha indotto le banche maggiori a dotarsi di un sistema di rating interno per misurare il rischio di credito (e ad assumere matematici e statistici in quantità impensabili fino pochi anni fa).
In sostanza, si tratta di raccogliere dati storici circa le aziende (dati di bilancio, ma anche dati tratti dall'andamento dei rapporti bancari) e vedere cosa ne è stato delle singole aziende. Utilizzando varie tecniche statistiche (lo strumento originario, e credo ancora più diffuso, è l'analisi discriminante) si cerca di individuare i "fattori" che consentono di dividere le aziende in due gruppi: quelle che poi sono andate bene e quelle che poi sono andate male (fallimeto, "sofferenza", ecc.).
Applicando quei "fattori" a dati presenti, si determina una probabilità di insolvenza.
Una continua attività di back testing consente di tenere aggiornati i "fattori".

kinder ha scritto:Riflessione conclusiva: ma che c'entra tutto ciò con la matematica?

La matematica in senso stretto forse poco, ma la statistica, che di matematica è piena, c'entra un bel po' ;-)


In verità io preferisco catalogare questa capacità trai mestieri più che tra le arti; nell'arte c'è qualcosa di impalpabile, forse anche di irripetibile. La valutazione di un'azienda no, secondo me. Richiede mestiere.
Sul metodo da te indicato ho qualche riserva, che però devo spiegare. Sicuramente ha un'ambito di validità, e può essere utilmente impiegato da soggetti come le banche, per i quali il problema dell'apertura di linee di credito è di natura statistica, agendo sui grandi numeri, e non potendo investire troppo sforzo ogni volta che devono affidare un'azienda. Necessariamente devono implementare algoritmi (che si concretizzano in procedure e strumenti utilizzati per istruire una pratica d'affidamento, o di altre linee). Non lo ritengo sufficientemente adeguato nell'ambito di private equity o comunque investimenti su aziende. In genere, gli affari non si fanno comprando aziende in salute; in questi casi il più delle volte l'affare lo fa chi vende, non chi compra, il quale si ritrova a pagare un avviamento proporzionale alla qualità dei conti. I maggiori margini di profitto si ritrovano nell'acquisto di aziende che non hanno i conti in ordine, almeno se analizzate coi tipici indicatori di bilancio. Naturalmente anche ciò sottostà alla regola ferrea della finanza che vuole che ad alti guadagni (prospettici) si accompagnino alti rischi. Non voglio farla lunga, e cito solo un esempio importante e difficile da valutare, anzi impossibile, con la sola analisi di bilancio. E' il caso di un'azienda che ha sostenuto uno sforzo ingente in R&D, magari facendo un passo più lungo della gamba rispetto alle sue capacità finanziarie, e si ritrova con uno sviluppo avanzato di una nuova linea di prodotto, dal buon potenziale commerciale. Però si è ritrovata con l'acqua alla gola, e non ha più i mezzi per andare avanti. Ebbene, molto probabilmente una tale azienda è piuttosto indebitata, e non produce cassa sufficiente a far fronte agli impegni. Si intravede, però, analizzando il bilancio, che ha un ingente immobilizzo in R&D capitalizzata. Quale indicatore di bilancio è in grado di evidenziare il potenziale di questo asset? Secondo me nessuno. Però, un'analisi accurata (una due diligence) e condotta de persone competenti del settore industriale in cui l'azienda opera, è in grado di capire se, oppure no, può valer la pena di acquistare l'azienda, finanziare il completamento degli sviluppi e lo start-up del business finché non si manifesti una crescita concreta e misurabile. E' il momento di venderla. Nessuna analisi di bilancio e della struttura patrimoniale può capire, da sola, questo.
Purtroppo le banche, al di la dell'apparente sofisticatezza di strumenti e metodi utilizzati, conducono un'analisi che mira a misurare la capacità dell'azienda di rimborsare i debiti, sulla base di dati storici. E dimenticano il fatto che se uno ha i soldi, non li va a chiedere agli altri. Questo accade in particolar modo in Italia, in cui il project financing è pressoché assente, ed in genere il credito è concesso in cambio di garanzie reali. Tra l'altro, è il rovescio della medaglia, questa è la ragione per cui le banche italiane non si sono compromesse come quelle americane durante il boom edilizio degli ultimi anni.
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Messaggioda SnakePlinsky » 05/12/2007, 22:32

Sergio ha scritto:
SnakePlinsky ha scritto:Il problema è che valutare un'azienda è un arte più che una procedura matematica.

Sono assolutamente d'accordo, anche perché... ho praticato quest'arte per una decina d'anni.



Ne dovremo aproffittare

Per kinder:

valore e prezzo sono concetti molto diversi; senza tirare in ballo la semantica; dico che concordo sostanzialmente con te; in borsa gli stupidi sono rari e quando presenti non durano a lungo; tuttavia bisogna stare attenti ad estendere prezzi marginali al totale: é questo l errore di contabilizzazzione che porta in parte ai fenomeni delle bolle speculative: tutti vedono un prezzo sul mercato (un prezzo marginale) e pensano che ogni bene abbia quel valore; vedono il prezzo crescere (un prezzo marginale) e pensano che il valore globale di quel bene stia crescendo; perché non comprare ancora allora? ed ecco che si agisce di nuovo sulla quantit° marginale facendo lievitare il prezzo: siamo in bolla

che si chiami subprime o ventinove o internet o south sea o tulipani il concetto é lo stesso: si fa affidamento su di una quantit° marginale per prezzare il tutto (non pensiate che siano solo i polli a cascarci; nella crisi subprime primarie banche d?affari ci hanno rimesso un sacco di soldi)

arriva il crollo ed ecco che la dicotomia valore prezzo si fa sentire: per tornare al tuo esempio del quadro puoi averlo pagato cento ma quando hai bisogno di soldi per mangiare e nessuno te lo compra arriva lo squalo e te lo prende a dieci e lo stesso vale per le azioni; lo stesso vale per quei furbetti che tra qualche anno in italia rastrelleranno case alle aste giudiziarie;

lo so che questa non é matematica ma il fatto é che la formula matematica per la borsa non puo esistere e riflettere fa solo bene (non parlo di voi ma di certa gente che applica formule senza capirne la ratio)

saluti

P S scusate per la punteggiatura problemi di tastiera
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Messaggioda SnakePlinsky » 05/12/2007, 22:55

vedo ora il tuo commento: non a caso si parla di arte (nel senso classico rinascimentale del termine) peché non troverai mai due valutatori che ti danno lo stesso prezzo (probabilmente daranno due valori simili se sono entrambi bravi e in situazione di neutralita)

Sui metodi di valutazione dipende dagli obiettivi: conservativo bancario vs proattivo da investitore

il discorso sulle banche é assolutamente condivisibile ma non ne farei un discorso di arretratezza bensi di competizione: le banche italiane guadagnano gia cos^ bene che non hanno spinte al miglioramento; vorrei inoltre sfatare qualche mito sulla crisi subprime: i mercati azionari usa si sono gia ripresi da tempo mentr noi stiamo sotto del venti percento rispetto a loro che la crisi l hanno avuta in casa; la produttivita USA continua a crescere cosi come il Pil (quasi cinque % nell ultimo trimestre) e noi arranchiamo; fate vobis

saluti
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Messaggioda kinder » 05/12/2007, 22:57

io ho chiuso la questione del valore/prezzo a favore di quest'ultimo perché mi sembra la soluzione più fisica, nel senso di più misurabile. Non appena ci si allontana da questa metrica si rischia di sconfinare in territori pericolosi, quali il punto di vista soggettivo, l'etica, l'ideologia o, peggio, la metafisica. E sono territori forieri di lunghe ed infruttuose discussioni, ancorché legittime.
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Messaggioda GIOVANNI IL CHIMICO » 05/12/2007, 23:56

Chiedo scusa, ma sto approcciando or ora gli argomenti propri dell'economia e vi sotttoporrei una affermazione da giudicare:
Secondo la teoria economica classica il prezzo di un bene è la misura del suo "valore" naturale, mentre nella teoria neoclassica esso è disgiunto dal valore naturale ed è fissato dai meccanismi di mercato.
Ho detto bene o è una solenne....
Grazie
GIOVANNI IL CHIMICO
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Messaggioda kinder » 06/12/2007, 15:49

io ne so poco di queste cose, quindi ho sbirciato in wikipedia, trovando questo: http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_valore

non so se può esserti d'aiuto. Io ne ho tratto la conderma alla mia visione, secondo la quale il prezzo è l'unica misura, il resto metafisica.
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Messaggioda Injuria » 07/12/2007, 16:37

Sull'ultima questione di Giovanni:
I classici erano convinti che il prezzo corrispondesse esattamente al valore reale della merce, in pratica corrispode ai costi, i profitti non esistono. I neoclassici ammettono i fallimenti di mercato e quindi il prezzo può essere artificiosamente alto, come nei casi di un monopolio.
Fai conto che la mia è una spiegazione a spanne.
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